Una donna su tre, secondo gli ultimi dati Istat, ha subito una qualche forma di violenza nella propria vita. Una stima al ribasso, perché esiste tutto un sommerso, donne che non parlano con nessuno della violenza subita, che in moltissimi casi avviene all’interno delle mura domestiche.
Nel 2022 la Valle d’Aosta ha registrato un aumento del numero delle vittime, ma vogliamo vedere, come suggerito dalla dottoressa Antonia Billeci, dirigente di Medicina d’Urgenza e Accettazione al Parini, il “bicchiere mezzo pieno”, perché forse nei numeri in aumento c’è una parte di questo sommerso che sta venendo a galla, un numero crescente di donne che ripongono fiducia nelle istituzioni e in un sistema che, per quanto perfettibile, ha fatto negli ultimi anni dei passi in avanti.
Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne abbiamo provato con un nuovo dossier, un lavoro corale della redazione, a fotografare il fenomeno e le risposte che la nostra regione è in grado di offrire.
COSA FA LA VALLE D’AOSTA E CON QUALI STRUMENTI
di Giorgia Gambino
Abusi fisici, sessuali, psicologi ed economici che hanno gravi ripercussioni sul benessere psicofisico della donna e degli eventuali figli. Seppur rappresenti una problematica privata e segreta, la violenza di genere attiene alla salute pubblica nonché alla salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
Proprio entro tale orizzonte di senso agisce la “Convenzione del Consiglio di Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica” firmata a Istanbul da 45 Paesi il 7 aprile 2011.
A livello regionale, invece, a tracciare le linee guida necessarie ad affrontare tale pressante quanto attuale fenomeno sociale è subentrata, negli anni, la legge regionale numero 4 del 25 febbraio 2013 orientata a sistematizzare nonché a mettere in pratica misure di prevenzione e contrasto integrate.
Altri strumenti locali sono il Piano triennale degli interventi contro la violenza di genere 2015-2017 e il Forum permanente contro le molestie e la violenza di genere, composto da personalità politiche, enti pubblici, forze dell’ordine e istituzioni locali finalizzato alla prevenzione e al contrasto di episodi di intolleranza femminile. Il monitoraggio è invece compito dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere, che attraverso raccolta, elaborazione e analisi dei dati forniti dal Centro antiviolenza, dagli enti locali, dall’Azienda Usl, dai servizi e da altri soggetti, tenta di sondare e conoscere meglio le problematiche relative alla violenza stessa andando così ad armonizzare le varie metodologie di intervento adottate sul territorio.
Se fino a poco tempo fa il focus degli interventi erano rivolti alle sole donne, si è deciso recentemente di prendere in considerazione tutti gli attori. S’inserisce in questo quadro il progetto promosso dall’Assessorato Sanità, salute e politiche sociali della Regione di attivare un servizio educativo per gli operatori di settore a contatto con soggetti maltrattanti e non soltanto maltrattati.
Riconoscere e supportare gli uomini autori di soprusi rappresenta una modalità di rafforzamento di competenze specifiche per la trattazione delle problematiche maggiori nonché, come riscontrato da evidenze nazionali e internazionali, un’ulteriore occasione di difesa e tutela durevole delle vittime.
Le azioni di istruzione così pensate possono essere dedicate ad attori territoriali quali per esempio forze dell’ordine, operatori socio-sanitari, sportelli e centri dedicati, enti del terzo settore e vanno a includere all’interno di ciascun singolo intervento la parte maschile agendo nella direzione di un suo recupero e di una sua rieducazione.
Non è ancora attivo, ma potrebbe diventarlo a breve, grazie alla revisione e all’integrazione della legge regionale competente anche il cosiddetto “Reddito di libertà”, un contributo riconosciuto dall’Inps per tutte quelle donne che, oltre ai maltrattamenti, sono costrette a vivere in condizioni di disagio e difficoltà finanziari: dando per assodato il ruolo imprescindibile di una base economica adatta nel complesso percorso di emancipazione personale e professionale delle vittime, donne senza figli o con figli minori nonché seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali possono arrivare a percepire sino a un massimo di 400 euro mensili pro capite concessi in una soluzione unica sino a 12 mesi.
