Assoluzioni per il vallo di Courmayeur: la Procura fa appello
La Procura ha impugnato le quattro assoluzioni “perché il fatto non sussiste”, pronunciate lo scorso 19 marzo dal Gup Giuseppe Colazingari, di due dirigenti regionali e due geometri dell’Assessorato alle Opere pubbliche, al termine del processo di primo grado nato dalle indagini sul Vallo di Courmayeur. L’atto di appello è stato depositato dal pm Carlo Introvigne, che ha rappresentato l’accusa nel processo al Tribunale di Aosta.
Il “By-pass” al centro delle indagini
I dirigenti regionali Valerio Segor e Raffaele Rocco, quest’ultimo all’epoca nominato commissario alla gestione dell’emergenza della frana del monte La Saxe, erano chiamati a rispondere di malversazione, imputazione legata soprattutto – per gli inquirenti – alla mancata realizzazione del by-pass della Dora di Ferret, rientrante nel progetto originario per cui la Regione aveva ricevuto stanziamenti per 8 milioni di euro dallo Stato (non destinati interamente alle opere previste, per l’accusa, ma solo al “vallo ciclopico”).
Nel sentenziare, tuttavia, il giudice aveva concluso che i due imputati non potessero essere soggetti attivi del reato contestato, perché proprio di figure estranee alla Pubblica amministrazione. Per il pm Introvigne, tuttavia, tale interpretazione è errata, dovendosi invece vedere l’estraneità in chi, pur dipendente pubblico (come i due imputati), “non partecipa al procedimento che conduce all’erogazione” dei fondi oggetto dell’accusa.
Nel merito, il pm rilancia poi le tesi per cui “fin dal primo giorno in cantiere era oggettivamente chiara l’intenzione e l’indicazione di non procedere con la realizzazione del ‘by-pass’, ma questa non è mai stata formalizzata”, malgrado “la Commissione di collaudo ha sempre indicato come ineludibile” tale opera, e che la decisione di non attuarlo “non è mai stata comunicata al Dipartimento nazionale della protezione civile” nel periodo dell’emergenza, terminato a gennaio 2015.
Le accuse sul ciclo amministrativo
Le altre imputazioni del procedimento erano attinenti al ciclo amministrativo dell’opera, risalente al 2014. Segor, quale Responsabile Unico del Procedimento, era accusato di aver violato la legge sotto due distinti profili, per favorire patrimonialmente due dipendenti regionali, Furio Saravalle e Ronny Salvato, a loro volta a processo, incaricandoli della direzione dei lavori (il primo) e della progettazione architettonica dell’intervento (entrambi).
La a prima violazione (da cui era discesa l’imputazione d’abuso d’ufficio per Segor) avrebbe riguardato, agli occhi della Procura, l’obbligo di astensione cui il dirigente sarebbe stato tenuto in considerazione del conflitto di interessi con uno dei due tecnici (co-intestatario, con lui, di una concessione edilizia gravata da mutuo ipotecario). L’altro addebito mosso (tradottosi nell’accusa di esercizio abusivo della professione per tutti e tre) era l’aver svolto surrettiziamente la professione d’ingegnere (le indagini erano scaturite proprio dall’esposto di tale Ordine professionale).
Argomenti che il Gup non ha condiviso, assolvendo per entrambe le imputazioni. Segor perché “non è ravvisabile un interesse proprio tale da imporre l’astensione nel fatto che” dirigente e subalterno fossero “cointestatari di una concessione edilizia”, mentre l’accusa sull’abuso professionale è caduta con la formula legata alla mancanza, all’insufficienza o alla contraddittorietà delle prove atte a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio il reato.
Il pronunciamento “apodittico”
Definendo il pronunciamento “apodittico”, riguardo al primo aspetto il pm ritiene nell’atto d’impugnazione “evidente che vi fosse uno specifico e personale interesse da parte del Rup a nominare l’amico”, attribuendogli “un incarico atto ad incrementare e garantire la sua posizione patrimoniale”. “Non vi è chi non veda come”, in un caso del genere, “la salute economica dell’uno giovi all’altro”. Inoltre, secondo Introvigne, se il giudice “non ha ritenuto di ravvisare l’interesse (nella nomina, ndr.), avrebbe dovuto spiegarne i motivi” in sentenza.
Quanto all’altra imputazione, per la Procura gli imputati hanno “in assenza del relativo titolo e delle relative competenze, svolto un incarico da ingegneri per i quali sono stati lautamente retribuiti, senza che a nulla rilevi il fatto che essi non si siano presentati come ingegneri al pubblico privato”, né che, “in posizione defilata e subordinata, abbiano dato loro un aiuto degli ingegneri professionisti”. La parola, dopo le assoluzioni aostane, passerà ora alla Corte d’Appello di Torino, chiamata a fissare il procedimento di secondo grado.