#iorestoacasa, il vocale per “restare incensurati” se denunciati? “Non è così scontato…”

Abbiamo sottoposto al presidente della sezione valdostana della Camera penale, l'avvocato Corrado Bellora, il lungo messaggio di una sedicente penalista bresciana, che rimbalza da ieri da uno smartphone all'altro.
L'avvocato Corrado Bellora
Cronaca

Da ieri rimbalza da uno smartphone all’altro, anche in Valle d’Aosta, un lungo messaggio vocale in cui una sedicente avvocatessa di uno studio bresciano (che, verificando in rete, esiste, ma non vi è garanzia che da esso provenga effettivamente la registrazione) offre consigli, indicazioni e segnala procedure per “restare incensurati” qualora si venisse fermati dalle forze dell’ordine e ritenuti inosservanti delle prescrizioni del decreto #iostoacasa sugli spostamenti consentiti in questo periodo.

Continuiamo a credere che la logica delle misure adottate sia evitare il contagio, non una sanzione, quindi osservarle è fondamentale, uscendo solo per motivi di lavoro, salute o necessità. Vista la situazione inedita nella storia del Paese, è comunque importante disporre di informazioni giuridiche puntuali e abbiamo così sottoposto il messaggio al presidente della sezione valdostana della Camera Penale, l’avvocato Corrado Bellora. “La violazione di un provvedimento dell’autorità (nello specifico, il dpcm del 9 marzo, ndr.) costituisce reato”, previsto dall’articolo 650 del Codice penale, premette il penalista.

Sanzioni penali solo da parte di un giudice

Ciò che manca nei ben quattordici minuti del vocale, “e che è essenziale sapere”, è però “che esiste un passaggio intermedio” tra il controllo dell’autodichiarazione che ogni cittadino deve avere con sé spostandosi di casa e ciò che molti media indicano genericamente come “multa”. “Se si viene fermati, e le giustificazioni non sono ritenute sufficienti, – sottolinea Bellora – l’eventuale sanzione penale, quindi l’eventuale ammenda, può essere irrogata solo ed esclusivamente da un’autorità giudiziaria. Non viene comminata seduta stante dall’agente, o militare, che ti ferma”.

In sostanza, su strada “si viene identificati” e se le forze dell’ordine (per palese insostenibilità della giustificazione addotta rispetto alla situazione, o a seguito di accertamenti successivi) ritengono che quell’uscita rappresenti una violazione del decreto Conte, redigono a carico del contravventore un “Verbale di identificazione di persona nei cui confronti si svolgono indagini preliminari” e trasmettono una comunicazione della notizia di reato alla Procura della Repubblica. Si viene, pertanto, indagati per il reato contestato e ciò che accadrà in seguito è legato alle scelte del pubblico ministero cui sarà affidato il fascicolo, sulla base di diversi fattori.

Le opzioni della Procura

Se le conclusioni raggiunte dalle forze dell’ordine venissero ritenute non fondate, non vedendo cioè nella condotta alla base della denuncia un reato, il pm andrebbe verso l’istanza di archiviazione del fascicolo, senza conseguenze per il cittadino. In caso contrario, molto dipenderà dalla situazione personale. Qualora si abbiano dei precedenti a carico, è probabile che l’ufficio inquirente propenda per richiedere al giudice di sottoporre l’indagato ad un processo e se il Tribunale condividerà la tesi, si riceverà un decreto di citazione a giudizio.

Tuttavia, per un incensurato – e potrebbe essere il caso di buona parte dei cittadini denunciati in questi giorni – verosimilmente il pm sceglierà una strada più rapida per definire il procedimento, chiedendo al Gip di emettere un decreto penale di condanna. Si tratta di un provvedimento con cui il reato commesso viene sanzionato “a domicilio”, chiudendo le indagini e saltando il passaggio processuale, imponendo il pagamento di una somma di denaro (il codice prevede fino a 206 euro). E’ il momento in cui si riceve la “busta verde” evocata nel messaggio.

Se non si ha nulla da obiettare, versando il dovuto la questione si chiude: il reato viene menzionato sul casellario giudiziale dell’interessato, con le conseguenze del caso. “Evidentemente, trattasi di una soluzione da evitare, in quanto comporta l’iscrizione di un precedente. – osserva il legale – Occorre quindi rivolgersi a un avvocato che, lungi dal prospettarci facili automatismi, approfondisca il caso concreto e ci spieghi come occorra comportarsi”.

L’opposizione al decreto penale

“Scegliendo di non versare, rivolgendosi tempestivamente ad un avvocato – aggiunge Corrado Bellora – si possono valutare varie opzioni. Se si ritiene che le proprie ragioni siano valide si può fare opposizione, entro un termine di quindici giorni. Si affronterà un’udienza pubblica, per difendersi nel merito, che si concluderà con una sentenza”. Il giudice potrebbe riconoscere le tesi del cittadino, ed assolverlo, oppure propendere per la veridicità di quelle dell’accusa e pronunciarsi per una condanna (e il reato prevede non solo un’ammenda, ma anche fino a tre mesi di arresto).

La proposta di oblazione

Esiste poi un’altra possibilità, che è il cammino paventato dal vocale. “Nel momento in cui si impugna il decreto penale, sempre nel termine di quindici giorni dalla sua ricezione, – commenta ancora il penalista aostano – si può proporre l’oblazione”, cioè accettare di pagare una somma prestabilita e ottenere la depenalizzazione della contestazione, che diventa una sanzione amministrativa, senza conseguenze sul proprio casellario giudiziale. Non è però, nel caso dell’inosservanza del provvedimento di un’autorità, implicito.

“L’ammissione all’oblazione – conclude Bellora – non è obbligatoria da parte del giudice, che potrebbe anche non concederla, avuto riguardo alla gravità del fatto, o alla sussistenza di alcune conseguenze del reato eliminabili dal responsabile”. Insomma, tralasciando varie inaccuratezze procedurali, quella del vocale che circola appare come una semplificazione eccessiva della questione, in cui vengono accreditate come atte a garantire l’incensuratezza procedure dall’esito tutt’altro che scontato.

La posizione della Camera penale di Brescia

Non a caso, la Camera penale di Brescia (foro della sedicente legale autrice del messaggio), in un comunicato diffuso ieri, ne ha “fermamente stigmatizzato il contenuto”, perché “in un momento difficile come quello che tutti stiamo affrontando l’avvocato deve avere chiara la sua funzione sociale” e “non è tollerabile propagare messaggi che possano ingenerare confusione tra la popolazione” e che possono “concretizzare una violazione dei principi deontologici che ispirano la nostra professione”. Insomma, come sempre nel caso dei reati, la ricetta migliore per restare incensurati è osservare scrupolosamente le norme.

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