125 DONNE FINITE IN PRONTO SOCCORSO PER LE VIOLENZE SUBITE
di Luca Ventrice
I casi di violenza o maltrattamenti sulle donne, nel 2022 – nel periodo compreso dal 1° gennaio al 31 ottobre, lasciando quindi (ovviamente) scoperti gli ultimi due mesi dell’anno – sono stati 125, in rialzo rispetto al centinaio circa degli anni precedenti.
L’età media delle vittime di violenza è di 38 anni, mentre i casi dei quali si è occupato il Pronto soccorso vanno dagli 11 ai 79 anni. Spiega la dottoressa Antonia Billeci – dirigente di Medicina d’urgenza e Accettazione al “Parini” e referente aziendale sulla violenza di genere -: “A parte le vittime di violenza fisica grave abbiamo donne che vengono per farsi refertare, che denunciano un maltrattamento prolungato in famiglia o anche in ambito lavorativo. Noi le accogliamo poi le affidiamo ai Servizi territoriali. Certo i nostri dati sono abbastanza impegnativi”.
“La violenza ed i maltrattamenti non hanno prognosi”
Dei 125 casi del 2022, racconta ancora Billeci, “91 sono italiani, quindi la gran parte delle donne che giungono al Pronto soccorso. Una piccola fetta appartiene invece alle comunità più presenti in Valle d’Aosta, quindi quelle marocchine e rumene”. In generale, aggiunge, “i traumi più frequenti avvengono in casa, sono 54 casi su 125. Un’altra fetta importante avviene in strada e abbiamo avuto alcuni casi relativi al luogo di lavoro e un paio nelle scuole”.
Non sempre, però, i “colori” tipici del Pronto soccorso rappresentano la realtà di quanto avviene, quando si parla di violenza. La dottoressa Billeci lo sa bene: “77 donne sono state trattate come codice verde, 33 come codice bianco. Una è arrivata in codice rosso, quindi grave. Su 125 casi le violenze sessuali sono state cinque, le lesioni traumatiche che giustificano un ricovero sono state circa il 10%, pari a 13 casi. Il resto sono prognosi, a volte, minime. Ma la violenza ed i maltrattamenti non hanno prognosi”.
“Attribuiamo il codice giallo alle vittime di violenza – aggiunge -. Dichiarato il maltrattamento il codice di priorità giallo garantisce la presa in carico rapida, entro 20 minuti massimi. Questo evita possibili ripensamenti o allontanamenti della vittima dal Pronto soccorso. Dato che la maggior parte dei maltrattamenti avviene a casa, può infatti esserci vergogna e ripensamento”.
La presa in carico di una vittima di violenza, un iter multidisciplinare
L’iter di presa in carico vede sempre il supporto di altre professionalità sanitarie, passaggi multidisciplinari necessari e da valutare caso per caso: “Al primo confronto nel triage spesso la violenza non viene dichiarata subito – dice invece Katia Vallet, referente per la parte infermieristica sulla violenza di genere -. Dopo, nell’entrata in visita, dove la donna viene accolta in un ambiente dove viene garantita la privacy, spesso si comincia a raccontare quanto accaduto”.
“Se la vittima è una donna cerchiamo sempre di farla visitare da un medico donna – aggiunge Billeci -. Nel caso di violenza c’è l’allerta psicologica e una presa in carico multidisciplinare. Anche perché a volte, per avvicinare la paziente, serve lo psicologo per affrontare l’elaborazione del trauma. Poi può esserci necessità di altre professionalità: un traumatologo, un ginecologo, un oculista. La presa in carico complessiva è abbastanza impegnativa sia per il personale sanitario, sia dal punto di vista organizzativo”. Anche perché “in ogni ambulatorio c’è un infermiere e un medico che si dedicano esclusivamente ai casi di violenza”.
