Il bar “Rocce Nere”? Per la Procura è figlio di un “patto corruttivo”

Il decreto del Gip Colazingari ripercorre gli episodi, e le accuse di concorso in corruzione e violazione della normativa edilizia, che hanno condotto al sequestro del locale sulle piste di Cervinia.
Rocce nere
Cronaca

“Leggi… poi mi ringrazierai eh”. Lo dice il 28 febbraio 2018 Fabio Chiavazza, all’epoca capo dell’ufficio tecnico di Valtournenche, a Federico Maquignaz, presidente della “Cervino SpA.”. Parole pronunciate (e registrate dai Carabinieri della Compagnia di Châtillon/Saint-Vincent) nell’ufficio del funzionario ed accompagnate dalla consegna “informale”, al responsabile della società degli impianti partecipata dalla Regione (tramite Finaosta), del parere tecnico che dà il “via libera” ai lavori di “rinascita” del bar “Rocce Nere” sulle piste di Cervinia. Si tratta del locale cui oggi hanno posto i sigilli gli uomini dell’Arma e della Sezione di polizia giudiziaria del Corpo Forestale della Valle d’Aosta presso la Procura.

Quell’episodio, secondo le indagini condotte dal pm Luca Ceccanti, suggella il “patto corruttivo” consumatosi tra i due, per “agevolare” una pratica edile che, altrimenti, non avrebbe avuto chances. Dall’arrivo in municipio del progetto, infatti, emergono palesi difformità rispetto agli strumenti urbanistici in vigore nella zona di Plan Maison, dove il locale sorge. In particolare, appaiono illegittimi gli aspetti, riassunti dal Gip Giuseppe Colazingari nel decreto con cui dispone il sequestro preventivo, di “demolizione del vecchio stabile e realizzazione di un nuovo corpo completamente diverso” e, “ciò che più conta, superiore in altezza a quella dell’immobile preesistente” (da nove a dodici metri e mezzo) e “con realizzazione di un piano fuori terra ulteriore rispetto” alla costruzione originaria (da due a tre).

L’immobile è proprietà della “Cervino SpA”, che nutre un interesse strategico nel progetto, giacché la formula scelta è quella della realizzazione dell’intervento a carico degli appaltatori, che disporranno in cambio della gestione dell’attività per anni. Dinanzi alle criticità manifeste dal tecnico inizialmente assegnatario del dossier (in seguito, passerà di mano), Maquignaz si rivolge direttamente a Chiavazza, nel gennaio 2018. “Dai Fabio trovami la soluzione che ce la fai sicuramente!” sono le parole intercettate dai Carabinieri. La risposta è: “mi ci faccio in quattro! Ok?”. Da lì, si legge nell’atto del Gip, l’allora capo ufficio tecnico dell’ente già commissariato, a seguito delle dimissioni del sindaco Deborah Camaschella, “opera strumentalmente per garantire il soddisfacimento delle esigenze del privato”.

Il dialogo prosegue tra una chiamata e l’altra, fino alla fine di febbraio. L’idea di Chiavazza è di ricorrere “ad hoc al parere legale di un esperto di urbanistica”, perché “io te la faccio passare in qualche modo”. Il funzionario, mentre i militari lo ascoltano, arriva anche a chiedere “per quando la vuoi la risposta?” e il presidente della società candidamente ammette “ehm noi a maggio dovremmo iniziare i lavori… giugno…”, perché “noi abbiamo bisogno assolutamente di farlo”. In un’altra conversazione con Maquignaz, Chiavazza obietta “questa altezza qua però vediamo di…” e, ad alcune teorie interpretative del suo interlocutore, sbotta: “no rincoglionito ti tiro la poltrona… cosa vorrebbe dire sta cosa qua… perché non ci potrebbe credere nessuno eh… dai vedo di sistemarla”.

Si arriva così al 28 febbraio, giorno in cui i due s’incontrano in municipio per l’epilogo della vicenda. Il presidente della “Cervino SpA” legge il parere tecnico che il funzionario gli porge sottolineando “Mi son dato da fare, eh”, ed esprime un sentito “Grazie mille e merci!”, oltre a chiedere se può trattenere quella copia “riservata” del documento. Chiavazza acconsente, precisando comunque “…ti arriverà poi”. Per la Procura è la chiusura del cerchio, che vale ad entrambi un’accusa di concorso in corruzione: per assicurarsi l’esecuzione dei lavori Maquignaz avrebbe promesso “utilità economiche allo stato non determinate” a Chiavazza, che – per parte sua – avrebbe fatto “utilizzo strumentale e servente del proprio ruolo pubblico a vantaggio degli interessi della ‘Cervino SpA’ e quindi” del suo Presidente.

Nell’esaminare la questione, per il Gip Colazingari appare “evidente la violazione degli strumenti urbanistici” e il sequestro preventivo dello stabile viene disposto, accogliendo la richiesta del pm Ceccanti, considerato che “la libera disponibilità del bene possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, atteso che i lavori” avviati nel frattempo “verrebbero proseguiti”. Deve peraltro, per il giudice, escludersi la deroga per infrastrutture e servizi di interesse pubblico, “sia perché l’intervento è stato commissionato da una società privata, sia perché riguarda un immobile destinato ad attività squisitamente commerciale e lucrativa”.

In merito all’aspetto urbanistico della vicenda, la Procura diretta da Paolo Fortuna contesta la violazione del testo unico in materia di edilizia a sei persone, per aver eseguito l’opera “senza i necessari titoli abilitativi” e comunque sulla base di un atto del Suel della Valle d’Aosta (risalente al 22 maggio 2018), “palesemente illegittimo in quanto affetto da numerose violazioni degli strumenti urbanistici comunali”.

Si tratta, oltre a Chiavazza (in carcere dal 20 novembre scorso, quale misura cautelare legata ad altri episodi dell’inchiesta “Do ut des”) e Maquignaz (committente dell’opera), del direttore dei lavori Marco Zavattaro (48 anni, di Quart), dell’amministratore unico dell’impresa appaltatrice “Ivies Spa” Enrico Giovanni Vigna (64, Quincinetto), nonché degli amministratori di due ditte subappaltatrici: Ivan Voyat della “Edilvi Costruzioni Srl” (52, Gressan) e Luca Frutaz della “Chenevier SpA” (44, Saint-Pierre).

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