L’inquinamento da parte della Cogne Acciai Speciali? Dall’inchiesta condotta dalla Procura di Aosta non sono emersi “elementi a sostegno della penale responsabilità” dei cinque indagati, aspetto che ha condotto il pm Eugenia Menichetti a chiedere l’archiviazione del fascicolo. Tuttavia, dai quattro accessi ispettivi svolti nello stabilimento dai Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Torino e dal Corpo forestale della Valle d’Aosta, assieme ai numerosi prelievi ed esami compiuti da Arpa Piemonte, emerge – si legge nell’istanza al Gip del Tribunale – “un quadro ambientale per nulla confortante”, addirittura “a tratti disarmante”.
Le origini del fascicolo
L’indagine era nata da precedenti procedimenti di via Ollietti. All’ufficio inquirente erano arrivate anche due segnalazioni, una delle quali dell’ex consigliere regionale Alberto Zucchi (l’altra di Luca Rubagotti), relative alla possibile condotta inquinante dell’azienda, con particolare riferimento alla sospetta contaminazione della falda acquifera di Aosta (da cromo esavalante, in concentrazione superiore ai limiti di legge) e del suolo circostante l’acciaieria (a seguito del deposito di micro-particelle di cadmio, quale conseguenza della lavorazione di materiali che lo contengono, utilizzati nei cicli produttivi dello stabilimento).
L’ad e i manager indagati
Dagli accertamenti preliminari degli inquirenti era scaturita “una situazione fortemente indiziaria” rispetto alla possibile “compromissione della matrice ambientale” delle acque, dell’aria e del terreno ed il fascicolo aveva così visto l’iscrizione di indagati. Da informazione di garanzia erano stati raggiunti l’amministratore delegato della Cogne Acciai Speciali Monica Pirovano (56, Milano), l’ex dipendente responsabile unico degli aspetti ambientali Rosario Langella (62, Napoli) e tre procuratori speciali dell’azienda, titolari di deleghe specifiche: Favio Bego (47, Milano), Ferruccio Trombini (51, Brescia) e Lorenzo Viotto (43, Cuneo).
La “silente rassegnazione” della Regione
Letta la relazione dei consulenti tecnici nominati dalla Procura, i professori Barbara Ruffino e Mario Rosso del Politecnico di Torino, il sostituto Menichetti conclude per il “formale rispetto dei limiti posti dall’autorizzazione integrata ambientale da parte della ‘Cogne Acciai Speciali’”, ma non nasconde l’appalesarsi di “un quadro di silente rassegnazione, se non addirittura di accettazione, da parte della Regione, di un meccanismo di aggiramento della normativa”. Non è tutto, perché nella richiesta di archiviazione si legge anche che “il sistema dei controlli previsti pare essere accuratamente progettato proprio per evitare che emergano contestazioni a carico dell’azienda”.
La criticità sui fluoruri
Il sostituto del procuratore capo Paolo Fortuna dà atto del trattarsi di “condotte risalenti nel tempo”, che “tuttavia non hanno visto nessun intervento successivo (di carattere amministrativo o legislativo) volto a rivedere quel sistema carente e latamente protettivo” che, “nei fatti, ha permesso all’azienda di proseguire la sua attività senza affrontare i gravosi esborsi necessari per fronteggiare interventi strutturali a tutela dell’ambiente”. Le maggiori criticità sono emerse riguardo i reflui generati dal reparto Decafast dell’azienda, con particolare riferimento a “una seria problematica concernente il rispetto del limite legale della concentrazione di fluoruri negli scarichi dell’azienda”.
Limiti rispettati diluendo le acque
Si tratta di sostanze che comportano un rischio per la salute umana (possono creare problemi ai denti e alle ossa). “La tecnologia utilizzata da Cogne Acciai Speciali per abbattere i fluoruri – scrive il Pubblico ministero – non è in grado di riportare la concentrazione al di sotto del limite legale” previsto dalle norme in materia ambientale per l’immissione nelle acque superficiali. Si scopre così che l’azienda “in aperta violazione” del Testo Unico sull’Ambiente, e con “il disarmante benestare dell’amministrazione regionale”, ha adottato un sistema di diluizione delle acque reflue prima del raggiungimento dello scarico finale”.