Un aiuto dalla legge e una maggiore sicurezza nel denunciare
Rovesciando l’assioma, ovvero ciò che i numeri “puri” mostrano, però, l’aumento dei casi potrebbe avere un’altra lettura: “Certo, abbiamo riscontrato un aumento dei casi – aggiunge la dottoressa -. Ma la riflessione mia personale è che le donne abbiano acquistato una maggiore sicurezza nel denunciare. Anche con le campagne che continuiamo a fare forse ci si sente meno abbandonate. I numeri si possono vedere in questo senso: esce un po’ di quanto prima era più sommerso. A causa del pudore, della famiglia o a volte per questioni che vengono considerate normali o addirittura culturale”.
Da questo punto di vista un supporto arriva dalla legge: “Il Codice Rosso prevede un rapido arresto in flagranza di reato. Questo ci viene in aiuto – aggiunge -. E credo che quest’anno sia stato applicato spesse volte. La violenza sessuale è procedibile dalla persona offesa, invece il maltrattamento è procedibile d’ufficio. Quindi io stessa posso attivare subito le Forze dell’ordine. Abbiamo rivisto il Protocollo di gestione per gli acuti cercando di migliorarlo, garantendo una migliore privacy e maggiore dignità dell’essere umano. Anche in questo la legge ci aiuta, visto che grazie alla Convenzione di Istanbul del 2011 (ratificata in Gazzetta ufficiale nel giugno 2013, ndr.) la violenza sulle donne e quella domestica si considerano violazione dei diritti umani mentre una volta erano definiti delitti contro la moralità pubblica e il buoncostume”.
LA PROCURA: “CON IL CODICE ROSSO E’ AUMENTATA L’ATTENZIONE DELLO STATO AL FENOMENO”
di Christian Diémoz
Vista dalla Procura della Repubblica, l’ufficio incaricato di perseguire i crimini, la violenza sulle donne in Valle d’Aosta assume i tratti di un fenomeno in crescita. Guardando i dati dei reati maggiormente indicativi del problema – vale a dire stalking, maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e revenge porn – ciò che si ricava dal 2019, anno dell’entrata in vigore del “Codice rosso” (normativa che ha inasprito le sanzioni), ad oggi è che tutti sono aumentati nel numero di casi. Limitando invece il paragone tra l’anno in corso e il 2021, solo gli atti persecutori risultano in flessione, mentre l’incremento è il trend sulle altre tre fattispecie.
Atti persecutori in calo dall’anno scorso
I numeri sono riferiti, per ogni anno, al periodo dal 1° gennaio al 18 novembre, cioè all’ultima settimana “intera” prima della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. I fascicoli aperti per stalking (condotta che, va però detto, non riguarda solo la sfera sentimentale, per quanto rappresenti quella più ricorrente, magari dopo la fine di una relazione, ma include anche liti condominiali, vicinali e simili) sono stati 28 nel 2019, 23 nel 2020, 39 nel 2021 e 36 nell’anno in corso. La variazione è del +28,5% in quattro anni, ma appunto il segno è negativo, -7,6%, tra lo scorso anno e questo.
Maltrattamenti, 79 casi nel 2022
I casi di maltrattamenti in famiglia trattati dall’ufficio inquirente (parliamo di botte, o altri soprusi ed angherie, che vengono qualificati così perché protratti nel tempo e quindi considerati il reato più “odioso” della serie) hanno raggiunto quota 27 nel 2019, 33 nel 202, 53 nel 2021 e 79 nel 2022. Il differenziale su base quadriennale segna un +192% e, negli ultimi due anni, un +49%. Di violenze sessuali (fattispecie che raggruppa non solo gli stupri, ma anche abusi quali palpate, o baci indesiderati) ne sono state contestate 20 nel 2019, 16 nel 2020, 14 nel 2021 e 25 nel 2022. La variazione 2021/2 è del +78%, mentre allargando lo sguardo al quattro anni è del +25%.
“Revenge porn”, fenomeno recente
Il “revenge porn” – denominazione con cui si indica l’invio di foto o video intimi senza il consenso della donna che vi appare, sovente per un “dispetto” da parte di un ex partner e di norma tramite sistemi di messaggistica – ha un andamento temporale che restituisce la sua natura di fenomeno maggiormente recente. Un caso nel 2019, nessuno nel 2020, tre nel 2021 e cinque quest’anno. È anche il versante su cui le percentuali sono più impattanti: +66,6% per la variazione tra gli ultimi due anni e +400% nell’intero quadriennio.
