Corruzione sotto il Cervino, dalla Cassazione “no” ai risarcimenti chiesti dall’Anas

Dichiarato inammissibile il ricorso per fini civili presentato dall’azienda stradale contro l’assoluzione in sede penale, divenuta definitiva, dell’ingegnere Trasino, dei liberi professionisti Rossi e Benincasa di Caravacio e dell’allora funzionario Passalenti.
La Corte di Cassazione.
Cronaca

Strascico in Corte di Cassazione per un episodio emerso dall’inchiesta su presunti episodi corruttivi a Valtournenche e in ambito Anas. Parliamo dell’imputazione di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, che aveva coinvolto l’ingegnere Corrado Trasino di Aosta, i liberi professionisti Stefano Rossi di Piacenza e Rosario Benincasa di Caravacio di Torino, nonché l’allora funzionario dell’azienda stradale Adriano Rosario Passalenti.

Per tutti, in sede penale, nello scorso marzo, con la rinuncia della Procura generale ad impugnare la sentenza d’appello, era divenuta definitiva l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” pronunciata dai giudici del secondo grado (riformando le condanne inflitte nel giugno 2021 dal Gup del Tribunale di Aosta). L’ipotesi investigativa, non confermata dall’esito processuale, era che i quattro avessero alterato una procedura per l’assegnazione di servizi tecnici della galleria di Etroubles, bandita dall’Anas.

L’azienda stradale, individuata come parte offesa nell’inchiesta e costituitasi nel processo, ha però presentato ricorso in Cassazione ai fini civili. Si tratta di una procedura con cui la società chiedeva che la Suprema corte riconoscesse errata quella parte di sentenza, ponendo a carico degli imputati un risarcimento economico.

La discussione si è tenuta l’altro ieri, lunedì 1° luglio, dinanzi alla sesta sezione penale della Corte. Dopo la discussione delle parti (gli imputati erano difesi dagli avvocati Bellora, Gardi, Fragalà e Feno), il ricorso depositato dall’Anas (rappresentata dall’avvocato Zanalda) è stato dichiarato inammissibile, condannando inoltre l’azienda al pagamento delle spese processuali e di tremila euro a favore della cassa delle ammende.

Sempre l’Anas dovrà rifondere agli imputati le spese di rappresentanza e difesa sostenute nel giudizio (liquidate in 2.500 euro ciascuno). La sentenza d’appello del processo nato dall’indagine “Do Ut Des” dei Carabinieri, oltre ad essere divenuta definitiva a livello penale con 18 assoluzioni degli imputati, resta così intonsa anche sul piano dei suoi effetti civili.

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