Era indispensabile che il dottor Gianluca Iob, quel giorno a casa in quarantena perché positivo al Covid-19, prendesse parte all’intervento chirurgico per cui è entrato in sala operatoria domenica 19 aprile scorsa? E’ l’interrogativo al quale i Carabinieri del Nucleo Investigativo cercano risposta attraverso i primi accertamenti sulla documentazione sequestrata lunedì scorso, 4 maggio, all’ospedale “Parini”, assieme ai colleghi del Nucleo Antisofisticazioni.
Delegati dalla Procura, i militari – gli stessi che hanno condotto indagini come “Geenna” o “Egomnia” sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta nel tessuto valdostano, o come quella sulla frode nell’appalto delle piscine regionali – stanno guardando alla vicenda da diverse angolazioni. Una delle più rilevanti, ai loro occhi, riguarda la valutazione sull’urgenza, compiuta dalle autorità sanitarie, dell’operazione cui è stata sottoposta una 60enne che vive in Valle da anni, colpita dalla dilatazione dell’arteria splenica.
La paziente era in pericolo di vita? Le sue condizioni rendevano necessario procedere esclusivamente com’è avvenuto, o esistevano altre opzioni, vedi l’intervento di un radiologo, in tecnica endovascolare? E se l’approccio tradizionale era l’unica soluzione, perché – con altri otto dirigenti medici nell’organico della Struttura complessa di chirurgia vascolare (peraltro, appena uno in meno delle “Molinette” di Torino, presidio che contribuisce a servire una città metropolitana da 2,28 milioni di abitanti) – i vertici dell’Unità Sanitaria Locale hanno ritenuto fondamentale far entrare in sala operatoria un chirurgo in quarantena per il virus che sta mettendo in ginocchio il mondo, “mossa” non senza rischi malgrado l’uso dei dispositivi protettivi e della sala operatoria “a pressione negativa”?
Nelle mani dei Carabinieri del Reparto Operativo ci sono la cartella clinica della donna (sottoposta a tampone Covid-19 nei giorni successivi, con esito negativo) e il registro operatorio. Si tratta del materiale da cui sono attesi gli elementi per sciogliere questi nodi. Altri punti su cui si concentrano le attenzioni degli inquirenti in questa fase sono le condizioni del chirurgo nel giorno in cui ha operato. Pubblicamente, il direttore sanitario Usl Pier Eugenio Nebiolo lo ha descritto “debolmente positivo” al virus e “asintomatico”. Affermazioni di cui gli uomini dell’Arma stanno cercando riscontri nella documentazione sanitaria.
Infine, siccome era isolato in casa, come tutti coloro che scaturiscono positività al test sul nuovo Coronavirus (svolto due giorni prima), dopo il “semaforo verde” dell’azienda a procedere all’intervento, com’è arrivato al nosocomio regionale il primario: autonomamente od accompagnato (e, nel caso, da chi)? Punti che, una volta messi a fuoco in sequenza, restituiranno i rischi di contagio effettivi comportati dall’intera operazione, contribuendo così a rispondere all’interrogativo principale. Da quell’esito, il pm Francesco Pizzato – titolare del fascicolo sulla diffusione del Covid-19 in varie strutture in Valle – deciderà se la vicenda integri delle ipotesi di reato, al momento non formulate.
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Ipotesi di reato : quando finiremo di farci del male da soli ?
Un medico ,da quanto letto sugli organi di informazione,salva la vita a una persona
tutto và per il meglio e questi indagano .Lasciatevelo dire da un montanaro ci
sarebbe di meglio da fare da indagare seriamente purtroppo il lungo braccio dello
stato è forte con i deboli e debole con i forti.