Le misure cautelari: da 10 a 61 in quattro anni
A queste cifre, per meglio definire l’entità del fenomeno della violenza domestica e di genere, al secondo piano di via Ollietti ne affiancano altre. Si tratta, anzitutto, di quelle relative alle misure cautelari disposte per violenza sessuale, stalking e maltrattamenti familiari. Riguardano i casi in cui, occupandosi di un episodio, sussistano rischi di inquinamento probatorio, fuga o reiterazione del reato da parte dell’indagato. Il giudice per le indagini preliminari può quindi decidere l’arresto di chi è gravemente indiziato del delitto, o di sottoporlo ad obbligo di dimora, o di presentazione alla polizia giudiziaria, oppure ancora vietargli di avvicinare la parte offesa. Le misure in questione nel 2019 sono state 10, passando a 12 l’anno dopo, a 30 nel 2021 e a 61 per l’anno che volge al termine. Il trend, a parte il biennio 2019-20, è di un raddoppio ogni dodici mesi.
Il divieto di avvicinamento, spesso violato
Rilevanti appaiono ugualmente le violazioni, registrate dalla Procura, del divieto di avvicinamento alla persona offesa, commesse da coloro che sono comunque andati sotto casa di una ex compagna, o l’hanno seguita, o si sono recati sul suo posto di lavoro, malgrado il giudice glielo avesse inibito.
Si è passati da tre violazioni nel 2019, a quattro nel 2020, ad otto nel 2021 e a sedici del 2022. Qui, dal secondo anno in avanti, la tendenza è stata al raddoppio. Un dato che appare ancora più preoccupante, se si considera che l’inosservanza di un obbligo cui si è sottoposti dall’autorità giudiziaria comporta l’aggravamento della misura cautelare in essere, che può voler dire anche essere tradotti in carcere.
Il Pm: “Con accelerazione, più propensione alla denuncia”
Indicatori che, nell’insieme, offrono lo spunto per “molteplici riflessioni”, come osserva il sostituto procuratore Manlio D’Ambrosi, titolare del dipartimento d’indagini su persona, comunità familiare e “Codice rosso”. “Dall’introduzione della nuova disciplina, nel 2019 – sottolinea – c’è una maggior attenzione degli uffici requirenti e di polizia giudiziaria. Tutte le coordinate legislative fanno sì che ci sia un’attenzione molto più accentuata dello Stato al fenomeno”.
Un dato che, secondo il magistrato, offre anche un’altra lettura: “Se c’è un’accelerazione, anche le persone offese si sentono più propense a denunciare ed intraprendere un procedimento penale, che in Valle d’Aosta è gestibile in tempi celeri”. Da questo punto di vista, l’ufficio diretto dal procuratore capo Paolo Fortuna – rilevato l’incremento dei dati sui crimini del “Codice rosso”– si è dotato di un “Protocollo investigativo e buone prassi per la polizia giudiziaria in materia di reati di violenza”.
Il protocollo investigativo “ad hoc”
Il documento mira a fornire una “risposta unitaria da parte di tutti coloro che”, nel campo delle forze dell’ordine, “inizialmente intervengono sul Codice rosso” e, rivolto ai diversi casi d’intervento a seguito della denuncia di una vittima, di un sopralluogo su chiamata della persona offesa o dei vicini, o d’iniziativa, ha introdotto uno schema omogeneo di domande per gli operanti. Insomma, un protocollo per una identificazione tempestiva e rapida dei fatti, anche per concretizzare l’obiettivo di maggiori tutele per la parte offesa.
