“Daremo indicazioni affinché dal 1° gennaio 2019 si possa equiparare il contratto dei Vigili del fuoco regionali con quello nazionale”. La promessa, datata 17 ottobre 2018, era stata avanzata dall’Assessore con le deleghe alla Protezione civile, Elso Gérandin, a una rappresentanza degli stessi Vigili del Fuoco, a seguito di una protesta sotto palazzo regionale. “Dobbiamo approvare una norma che consenta l’applicazione del contratto nazionale restando nel Comparto unico – spiegava Gérandin – ed è giusto che i Vigili del fuoco valdostani non guadagnino un euro di meno rispetto ai colleghi del Corpo Nazionale. Adesso bisogna trovare le risorse e inserirle nel bilancio preventivo”.
Sono passati oltre due mesi e un cambio di Giunta regionale ma le questioni sollevate sono ancora senza risposta. Insomma, il nuovo anno è arrivato ma il contratto dei Vigili del Fuoco è rimasto lo stesso. Ma non è tutto. Se all’epoca il presidente della Regione, Nicoletta Spelgatti, aveva annunciato l’apertura di un tavolo tecnico per affrontare la questione molte altre criticità rilevate dal corpo valdostano restano inascoltate.
Sono tutte riassunte in un documento datato 30 aprile 2018, redatto da Conapo, sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco, e ribadito ancora lo scorso 17 ottobre, con una lettera indirizzata alla Giunta e al Consiglio Regionale.
I Vigili del Fuoco meno pagati d’Italia
La questione del contratto, ovviamente, rimane il nodo principale. “A differenza di quanto avvenuto a livello ministeriale in cui ai Vigili del Fuoco, oltre all’aumento medio della pubblica amministrazione, sono state riconosciute altre indennità ed aumenti volti in buona sostanza a ridurre il gap retributivo rispetto alle altre forze dell’ordine dello Stato – spiegano dal sindacato – in Valle d’Aosta, stando alle proposte dell’amministrazione, si vedrebbero riconosciuti aumenti mensili inferiori in alcuni casi anche di alcune centinaia di euro. Insomma, siamo i Vigili del Fuoco meno pagati d’Italia”.
Quindi? Cosa è possibile fare per riconoscere pari dignità ai vigili del fuoco valdostani rispetto a quelli che operano nel resto del territorio nazionale? “Riteniamo che anche in Valle d’Aosta si debba adottare il “modello Trentino” che consiste nello stabilire con apposita norma che al vigile del fuoco del Corpo Valdostano spetta lo stesso trattamento economico dei Vigili del Fuoco del Corpo Nazionale”. C’è poi la questione, altrettanto scottante, dell’assenza di certezza di trattamento paritario a livello pensionistico sia per i requisiti d’accesso sia per il trattamento economico rispetto al Corpo Nazionale e al Corpo Permanente dei Vigili del Fuoco della provincia autonoma di Trento e Bolzano.
Questa problematica deriva dalla mancanza di una norma di attuazione, nonostante l’Amministrazione regionale ne fosse già a conoscenza al momento del transito della competenza del servizio antincendi, tant’è che all’interno del Corpo regionale ci sono due trattamenti pensionistici diversi fra colleghi dello stesso Corpo valdostano.
Infine l’impossibilità di aderire all’Opera Nazionale di Assistenza per il personale del Corpo Nazionale: una forma assistenziale certa che opera da anni in confronto ad un welfare aziendale che rimane ancora alquanto fumoso e vago sull’ormai rinnovato contratto del comparto unico.
La carenza di personale
Una delle esigenze sottolineate in più occasioni dal sindacato riguarda la revisione della pianta organica, rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi 20 anni, e nello specifico il ripristino di un numero congruo di qualificati e la relativa programmazione dei concorsi per passaggi di qualifica. “Rileviamo una grave carenza di personale graduato (7 Capi Squadra, 4 Capi Reparto e 5 Collaboratori Tecnici Antincendi), a fine 2018 e le cifre sono destinate a crescere a causa dei prossimi pensionamenti: almeno 6 in questo 2019”.
