Dopo due gradi di giudizio chiusi con una condanna, la Cassazione ha riformato la sentenza relativa al concorso bandito dall’Usl nel 2017 per l’assunzione di quattro ginecologi. Per la rivelazione di segreto d’ufficio, il primario del reparto di ginecologia-ostetricia del “Beauregard”, Livio Leo (60 anni), che era presidente della commissione giudicatrice, dovrà affrontare un nuovo processo. La Suprema Corte ha infatti disposto, per quel reato, l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino.
Per l’altra imputazione di cui il medico era stato giudicato colpevole, l’abuso d’ufficio, i giudici della Cassazione hanno stabilito l’annullamento senza rinvio, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Questa decisione è stata assunta anche nei confronti della condanna di un altro dottore, Enrico Negrone (64), che al tempo era componente della commissione del concorso ed in servizio fuori Valle.
A Leo erano stati inflitti dal Tribunale di Aosta, per entrambi i reati, 10 mesi di carcere (pena sospesa) il 13 ottobre 2020. La condanna era stata confermata dalla Corte d’Appello di Torino il 14 novembre 2022. Negrone, assolto “per non aver commesso il fatto” in primo grado, era stato invece giudicato responsabile dell’abuso d’ufficio in appello, con una pena di 8 mesi (con sospensione e beneficio di non menzione). Il giudizio è poi approdato in Cassazione, per effetto del ricorso degli imputati, con la sentenza giunta nella serata di ieri, martedì 3 ottobre, dopo l’udienza svoltasi in mattinata.
Altri quattro coinvolti nel processo, i candidati risultati idonei al termine della prima prova scritta del concorso, poi annullata dall’Usl dopo alcune verifiche interne all’azienda – i dottori Veronica Arfuso, Andrea Capuano, Francesca Deambrogio e Riccardo Fiorentino – erano stati assolti “per non aver commesso il fatto” dal Tribunale di Aosta, con il medesimo pronunciamento ribadito in Appello (dove lo stesso sostituto procuratore generale aveva chiesto la conferma della decisione che li scagionava).
Le indagini erano nate da un esposto dell’allora consigliera regionale Emily Rini. Se n’erano occupati, coordinati dal pm Luca Ceccanti, i militari del Gruppo Aosta della Guardia di finanza. Secondo quanto appurato dagli inquirenti, il test era avvenuto tramite “quiz”, anziché con domande “aperte”, presentandosi così difforme alle norme in materia (da cui l’ipotesi d’abuso d’ufficio) e la prova era stata preparata con ampio anticipo sulla data dell’esame, con i quattro concorrenti che, per gli inquirenti, erano a conoscenza del suo contenuto (fatti da cui si ravvisava la rivelazione di segreto istruttorio).