I rapporti regrediscono, ma più emancipazione femminile
Il sostituto D’Ambrosi, rispetto ai “numeri” della nostra regione, guarda anche al fatto che la “mediatizzazione delle vicende, le campagne di sensibilizzazione, gli interventi nei tg e con articoli” – quindi “il fatto che si parli costantemente della violenza” – faccia sì che “non s’ingeneri più quel processo di vittimizzazione secondaria, facendo comprendere che quelle condotte non sono più sopportabili. È più facile per le donne, oggi, rivolgersi alle forze dell’ordine”. Per il magistrato, l’aumento degli indicatori (che va comunque rapportato, ricordano in Procura, ad un territorio di dimensioni contenute e ad una popolazione di 120mila abitanti) è “legato alla regressione dei rapporti umani”, ma nostra anche “l’emancipazione della donna”, che oggi sceglie di non subire in silenzio e di denunciare.
Il CENTRO DONNE CONTRO LA VIOLENZA
di Giorgia Gambino
Un incremento del 200% dei nuovi accessi, che fino 2018 oscillavano attorno alla sola trentina. Non possono che destare preoccupazione i dati del Centro donne contro la violenza.
“Inizialmente abbiamo imputato tale aumento all’epidemia di Covid-19, ma purtroppo i numeri non paiono in procinto di scendere – spiega Anna Ventriglia, presidente del Centro -. Cala invece l’età media in cui le ragazze sono vittime di violenze verbali ma anche sessuali, quest’ultima oscillante attorno alla fascia tra i 18 e i 24 anni”.
Da anni il “Centro donne contro la violenza” si occupa di attività di accoglienza e accompagnamento delle ospiti nella fuga da situazioni di disagio oltre che di percorsi di prevenzione e sensibilizzazione che strizzano l’occhio alla formazione scolastica e al dialogo con la comunità.
“Accanto a imprescindibili forme di sostegno psicologico e a una prima consulenza legale gratuita in materia civile e penale, proponiamo alle nostre assistite programmi di orientamento professionale favoriti da alcuni progetti tuttora in essere organizzati in collaborazione con gli enti del terzo settore – racconta ancora Ventriglia, identificando nella mancanza di posti di lavoro e basi economiche adeguate la causa prima dell’assenza di autonomia di molte residenti -. Possediamo anche una casa di seconda accoglienza dove le nostre donne possono soggiornare il tempo necessario in attesa del provvedimento che permetta loro il rientro nella propria abitazione o della possibilità di trovare una nuova residenza”.
Dopo un primo colloquio conoscitivo per valutare la pericolosità di ciascuna delle situazioni vissute dalle richiedenti aiuto, vengono vagliate le tipologie di sostegno per esse necessarie.
“Mentre i casi più gravi vengono reindirizzati alla casa-rifugio dell’Arcolaio, che si occupa del trattamento delle specifiche condizioni emergenziali, le altre ottengono supporto secondo le modalità stabilite dalla ‘Strategia Nazionale sulla parità di genere 2021-2026‘” – prosegue Ventriglia -. Ovviamente, restiamo vincolati alla disponibilità e al desiderio dei soggetti a cooperare e garantiamo il più totale anonimato per permettere loro di parlare e sfogarsi in tutta libertà e senza il timore di incappare in tediosi provvedimenti e procedimenti di ufficio”.
Durante la Pandemia anche il “Centro donne contro la violenza” ha potuto sperimentare servizi a distanza e modalità lavorative maggiormente flessibili e innovative quali videochiamate e riunioni online. Oltre a orari di apertura ampliati e all’attivazione di un numero attivo tutti i giorni dalle 8 alle 20 contattabile sia telefonicamente sia attraverso la piattaforma di messaggistica Whatsapp, è stata ripristinata la possibilità di prenotare colloqui singoli presso la sede operativa. Se durante il confinamento le donne bisognose hanno potuto riferirsi con costanza alla casella di posta elettronica dedicata, nonché al numero verde nazionale anti-violenza e stalking 1522 attivo tutti i giorni 24 ore su 24, il programma ha potenziato la propria attività sui social media, revisionato il proprio sito web e avviato diverse collaborazioni con testate giornalistiche, televisioni ed emittenti radiofoniche locali finalizzate a veicolare momenti di promozione, sensibilizzazione e informazione sulla tematica.