In sostanza, è la sintesi del pm, la società diluisce “le acque reflue prima di immetterle” nella Dora Baltea “tramite il collettamento di acque piovane e non, poiché, se così non facesse, non sarebbe in grado di rispettare il limite legale di 6 mg/l per lo ione fluoruro”. Secondo Menichetti “non a caso” l’autorizzazione rilasciata allo stabilimento dalla Regione “non prevede tale parametro negli autocontrolli imposti” all’azienda “negli scarichi parziali”. È questo aspetto, in particolare, a motivare la definizione di “quadro ambientale disarmante”.
Il parametro mancante
“La Regione, nel decidere quali parametri imporre alla Società, – osserva la Procura – ha omesso di indicare proprio quello che la società non è in grado di rispettare”. In aggiunta, piazza Deffeyes non ha fatto “alcun uso del suo potere di restrizione dei valori limite di emissione negli scarichi”, riconosciutole dalle norme in materia e come parrebbero richiedere “le fondamentali esigenze di salvaguardia della salubrità ambientale e del peculiare contesto naturalistico della regione”. Nessuna prescrizione compare al riguardo – annota via Ollietti – nei provvedimenti dirigenziali del 2007 e del 2012, rispettivamente di emissione e di rinnovo dell’autorizzazione.
In conclusione, “le indagini non hanno potuto che prendere atto dell’attuale assetto”, per cui “formalmente e sostanzialmente Cogne Acciai Speciali rispetta i parametri” cui è sottoposta, “nonostante tale rispetto sia da ricondurre a carenze previsionali dell’autorizzazione integrata ambientale stessa ed al mancato sanzionamento del sistema di diluizione”. La valutazione di carattere penale si chiude quindi con la constatazione della Procura per cui “la vetustà dell’impianto non sia certamente idonea a garantire la sicurezza ambientale a fronte di eventuali dispersioni dei fluidi”.
La responsabilità di carattere amministrativo
Nelle indagini non sono stati rilevati, tuttavia “elementi sufficienti per dimostrare una penale responsabilità degli indagati a fronte di una compromissione della matrice ambientale, con la conseguente impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio”. Per gli inquirenti, alla luce della situazione rilevata, resta però sul tappeto “una responsabilità di carattere amministrativo”, eventualmente punibile dal Testo Unico Ambientale, per cui la Procura ha inoltrato una comunicazione al Presidente della Regione e alla Corte dei Conti.
Il “trattamento accomodante” all’azienda
Ricostruendo le dinamiche intercorse tra la “Cogne Acciai Speciali” e l’amministrazione regionale, il pm Menichetti aveva rilevato tra l’altro – quale indici di “un trattamento particolarmente accomodante, riservato all’azienda” da piazza Deffeyes – “l’acquisto della Regione del suolo sul quale insiste l’acciaieria ed il conseguente accollamento dei costi – circa 15 miliardi di lire – derivanti dalle necessarie operazioni di bonifica, in assenza di una contropartita evidente diretta”, nonché l’“abitudine di avvisare l’azienda prima di esperire un accesso finalizzato alla verifica del rispetto dei limiti autorizzativi”.
“Nessuna risposta” dalla Regione sul Cromo
Quanto all’emergere di un “pennacchio” di contaminazione delle acque sotterranee, “prospettato da uno studio dell’Università di Milano Bicocca già prima del 2015”, tale tesi risulta “suffragata dai report di Arpa Valle d’Aosta”, che hanno dato conto della “persistenza di inquinamento” da cromo esavalente e da nichel “oltre i limiti di legge”, senza però che si sia trovata, nella documentazione e nel compendio informativo acquisiti durante l’inchiesta, “alcuna risposta da parte dell’amministrazione regionale”, che non ha “mai condotto uno studio sugli effetti sull’ecosistema fluviale”.