Un simbolo delle due facce del miracolo economico italiano. Ecco cosa rappresenta, in valle d’Aosta, la diga di Place Moulin, tutt’ora tra le più grandi d’Europa. Gli ingredienti ci sono tutti: un grande sbarramento di cemento da innalzare, quasi una sfida alle montagne, il riscatto sociale ed economico di un territorio fino a quel momento marginalizzato, un bene, l’acqua, da fare fruttare (e da sfruttare), il mito del progresso ai suoi albori, e soprattutto una massa di lavoratori di varia provenienza: un esercito di ex-contadini veneti, lombardi, calabresi, e anche, naturalmente, valdostani, ha costruito la diga un decennio prima delle lotte operaie, lavorando sospeso a centinaia di metri da terra, o nei cunicoli neri delle gallerie, sognando le prime lavatrici del boom. I loro figli e nipoti vivono ancora qui.
Un libro, scritto a quattro mani da Marie-Rose Colliard e Daria Pulz, racconta le storie della generazione che ha costruito materialmente il benessere della generazione successiva, spesso a costo della salute. Molti degli abitanti di Valpelline sono figli o nipoti degli operai che realizzarono l’invaso, e per tutti la diga rappresenta una parte importante della propria storia personale e familiare. Alla presentazione del volume, ieri sera, nel salone parrocchiale di Valpelline, c’erano tutti, anche i testimoni, gli anziani lavoratori intervistati da Daria Pulz, che si definisce essa stessa una “figlia della diga”.
Quanto a Marie-Rose Colliard, ha tratteggiato il contesto sociale e storico precedente alla costruzione della diga esaminando una gran mole di documenti, guide turistiche, memorie, bollettini parrocchiali, articoli. A quanto pare la Valpelline – in particolare Ollomont – sembrava destinata a uno sviluppo turistico paragonabile a quello di Courmayeur, di Valtournenche, di Cogne. Si fantasticava sugli impianti da sci e sugli alberghi pieni. Però qualcosa, evidentemente, si è inceppato. Le infrastrutture stradali, nelle valli turistiche per eccellenza, sono arrivate negli anni ’30, a Valpelline solo negli anni ’50, prima dell’inizio dei lavori di costruzione della diga. Senza strada, niente turisti.