UNA CASA DOVE SENTIRSI AL SICURO E PROGETTARE UNA NUOVA VITA
di Silvia Savoye
È prima di tutto un riparo sicuro per chi ha deciso di compiere un primo passo verso una nuova vita. Una casa, per alcune la prima di tante, nel lungo e non sempre facile percorso di riconquista della propria dignità e libertà. Ogni anno la casa rifugio Arcolaio accoglie una ventina di nuclei familiari, donne sole o con figli, in fuga dalla violenza.
“La struttura attuale ha 18 posti letto per donne e minori. – racconta la coordinatrice Valentina Tonelli – Al momento sono 15 i posti occupati. Questo però è stato un anno abbastanza critico, perché abbiamo avuto dei momenti in cui abbiamo toccato anche le 21 persone e non avendo posti qui abbiamo dovuto gestirle su altre strutture o su degli hotel sul territorio con il relativo presidio”.
Il trend degli ultimi anni appare in crescita. Se nel 2020, complice anche il lockdown, il servizio ha dato rifugio a 9 nuclei, l’anno scorso si è tornati a 19, mentre all’ottobre del 2022 sono già 16 i nuclei accolti.
Attivato dal 2005 in una prima forma sperimentale, il servizio, gestito dalla Cooperativa Indaco è regionale. L’ubicazione della struttura sul territorio regionale è segretata, per garantire la maggior protezione possibile alla donne, che qui arrivano su segnalazione dei servizi sociali o degli enti che hanno sottoscritto una convenzione con la Regione: forze dell’ordine, pronto soccorso, Centro donne contro la violenza e Caritas.
I numeri della casa rifugio Arcolaio aiutano a raccontare il fenomeno delle violenze sulle donne in Valle d’Aosta. Dal 2005 all’ottobre del 2022 sono state 535 le persone accolte dal servizio, di cui 245 minori. Complessivamente si tratta di 290 nuclei familiari, 189 di origine straniera (il 65%) con un’età media della donna di 32 anni e 101 italiani (34%) con un’età media della donna di 39 anni. La maggioranza delle donne, il 58% è disoccupata, il 24% occupata e le altre sono occupate stagionalmente, pensionate e studentesse. Per gli stranieri i paesi di provenienza sono per lo più Marocco, Nigeria, Romania e Albania.
Nella Casa Rifugio le donne vittime di violenza possono restare fino a 6 mesi, prorogabili di altri sei, per una permanenza massima di un anno. Qui ciascuna ha la propria stanza, ma condivide assieme alle altre donne gli spazi comuni come la cucina e la lavanderia.
Decidere di rifugiarsi nel servizio, e questo in particolare non è sempre facile per le donne, che spesso temono, una volta attivati i servizi sociali di vedersi sottrarre i propri figli. “È una credenza difficile da estirpare. I servizi sociali sono un supporto, è positivo che le donne chiedano aiuto, perché significa che vogliono mettere in sicurezza i figli”.
Oltre alle donne vittime di violenza, il servizio accoglie anche donne, sole o con figli, in situazione di emergenza notturna, soprattutto donne vittime di tratta, sulle quali un progetto sta cercando di accendere i riflettori.
Con l’accesso al servizio vengono attivati i servizi sociali, con i quali le cinque operatrici e la coordinatrice (tutte donne come previsto dalle norme) “valutano la situazione e stabiliscono un percorso di uscita dalla violenza, un progetto educativo e di autonomizzaizone individuale specifico per quel nucleo”.
Un percorso di ricostruzione che parte dalla certezza di stare in un luogo protetto
Il primo step di questo percorso è la protezione. La casa dispone di tutte le misure di sicurezza e a breve sarà dotata anche di un sistema di videosorveglianza. In casi specifici e su richiesta dei servizi sociali viene attivato anche un presidio notturno. Le operatrici sono attive nel servizio dalle 7 del mattino fino alle 23 circa.
“Nei primi tempi alle donne e ai figli non è permesso di uscire – ricorda Tonelli – anche se si potrebbe disquisire sulla correttezza di togliere la donna e i minori dal proprio nucleo e lasciare il maltrattante libero. Più che altro per i minori che all’inizio si trovano a dover sospendere momentaneamente tutte le attività scolastiche ed extrascolastiche, per un discorso di sicurezza”. Successivamente, e in base a valutazioni specifiche sul caso, le donne iniziano ad uscire con le operatrici o in autonomia, per poi procedere alle dimissioni del nucleo e al rientro sul territorio.
