La fine della latitanza trentennale di Matteo Messina Denaro, catturato dai Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale a Palermo oggi, lunedì 16 gennaio, è salutata da Libera della Valle d’Aosta con soddisfazione per il risultato dello Stato che essa rappresenta, ma anche con una riflessione sulle circostanze.
Corti: “non dimenticare le coperture”
“Da un lato siamo felici, – dice Donatella Corti, referente nella nostra regione dell’associazione antimafia – ma allo stesso tempo non dimentichiamo che per 30 anni è stato al centro di una rete di coperture”. Ovviamente, il contrasto alla criminalità organizzata “non finisce con l’arresto di una persona e anzi occorre che questo arresto rinvigorisca ulteriormente la lotta alle mafie e alla corruzione”.
“Speriamo – conclude Donatella Corti di Libera VdA – che il suo arresto consenta di fare piena luce su alcuni dei misteri italiani dei quali lui è stato ritenuto colpevole già in aule giudiziarie, quindi speriamo nelle confessioni e in ciò che lui potrà dire per restituire verità e giustizia per il familiari delle vittime innocenti”.
La cattura in una clinica privata
L’inchiesta in cui è finito in manette il capomafia di Castelvetrano (Trapani) è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Messina Denaro è stato arrestato all’interno della clinica privata dove, un anno fa, era stato operato e si stava sottoponendo ad alcune terapie. Ai sanitari aveva esibito un documento falso con il nome di Andrea Bonafede.
L’arresto del capomafia giunge nell’anniversario delle manette ad un altro boss, Totò Riina, il “Capo dei Capi” individuato e catturato dagli uomini dell’Arma trent’anni fa. La latitanza di Messina Denaro era iniziata nell’estate del 1993. Nel frattempo è stato condannato all’ergastolo per diversi omicidi e altri fatti di sangue.
Tra questi, quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino figlio di un pentito sciolto nell’acido. Sul suo capo, anche le condanne per le stragi del 1992, in cui perirono i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e gli attentati del 1993 a Milano, Firenze e Roma. Era l’ultimo boss mafioso “di primo piano” ad essere ancora ricercato.
Don Ciotti: “le mafie non sono riducibili ai loro capi”
A proposito della cattura, Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, mette l’accento sul fatto che a preoccupare “un po’” è “rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di ‘grande giorno’, di ‘vittoria della legalità’ e via dicendo”.
“Non vorrei si ripetessero pure – aggiunge Don Ciotti – gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina, e di Provenzano. Le mafie non sono riducibili ai loro ‘capi’, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forma del sistema”.
Sviluppo di cui, secondo il fondatore di Libera, “proprio Matteo Messina Denaro è stato promotore e protagonista, traghettando ‘Cosa Nostra’ dal modello militare e ‘stragista’ di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico capace di dominare attraverso la corruzione e il ‘cyber crime’ riducendo al minimo l’uso delle armi”.