Mancano divise, caschi e dispositivi di protezione individuale
I Vigili del Fuoco lamentano poi un altro fatto piuttosto grave: mancano svariati dispositivi di protezione individuale. “Allo stato attuale – spiega Conapo – si è addirittura verificato un episodio in cui, a causa della mancanza di scorte, un operatore si è ritrovato sprovvisto per quasi un anno del completo antifiamma e ha dovuto risolvere il problema chiedendolo in prestito ad un collega, inoltre gran parte degli elmi in dotazione risultano essere oltre la data massima di utilizzo. Nel Corpo Nazionale, al fine di garantire l’operatività dei vigili, la dotazione è di minimo due completi antifiamma. I nostri che a fatica stiamo cercando di cambiare hanno circa 15 anni. Riteniamo imprescindibile la messa a disposizione urgente di risorse sufficienti a garantire nell’immediato l’acquisto di nuovi e sufficienti dispositivi di protezione individuale”. L’assenza di tessera di riconoscimento per tutto il personale, poi, insieme alla mancanza di qualifica di agenti di pubblica sicurezza, “non permette di disporre dei pieni poteri necessari ad imporre, ove necessario, le misure urgenti ed immediate a tutela della pubblica e privata incolumità”.
Una caserma vecchia e inadatta
Anche sull’annosa questione della sede, il sindacato non le manda a dire. “Purtroppo da troppi anni l’Amministrazione ha dimostrato uno scarso interesse ad affrontare in maniera seria i problemi: circa un decennio fa, di fronte alla impietosa realtà dei fatti cioè uno stabile non più rispondente né come spazi totali né come funzionalità alle oramai evolute attività del Corpo ed anche al numero stesso del personale operativo, si era deciso per la progettazione di una nuova caserma in altro sito, poi successivamente per un ampliamento e ammodernamento dello stabile attuale”.
Passato un decennio, è stata abbattuta una parte degli edifici, tra cui quella destinata agli addestramenti, ed è stata costruita solamente una parte del lotto originario destinata a garage per gli automezzi di impiego immediato e relative camerate al primo piano. “Alla fine di questo travagliato percorso si è acuita la carenza di spazi da destinare ad uffici, magazzini per i vari settori specialistici, zone addestrative con il risultato di rendere il comando non più funzionale e vivibile per gli operatori stessi. E’ fondamentale la messa a norma dal punto di vista antisismico della struttura, l’urgente effettuazione di interventi volti ad eliminare le continue e copiose infiltrazioni di acqua nelle strutture in occasione di piogge o disgelo che provocano l’allagamento di varie zone della caserma e la verifica della qualità dei lavori effettuati in occasione della costruzione della nuova palazzina in cui, a distanza di pochi anni, sono comparse evidenti crepe interne e infiltrazioni di acqua dal tetto. Anche gli interventi legati al risparmio energetico non devono più essere trascurati”.
Non fa eccezione, infine, la sede del distaccamento di Courmayeur. “A nostro avviso – conclude il sindacato – presenta gravi carenze dal punto di vista del rispetto della normativa sulla sicurezza”.
Meno burocrazia, più efficienza
Il sindacato, poi, si auspica che “venga individuata una ‘procedura di urgenza’ all’interno dell’amministrazione regionale che permetta di snellire e ridurre al minimo la tempistica dei procedimenti amministrativi relativi a acquisto, manutenzione, riparazione, sostituzione di materiale, attrezzatura, abbigliamento e tutto quanto strettamente connesso allo svolgimento delle attività di soccorso del Corpo”. Per non parlare, poi, dell’inefficienza di software gestionali per il lavoro della Sala Operativa, cuore pulsante della caserma e cervello del soccorso. “Se fossero gli stessi del Ministero – spiega il sindacato – permetterebbero ai due Corpi di interfacciarsi istantaneamente”.
La questione dei mezzi
Purtroppo anche la questione del parco mezzi in dotazione al Corpo meriterebbe una riflessione. Basti pensare che gli ultimi veicoli fuoristrada, le cosiddette “campagnole”, adibiti al soccorso tecnico urgente sono stati acquistati più di 15 anni fa e che l’età media delle APS (Auto Pompa Serbatoio, il principale veicolo di intervento) è di 19 anni (la più recente risulta acquistata nel 2007). E non è finita: se si danneggiasse o se dovesse essere eseguita manutenzione ordinaria sull’autogru più recente (anno di fabbricazione 2003) dovrebbe intervenire l’autogrù di scorta, il cui primo intervento risale al terremoto dell’Irpinia (autunno 1980). Discorso simile anche per le autoscale. E la manutenzione spesso tiene fermi per mesi veicoli adibiti al soccorso: per contare i “fuori servizio” (veicoli non disponibili per il soccorso e le attività di istituto) non sono sufficienti le dita di due mani, quando va bene.