Una casa e subito dopo un lavoro
Casa e lavoro sono gli ostacoli più importanti che queste donne si trovano a superare nella ricostruzione delle proprie vite. “La maggior parte delle donne accolte ha una dipendenza economica dal maltrattante, che blocca la decisione di andarsene”.
Sei mesi o un anno non sono sempre sufficienti a queste donne, soprattutto se prive di reti familiari, per raggiungere la piena autonomia. “Se bisogna partire da zero, è difficile stare nei 6 mesi, perché c’è un tempo che serve per elaborare il tutto, è anche corretto che la donna si fermi un attimo, raccolga le emozioni. C’è un tempo che è quello della decompressione, in cui bisogna allentare la tensione.”.
L’anello debole: la seconda accoglienza
La Valle d’Aosta risulta ancora carente sul fronte della seconda accoglienza, servizio indispensabile per accompagnare le donne nel loro progetto di ricostruzione di una vita indipendente.
“Fuori dal territorio valdostano ci sono due livelli di protezione: la casa rifugio, che dà protezione immediata, un posto letto e va a soddisfare i bisogni primari, e poi, dopo che la situazione viene definita dal tribunale dei minorenni o ordinario, questo nucleo defluisce nelle case dette di seconda accoglienza, case che prevedono comunque la presenza di operatori, ma permettono di liberare posti letto per l’emergenza e di attivare il progetto di autonomizzazione”.
Al momento un appartamento per la seconda accoglienza è messo a disposizione dal Centro Donne contro la Violenza, mentre un altro dal servizio Arcolaio. La speranza, nel 2023, è di poter aumentare il numero di alloggi a disposizione.
Un dato allarmante, che risale però al 2019, è che il 27% di donne passato dalla Casa Rifugio Arcolaio fa rientro presso il maltrattante (21% per le donne straniere, non residenti sul territorio)
Esiste un protocollo per valutare le recidive, così come dei follow up, dei monitoraggi successivi alle dimissioni, a sei mei e a un anno.
“È una delle frustrazioni come operatrici, perché ci sembra di non essere riuscite a fare nulla. Noi possiamo però offrire loro un aiuto, ma sta poi a loro coglierlo. L’altra frustrazione e fatica che viviamo, riguarda la relazione madre e bambini. Spesso e volentieri le donne che entrano in struttura non hanno in mente i loro figli, non perché non sono delle buone madri, ma perché hanno un vissuto loro che devono risistemare, hanno una stanchezza emotiva”.
LA SECONDA VITA DI UNA RAGAZZA DI 23 ANNI
di Silvia Savoye
Non vuole parlare del suo passato, ma del futuro, quello che passo dopo passo sta costruendo, grazie all’aiuto di molte persone, per sé e per suo figlio. Accetta di raccontare una parte della sua esperienza, per fare arrivare ad altre donne che con lei condividono un passato di violenze un messaggio di speranza.
Selma (il nome è di fantasia) ha soli 23 anni. Alla Casa Rifugio Arcolaio è arrivata quando il suo bambino aveva appena una settimana di vita. Non conosceva una parola di italiano e soprattutto, spiega, “avevo perso la fiducia in me stessa”. Come molte donne anche lei si è trovata a vivere l’angoscia di poter perdere il figlio, una volta entrata in struttura.
Invece qui ha trovato delle persone che l’hanno aiutata a entrare nel suo ruolo di madre. Sono state le operatrici del Centro a “credere in me, nelle mie capacità, sia come mamma, sia come donna, in grado di poter provvedere a me e a mio figlio”.
Il servizio come recita il nome si configura a tutti gli effetti per le ospiti come una casa. “Era diventata la mia famiglia e quando ho dovuto uscirne avevo molte angosce, legate al dover stare sola. In realtà questa famiglia non mi ha mai abbandonata, ancora oggi mi aiutano con la spesa e con il bambino. Al momento non ho ancora la patente, che spero a breve di poter prendere, perché questa mi aiuterà a essere ancora più indipendente”.
