Se la costituente valdostana fosse un edificio, stamattina forse avremmo assistito alla posa della prima pietra. Più di 200 persone hanno affollato la sala congressi della Maison Grivola, a Cogne, per l’assemblea pubblica convocata dall’Uvp e aperta al pubblico e alle forze politiche valdostane. Cinque ore di discussione, una ventina di interventi lunghi e circostanziati, ai quali, per motivi di tempo, non è seguito un vero dibattito organizzato sotto forma di botta e risposta. Sarà per la prossima volta: l’appuntamento è già stato fissato per il 26 febbraio. “Una data simbolica, l’anniversario dell’approvazione, nel 1948, dello Statuto Speciale” ha spiegato Luciano Caveri, al termine dell’incontro, presentato assieme ad Alessia Favre, presidente dell’Uvp. “Quello della costituente – ha commentato – è un cammino pluralista, che tiene conto delle istanze di tutti, a partire dal confronto con la popolazione e con i partiti politici che hanno risposto al nostro invito a discutere. L’Uvp ha lanciato l’idea, ma adesso non è più nostra, appartiene a tutti quelli che ci si riconoscono, e che possono sostenerci aderendo al comitato e lottando per difendere l’autonomia”.
Sul palco si sono alternati volti noti della politica, ma non solo. Come annunciato, mancavano solo Alpe e Movimento Cinque Stelle.
Tra i temi toccati, l’identità locale, tutta da definire: è valdostano – hanno voluto sottolineare in molti – non chi può vantare antenati de souche con tanto di cognome dop, ma chi si riconosce come tale. Da più parti si è evocata una generale crisi identitaria: il processo costituente dovrebbe partire dal basso, è stato detto, ma perché questo possa avvenire la popolazione dovrebbe conoscere le basi storiche e culturali dell’autonomia, e sentirsi parte di una comunità unita da qualcosa di più profondo del ricordo nostalgico del buoni benzina. E invece la maggioranza delle non conosce motivazioni e obiettivi dellostatuto, alimentando così i pregiudizi dentro e fuori i confini regionali. “Bisognerà condurre una lotta all’indifferenza”, ha sintetizzato Cesare Dujany. La battuta che più circolava a Cogne: “Perché siamo autonomi? Perché siamo particolari. E perché siamo particolari? Perché siamo autonomi”. Soffiava un lieve vento di autocritica, alimentato anche da Franco Iacop, presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, che messo in guardia contro le tentazioni identitarie di matrice sterile e autoreferenziale, tese al mantenimento dei privilegi: un atteggiamento che negli anni ’80 avrebbe fatto scuola.
In generale tutte le forze politiche presenti hanno manifestato l’intenzione di collaborare, aggiungendo ciascuno un ingrediente alla ricetta: per Raimondo Donzel era la meritocrazia, importante argine contro la piaga del clientelismo, per Sandro Bortot era la coerenza tra i nobili obiettivi e il comportamento della classe politica, ostaggio – ha ricordato – del “clan di Rollandin”, per Andrea Paron, Creare Vda, era la capacità di leggere i cambiamenti della società valdostana senza paraocchi ideologici, per Marco Suquet, Uv, era la capacità di fare fronte comune, ponendo la difesa dell’autonomia al centro dell’azione politica. La Stella Alpina, per bocca di Maurizio Martin, ha evocato le macroregioni europee, mentre Marco Vierin, presidente del Consiglio Valle, ha menzionato l’importanza della partecipazione popolare al processo. Massimo Lattanzi, Forza Italia, ha dato l’impressione di vincolare l’adesione del partito all’affermazione di ciò che ha chiamato un principio di democrazia: “Non possiamo difendere l’autonomia e lasciare che a Roma si installino governi senza il voto popolare. Se condividete questo punto di vista siamo con voi”.
Nei prossimi mesi scopriremo se si è trattato di un fuoco di paglia o se davvero oggi sono state poste le basi per una piccola rivoluzione autonomista.