A guardarla stamattina, la bassa Valle sembrava lontana dal maltempo che l’ha funestata sabato. La Dora ha perso la furia limacciosa e torva, ritrovando il verde per cui è nota in questa stagione. Le mandrie sono tornate nei prati del fondovalle, di un verde tanto intenso da sembrare luccicante, e le nuvole si sono fatte più alte e rade. Il sole non solo fa capolino, ma staglia sulla striscia d’asfalto davanti alla chiesa di Arnad le ombre della moltitudine di persone convenute oggi, martedì 6 ottobre, per l’ultimo saluto al Vigile del fuoco volontario Rinaldo Challancin, strappato alla vita a 53 anni, mentre con la sua squadra combatteva le prime conseguenze delle intemperie, sulla statale 26 ostruita da una pianta.
Una morte che in paese – dove i “Sapeurs pompiers volontaires” rappresentano per tutti i naturali eredi di una solidarietà comunitaria iniziata oltre un secolo prima, tanto che anche il Sindaco Pierre Bonel indossa la divisa del Corpo sotto la fusciacca – è giunta nelle case come una perdita in famiglia. Lo capisci dal numero di colleghi dei distaccamenti dell’intera regione che, davanti al Municipio in cui da ieri era allestita la camera ardente per Challancin, aspettano di accompagnarlo nella sua ultima “partenza” terrena (così, in gergo tecnico, viene indicata l’uscita dalla caserma per un intervento). Lo capisci dall’assenza di un carro funebre: il feretro in legno chiaro poggia su una bandiera tricolore adagiata sul vano posteriore di un pick-up dei Vigili del fuoco, scortato da un altro autocarro dalla livrea rossa, con le corone floreali sui lati.
Nel corteo che percorre il centinaio di metri tra la casa comunale e la chiesa, subito dopo gli stendardi degli altri gruppi di soccorso della zona, i due caschi protettivi con cui Challancin affrontava la quotidianità professionale. Quello da caposquadra dei volontari e quello da capomacchina del servizio antincendio del tunnel del Monte Bianco, dove lavorava dal 2006. I simboli materiali di una costante disponibilità a contribuire alla serenità altrui, al fatto che la comunità di Arnad e dintorni potesse condurre una quotidianità non perturbata e che i tanti mezzi che attraversano ogni giorno il tunnel tra Italia e Francia riuscissero a farlo liberi dai fantasmi del 24 marzo 1999, data dell’incendio che ha cambiato la storia delle gallerie autostradali.
In chiesa, per le limitazioni Covid-19 l’ingresso è limitato. All’uscita della bara, la moglie Anna e le figlie Marzia e Stephanie si sorreggono a vicenda. Per coloro che lo conoscevano, Challancin era sempre tra i primi a farsi avanti all’insorgere di un problema da risolvere. Lo ha fatto anche quando sabato 3 ottobre era iniziato da poche ore, ma un albero gli è caduto addosso, durante il tentativo di liberare la principale arteria stradale tra Bard e Arnad, per sottrarre la zona ad un blocco stradale che, in un’emergenza maltempo, può rivelarsi soltanto foriera di altre criticità. E non si è più rialzato. Non ha più fatto ritorno dai suoi affetti e da quegli amici coscienti, quanto lui, di quanto la solidarietà comunitaria possa fare la differenza nei momenti complicati.
Nella scelta di un mestiere come quello del Vigile del fuoco (anche se non a tempo pieno, su base volontaria) l’accettazione del pericolo è implicita e consapevole. Ce lo si ripete spesso, e lo sanno bene tutte le autorità che sin da poche ore dopo l’incidente hanno espresso cordoglio per la scomparsa del vicecomandante del distaccamento dei volontari della bassa Valle (dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte al ministro Luciana Lamorgese, sino alle massime istituzioni della Regione), ma la commozione, i capi chini sulle tute scure e il silenzio di stamattina ad Arnad dicevano anche un’altra cosa: che non è scontata. Per nulla.