“Crack” dei discount, due condanne e un patteggiamento

Quattro anni e sei mesi di reclusione a Francesco Cannatà (75 anni) e due al figlio Vasco (46). L’altro figlio, Milo (42), ha patteggiato un anno ed otto mesi. L’accusa, per tutti, era di bancarotta fraudolenta.
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Cronaca

È finito con due condanne ed un patteggiamento il procedimento che ha coinvolto tre imprenditori del settore discount, tutti accusati di bancarotta fraudolenta. Accogliendo le richieste del pm Luca Ceccanti, al termine dell’udienza tenutasi oggi, giovedì 23 gennaio, il Gup Davide Paladino ha inflitto quattro anni e sei mesi di reclusione a Francesco Cannatà (75 anni, assistito dall’avvocato Stefano Marchesini) e due anni al figlio Vasco Cannatà (46, con Stefano Moniotto e Davide Rossi come legali), giudicati con il rito abbreviato. L’altro figlio, Milo Cannatà (42, difeso dall’avvocato Jacques Fosson), ha invece patteggiato un anno ed otto mesi.

Ai tre risultavano riconducibili cinque società impegnate nella gestione di supermercati “discount” con sede a Sarre, Saint-Christophe e Saint-Martin. Le indagini erano nate da verifiche fiscali svolte dal Gruppo Aosta della Guardia di finanza, sulle annualità 2012 e 2013 delle aziende. Gli inquirenti ritenevano che, per “mascherare” il dissesto economico di due delle ditte, gli imputati avrebbero semplicemente spostato le risorse finanziarie disponibili da una società di famiglia all’altra.

Una condotta che, stando alle “Fiamme Gialle”, oltre a configurare un “totale spregio dell’autonomia gestionale ed amministrativa”, ha lasciato la maggior parte dei debiti in capo alle aziende dissestate, tanto da essere dichiarate fallite nell’agosto del 2016 e del 2018. I tre imprenditori processati erano stati anche arrestati durante le indagini, l’8 agosto 2018, con le misure a loro carico in seguito revocate.

Dagli accertamenti condotti, la Guardia di finanza aveva ritenuto che almeno 2 milioni e 200mila euro fossero “transitati” dalle fallite ad altre società, oltre a fondi trasferiti sui conti degli amministratori e a somme utilizzate a fini personali, attraverso il ricorso alle carte di credito aziendali. Nelle operazioni “non giustificate” i militari comandati dal tenente colonnello Francesco Caracciolo avevano rilevato anche acquisti di “capi di abbigliamento, smartphone, biglietti aerei, gioielli” ed altre spese simili.

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