Nella Casa Rifugio e in un successivo appartamento di seconda accoglienza è stata due anni. “Mi hanno aiutato tantissimo, facendomi frequentare un corso per parrucchiera”. Con un bambino di due anni e nessun familiare ad aiutarla, Selma ha dovuto mettere per il momento da parte il sogno di fare la parrucchiera. “Ci ho provato ma era difficile conciliare gli orari di lavoro con quelli dell’asilo nido”. La ragazza si barcamena fra lavori di pulizie e un lavoro da cameriera. “Ho raggiunto l’indipendenza economica” racconta fiera Selma.
Oltre a ribadire i ringraziamenti a tutti quanti l’hanno aiutata, la ragazza, prima di salutarmi, ci tiene a lanciare un appello a tutte le donne che come lei hanno subito violenze. “Non dovete accettare di essere maltrattate o sottomesse. E’ possibile uscire da queste situazioni, affidandosi ai servizi, che vi vogliono aiutare e che vogliono il bene vostro e dei vostri figli. Oltre alle operatrici, nella struttura io ho trovato tante amiche con cui ci siamo sostenute a vicenda. Non si deve pensare di essere sole”.
GLI AVVOCATI IN CAMPO CON LO SPORTELLO DEL CITTADINO
di Giorgia Gambino
Nato il 15 settembre di quest’anno per iniziativa dell’Ordine degli avvocati della Valle d’Aosta, lo “Sportello del cittadino” offre a coloro che ne hanno necessità forme di orientamento legale e di tutela dei propri diritti per destreggiarsi all’interno di un sistema legale italiano fortemente complesso. Accanto a consigli su cause civili, processi penali, risoluzione di controversie, costi e tempistiche della giustizia, l’altro importante versante del servizio è rappresentato dalla consulenza rivolta alle vittime di violenza.
“Avendo il progetto visto da poco la luce, non abbiamo ancora avuto modo di fare il punto con i colleghi sulla tipologia di assistenza maggiormente effettuata né sulla natura dei consigli legali richiesti – racconta l’avvocato Carlo Laganà -. Fortunatamente, tuttavia, le coppie di avvocati che ogni settimana e in maniera alternata si occupano della gestione dello sportello non hanno per il momento riscontrato alcuna urgenza o alcun caso di soprusi, bensì soltanto una ampia richiesta al canale ordinario per delucidazioni in materia di permessi di soggiorno o problematiche analoghe”.
Trattandosi di un servizio creato per rispondere alle domande e chiarificare i dubbi dei valdostani, lo “Sportello del cittadino” non fornisce indicazioni circa studi legali o avvocati cui rivolgersi bensì soltanto, nel caso di individui legittimati a fruire del patrocinio statale gratuito, una lista di professionisti aostani disponibili suddivisi per materie trattate.
“La prima cautela da adottare qualora si debba interfacciarsi con una donna che ha subito violenza sarebbe quella di rendersi conto di essere dinnanzi a una vittima che pertanto ha bisogno di essere ascoltata e rincuorata psicologicamente circa le possibilità di procedere legalmente – continua ancora Laganà -. Qualora non siano presenti denunce o misure di allontanamento che tutelino parzialmente la persona, si potrebbe poi proseguire con lo spiegarle gli ulteriori passi da compiere per ottenere provvedimenti di non avvicinamento da parte del Pubblico ministero”.
Lo “Sportello del cittadino”, inoltre, si preoccupa di indicare alle donne richiedenti un consulto quali siano le strutture cui eventualmente rivolgersi per ottenere sostegno e accoglienza domiciliare.
“Trattandosi di fatto di codici rossi, le vittime potrebbero godere di un pieno servizio legale finanziato dallo Stato anche in assenza degli specifici requisiti reddituali che normalmente esso comporta – conclude Laganà -. Ciascuna delle persone che si spinge a farci visita prova timori ed è turbata da quesiti ai quali cerchiamo di dare chiarificazioni e risposte al meglio delle nostre possibilità e soprattutto differenziando la consulenza sulla base del singolo caso che ci troviamo dinnanzi”.