Viaggio tra integrazione e differenza: un seminario ad Aosta

Ieri all'Università della Valle d'Aosta si è tenuto il convegno “Le competenze interculturali nella società che cambia”. Presentato uno studio su uno studio su “Valori emergenti, multiculturalità ed ibridazione culturale nei minori valdostani”.
LA sede dell'Università della Valle d'Aosta
Società

Secondo l’Istat gli stranieri, in Valle, sono il 6,8 della popolazione. In un anno sono aumentati dello 0,4%, ma ancora non raggiungono la media nazionale, pari al 7,5%. Lo ha sostenuto Maria Giovanna Onorati, dicente della facoltà di Scienze politiche dell’Università regionale, intervenuta ieri pomeriggio al seminario pomeridiano del convegno “Le competenze interculturali nella società che cambia”, organizzato dalla facoltà di Scienze della formazione dell’ateneo valdostano e dall’Usl.
La studiosa ha effettuato, assieme alla collega della Sapienza, Mihaela Gavrila, uno studio su “Valori emergenti, multiculturalità ed ibridazione culturale nei minori valdostani”, analizzando un campione di preadolescenti di nazionalità italiana e straniera (prima generazione, seconda generazione, adottati, figli di coppia mista). Il risultato è che i due gruppi non si differenziano molto, e il discorso vale in particolare i ragazzi della seconda generazione, nati in Italia da cittadini stranieri. “Forse la differenza più rilevante – ha affermato Maria Giovanna Onorati – riguarda il tempo libero. I ragazzi non autoctoni cercano maggiormente di costruire legami relazionali forti, passando meno tempo in attività solitarie e in casa. E’ normale, se si considera l’importanza che hanno le amicizie nella costruzione delle proprie radici”.

E’ stato un intervento più calato sull’attualità politica italiana quello di Giovanna Campani, dell’università degli studi di Firenze. “Finché il discorso pubblico incitava a sparare sui barconi, nonostante tutta la buona volontà, non era possibile per i formatori e gli insegnanti diffondere e coltivare i semi del multiculturalismo. Ora forse le cose andranno meglio”.

Con gli strumenti della sociologia la docente ha messo in luce i paradigmi attuali alla base del multiculturalismo, sottolineando l’importanza assoluta che riveste la legittimazione di questo concetto da parte delle istituzioni.

“La gestione della relazione tra le differenti componenti etnico –culturali della società, così evidente a scuola, può essere considerata una forma di ingegneria sociale”. Non si tratta di speculazioni astratte nate nelle facoltà di sociologia. “Le teorie sul multiculturalismo hanno origine nei luoghi della contestazione e nei movimenti di rivendicazione. In particolare, è stata feconda la lotta contro il segregazionismo razziale americano. Ora siamo di fronte a un cambiamento di prospettiva generale” ha proseguito la docente. “A livello europeo, stiamo assistendo a un ritorno del razzismo istituzionale, con derive populiste e reazionarie. Un’altra tendenza è il rafforzamento del cosiddetto neo-assimilazionismo, ovvero il tentativo di annullare le differenze. D’altra parte, anche puntare i riflettori su ciò che differenzia i gruppi umani non è una mossa vincente per contrastare il razzismo. Un modo per superare questa impasse è quello di evidenziare tutte le differenze che attraversano trasversalmente qualsiasi gruppo: l’età, il genere sessuale, l’orientamento sessuale, le opinioni politiche, le credenze e via dicendo”. L’esperienza strutturante di fare parte di una minoranza, insomma, non è preclusa a nessuno.
 

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