Dopo il Tar, anche il Consiglio di Stato conferma le interdittive antimafia di due società edili

Le sentenze, pubblicate martedì scorso, 6 marzo, respingono gli appelli presentati da "A.G.F." e "I.C.F.", contro il verdetto amministrativo di primo grado. Per i giudici, circostanze “plurime e di segno monodirezionale” del rischio d'infiltrazione.
Cronaca

Le interdittive antimafia nei confronti delle società “A.G.F. Srl” e “I.C.F. Srl”, emanate nell’aprile 2016 dal Questore di Aosta, restano in vigore. Dopo il Tribunale Amministrativo della Valle d’Aosta, che aveva bocciato i ricorsi delle due aziende nel marzo 2017, è ora il Consiglio di Stato, con le sentenze pubblicate martedì scorso, 6 marzo, a rimandare al mittente l’appello promosso dalle ditte attive nel settore edile contro il verdetto di primo grado. In particolare, le imprese chiedevano l’annullamento degli atti di esclusione dalla “white list” per gli appalti pubblici e di provvedimenti successivi di Anac e Regione.

Per il Consiglio di Stato, i provvedimenti del Questore “risultano legittimi e del tutto esenti da censure di erroneità, travisamento dei fatti e illogicità”. Tali presunti vizi erano stati sollevati dall’avvocato Andrea Giunti, che assiste le aziende valdostane, ma secondo i magistrati d’appello ognuna delle ricorrenti “non contesta gli elementi fattuali esposti”, limitandosi “ad offrirne una deversa lettura”, del tutto “inidonea a concretizzare la denunciata illogicità e l’erroneità” dei provvedimenti impugnati.

Il Consiglio di Stato ribadisce che “la concreta sussistenza del rischio di infiltrazione si fonda”, nella fattispecie, “su una serie di circostanze concrete che vanno lette congiuntamente" e che "risultano plurime e di segno monodirezionale”. In particolare, viene indicato “dirimente” il “pacifico ruolo di dominus” esercitato da un socio di “A.G.F.”, anche dipendente di “I.C.F.”, malgrado le due società presentassero amministratori diversi (ma sede allo stesso indirizzo di Aosta).

Le sentenze richiamano poi la “cessione formale delle quote di maggioranza alla madre (o a qualsiasi altro congiunto, preferibilmente incensurato)” attuato dalla stessa figura nell’ambito del rilevamento, da parte dell’“A.G.F.”, di un ramo d’azienda (riguardante lo sgombero neve) di una società in liquidazione. Una dinamica, il passaggio di quote tra parenti, che “rappresenta un classico del modello operativo adottato dall’impresa potenzialmente infiltrata”.

Infine, “ma primariamente”, i giudici del Consiglio rilevano “il coinvolgimento” dell’uomo in “vicende criminali, dettagliatamente descritte sia dal primo giudice, sia negli istruttori del procedimento amministrativo concluso dal Questore”. A tal proposito, nelle sentenze compare come “quantomai sintomatica” la cessione “a soggetti sospettati di far parte di pericolose organizzazioni criminali” di esplosivo, fatto per cui l’uomo era stato condannato nel 2004, con giudizio successivamente confermato in appello.

Le impugnative delle due società non riguardavano solo gli atti del Questore, ma anche l’inserimento delle rispettive interdittive nel casellario dell’Anac e la revoca, operata dalla Regione, delle autorizzazioni all’esercizio di attività estrattive ed ambientali. Per i magistrati del Consiglio di Stato, si tratta di atti “dal contenuto sostanzialmente vincolato”, vale a dire connessi all’interdizione. Le due società, nel veder respinti i loro appelli, sono anche state condannate a pagare le spese processuali, liquidate in 2.000 euro per ricorso.

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