Il giudice di Aosta Davide Paladino ha condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione, oltre al pagamento dei danni (quantificato in venti mila euro) alle parti offese (Luciano Caveri e sua moglie Nora Martinet) e a cinque mila euro per le spese processuali, Gian Franco Fisanotti, 67 anni, di Aosta. L’imputato, difeso dall’avvocato Filippo Vaccino del foro di Aosta, era accusato di concorso in autocalunnia e diffamazione. Assolto, invece, “perché il fatto non sussiste’’, dall’accusa di detenere illegalmente una pistola.
Questa mattina si è tenuto il processo e dopo un’arringa durata un’ora, in cui il pm Luca Ceccanti chiedeva una pena a 16 mesi, alle 16.45, dopo un po’ più di mezz’ora di camera di consiglio la sentenza di condanna. Le motivazioni sono attese tra 15 giorni.
I fatti risalgono al gennaio del 2008, quando il giornalista Patrizio Gabetti (che per il reato di autocalunnia ha già patteggiato) aveva scritto una lettera alla Corte d’Appello di Torino in cui si accusava di essere lui l’autore di una serie di volantini anonimi e diffamatori, nei confronti del consigliere regionale Luciano Caveri e di altri esponenti politici. Proprio per quella vicenda in primo grado Gian Franco Fisanotti era già stato condannato dal gup di Aosta.
Gabetti, come emerso nel corso del dibattimento, era stato costretto da Fisanotti a scrivere e spedire quella lettera, in cui si prendeva tutte le responsabilità. “Fisanotti mi aveva promesso che se le cose fossero andate bene mi avrebbe dato 20 mila euro. Soldi che non ho mai preso’’. Per quanto riguarda la diffamazione, all’imputato veniva contestato di essere l’autore di una lettera gravemente diffamatoria nei confronti di Luciano Caveri e di Nora Martinet, fatta arrivare a numerosi politici valdostani, oltre di essere l’autore di alcuni post spediti a blog valdostani. “Fu Fisanotti a darmi una chiave usb – continua Gabetti nella sua deposizione in aula – e a chiedermi di mettere in rete alcuni scritti. Io non sapevo neppure cosa ci fosse. Sono andato nel call center di via Féstaz, di cui ero cliente, ho mandato i messaggi e poi sono rimasti lì circa un’ora per vedere anche alcune mie cose. Ma non sapevo il contenuto dei messaggi’’. Durante il processo sono stati sentiti numerosi testimoni, oltre agli uomini della Digos, che hanno condotto le indagini, e a quelli della polizia postale che hanno fatto i rilievi tecnici.
Tra i testi, non solo Gabetti, ma anche Angelo Bozzetti e Renato Ravelli. “Sono venuti a fare una perquisizione a casa mia – racconta Ravelli – sospettavano che fossi io l’autore di alcuni messaggi diffamatori. Io non c’entravo nulla, per cui mi sono offerto di collaborare con la Digos. Proprio per questa ragione ho accettato di registrare le conversazioni di Fisanotti. Non mi disse mai che era lui l’autore di quegli esposti anonimi, ma disse che Gabetti si sarebbe accusato di questo’’. Numerose le dichiarazioni spontanee dell’imputato, che ha sempre respinto duramente tutte le accuse, cercando di dimostrare che tutto era stato architettato dallo stesso Gabetti, che avrebbe nutrito dei risentimenti nei confronti di Luciano Caveri.
“Si tratta di una vicenda oscura complessa e squallida – ha commentato il pm Luca Ceccanti nella sua requisitoria – e soprattutto c’è da tenere conto anche di tutta una serie di personaggi e relazioni ambigue. Ma non ci sono dubbi sulla responsabilità dell’imputato. Dal dibattimento è emerso il feroce odio di Fisanotti nei confronti di Caveri’.
Anche per l’avvocato di parte civile, Sergio Badellino, non ci sono dubbi sulla responsabilità di Fisanotti. L’avvocato della difesa, Filippo Vaccino, invece, ha cercato di smontare la credibilità di alcuni testimoni, in modo particolare le dichiarazioni di Patrizio Gabetti e Angelo Bozzetti. ‘Gabetti e’ venuto in aula – spiega nella sua arringa Vaccino – solo perché accompagnato dai carabinieri. Le sue dichiarazioni sono del tutto prive di credibilità’’. L’avvocato della difesa ha annunciato ricorso in appello.