Si chiude definitivamente il procedimento penale sull’ipotesi di una bancarotta fraudolenta del Casino de la Vallée, da parte di ex amministratori unici e componenti del collegio sindacale. Se nel gennaio di un anno fa, la Procura chiese l’archiviazione del fascicolo, il Gip Giuseppe Colazingari ha accolto tale istanza, mettendo nero su bianco nel decreto depositato qualche settimana fa che non vi è “alcuna possibilità di sostenere l’accusa in giudizio”.
L’insussistenza del reato origina – dato valso anche per le conclusioni cui era giunto il pm Luca Ceccanti, titolare dell’inchiesta – dalle “conclusioni rassegnate dal collegio”, composto dagli accademici Enrico Laghi, Vittorio Dell’Atti e Michele Di Marcantonio, nella maxi-perizia svolta in sede di incidente probatorio disposto dal Tribunale (ed esaminata in aula nel dicembre 2020).
L’iscrizione nel registro degli indagati era scattata per i già amministratori unici Luca Frigerio (52 anni, rimasto per più anni in carica tra i coinvolti e difeso dall’avvocato Maria Chiara Marchetti, con il supporto, per la parte tecnica, dai docenti Corrado Ferriani e Andrea Perini), Lorenzo Sommo (57, assistito dal legale Federica Gilliavod) e Giulio Di Matteo (53), nonché per i sindaci della società al tempo Fabrizio Brunello (51, rappresentato dall’avvocato Corrado Bellora), Jean-Paul Zanini e Laura Filetti (53 e 61 anni, difesi all’epoca da Maria Rita Bagalà).
La posizione dell’au Di Matteo
Per Di Matteo, il quesito posto ai tecnici riguardava l’accertamento dell’eventualità che “i contratti da lui stipulati e le operazioni poste in essere”, agendo quale amministratore unico, avessero “concorso all’aggravamento del dissesto”. Ipotesi che il Gip non trova riscontrata dai periti, richiamando la loro conclusione per cui negli atti considerati “non si ravvisano profili di criticità o, comunque che (in minima parte) non è possibile esprimere un giudizio in merito alla sussistenza di tali profili”.
E quelle degli altri indagati
Per gli altri indagati, la partita concerneva soprattutto l’iscrizione in bilancio delle voci su immobili e sul recupero di imposte anticipate per più esercizi. Per i primi, “in tutti i bilanci esaminati le appostazioni in materia” immobiliare “risultano conformi alla normativa all’epoca vigente”, così come l’inserimento nei documenti contabili 2011 e 2012 delle imposte anticipate.
Su questa voce, però, “non risultano corrette le appostazioni” nei bilanci degli “anni 2013, 2014 e 2015”. Un’affermazione dettata dal fatto che “tale iscrizione si colloca in un contesto di performance economiche progressivamente peggiorate negli ultimi tre esercizi”. Tuttavia, scrive il Gip Colazingari, risulta “dirimente la conclusione” dei periti, per cui nel periodo esaminato “la società mai si è trovata in stato d’insolvenza, nel senso di patrimonio netto negativo, non essendo quindi ravvisabili quelle condotte rilevanti che si devono concretare in comportamenti che abbiano anche concorso a cagionare il dissesto”.
Il capitolo non ancora chiuso
Per il capitolo sull’ipotizzata bancarotta fraudolenta che va in archivio, non vi sono invece novità su quello legato all’accusa di falso in bilancio, mossa a cinque tra ex amministratori unici e sindaci, relativamente proprio all’iscrizione delle imposte anticipate nei bilanci degli esercizi 2012-2015. La Corte di appello di Torino, ove il procedimento è giunto (per effetto dei ricorsi degli imputati e della Procura), non risulta ad oggi aver fissato udienze per la discussione del secondo grado di giudizio (al Tribunale di Aosta, due diversi filoni processuali avevano dato esiti contrapposti). Vista l’epoca cui si riferiscono i fatti, il reato contestato è ad elevato rischio di prescrizione.