La difesa Giachino al processo Geenna: “‘La Rotonda’ non è la pizzeria di Duisburg”

Gli avvocati Francesca Peyron e Claudio Soro (che assistono anche l’ex assessore di Saint-Pierre Monica Carcea) hanno concluso nel pomeriggio di oggi, venerdì 11 settembre, la serie di arringhe dei cinque imputati.
Monica Carcea (a sx), con i difensori Peyron e Soro (a dx).
Cronaca

Si sono chiuse nel tardo pomeriggio di oggi, venerdì 11 settembre, le arringhe dei difensori dei cinque imputati che hanno scelto il rito ordinario nel processo “Geenna”, sull’esistenza di una “locale” di ‘ndrangheta ad Aosta. A concludere la serie sono stati i legali del presunto componente dell’organizzazione criminale Alessandro Giachino e dell’ex assessore al comune di Saint-Pierre Monica Carcea, imputata di concorso esterno nel sodalizio.

Entrambi sono difesi dagli avvocati Francesca Peyron e Claudio Soro. Guardando alle accuse mosse dalla Dda di Torino (che ha chiesto 10 anni per ognuno dei due imputati), quest’ultimo, ha sottolineato la necessità di “andare oltre la ragnatela delle intercettazioni”, che costituiscono il trave portante dell’accusa, “calarla nella realtà fattuale e confrontarla con le risultanze dibattimentali”. E quanto sentito in aula, attraverso le testimonianze susseguitesi, agli occhi del legale ha “completamente stravolto un assetto accusatorio, peraltro già traballante”.

“Non si sa neanche chi è il capo” della “locale”

Anche perché, ha aggiunto Soro, “quando parliamo della pizzeria ‘La Rotonda’ (il ristorante di Antonio Raso, altro imputato ritenuto dagli inquirenti “esponente di vertice” della “locale” aostana, ndr.), non parliamo della pizzeria di Duisburg in Germania, dove sono state ‘accoppate’ sei persone, ma della pizzeria dove tutti siamo andati”. Oltretutto, si è chiesto il difensore, “Chi è il capo” del sodalizio? “Non si sa neanche chi è il capo. Mi sembra una contestazione, come una fucilata di pallini, dove capita, capita”.

Un aspetto che il difensore non ritiene esattamente secondario, considerando che quelle criminali “sono organizzazioni strutturate militarmente. E gli errori non si pagano con le denunce in Tribunale, si pagano con dodici fucilate, come ha fatto Raso (Salvatore ndr.) nell’altro processo (l’omicidio del 2011 in Calabria è stato ricondotto alle tensioni tra la ‘ndrina Facchineri e la “locale” di San Giorgio Morgeto dall’operazione “Altanum” della Dda di Reggio Calabria, ndr.)”. Questo è “il quadro della ‘ndrangheta” ha osservato l’avvocato.

“Carcea Assessore per meriti”

Di “tante parole a cui, nella maggior parte dei casi, non segue alcun fatto” ha parlato anche il legale Peyron, esaminando la posizione di Monica Carcea. L’imputata, che nella ricostruzione accusatoria ha fruito del sostegno elettorale del sodalizio alle comunali 2015 (segnatamente di Antonio Raso e di Marco Fabrizio Di Donato, altro supposto ‘ndranghetista condannato in abbreviato nel ramo torinese del processo), “non è stata eletta con i voti di nessuno, se non quelli di cui poteva disporre lei”.

Nessun incontro con Rollandin

La donna “ha viaggiato in autonomia. Si è candidata in autonomia. Ed è diventata assessore perché se lo meritava, perché ha deciso Lavy (l’allora eletto Sindaco, ndr.)”. Sul tema, il difensore ha tenuto a sottolineare, smentendo scenari che affiorano dalle carte processuali, che l’ex presidente della Regione Augusto “Rollandin, la Carcea non l’ha mai incontrato. Rollandin non è mai intervenuto per far avere la carica di assessore alla Carcea, telefonando a Lavy”. Tanto che “Rollandin, quando ha testimoniato, ci ha detto che non la conosceva personalmente” ha insistito Peyron.

Una volta in amministrazione, è andata oltre l’avvocato, l’imputata tocca con mano “una situazione del Comune di Saint-Pierre”, emersa in dibattimento, “disastrosa, sotto tutti i punti di vista”. E lei “si sporca le mani e chiede a tutti il pagamento” dei crediti vantati dal Comune. “E’ una persona che in maniera tentacolare, e sgomitando, cerca di aver maggior riscontro da parte dell’elettorato, una che chiede i soldi dovuti? Una che si fa un mazzo così, per far funzionare le cose sotto tutti i punti di vista?”.

“Parlava con la moglie, non con Di Donato”

Quanto ai rapporti con Di Donato, il legale ha posto l’accento sull’amicizia tra Carcea e la moglie di questi, che oltretutto sino al 2014 ha vissuto a Saint-Pierre. “Carcea non si lamenta con Di Donato” delle difficoltà talvolta incontrate in amministrazione, ma “si lamenta con la sua amica”. “Perché ci sono degli ambientali in cui parlano tutti quanti insieme? – ha proseguito il difensore – Perché c’è anche Di Donato, ma la Carcea a lui non chiede niente”.

Inoltre, “Di Donato parla, parla, parla… e spesso dice delle cose sbagliate. Dice un sacco di cose che non corrispondono al vero”. Eloquente dei rapporti tra i due è stata indicata dal difensore l’occasione in cui l’uomo propone di accompagnare l’allora assessore dal Sindaco, rispetto ad alcune frizioni nell’attività amministrativa e l’imputata rifiuta: “no, Marco, no”.

Lo scioglimento del Comune? Non per Carcea

Infine, l’avvocato Peyron ha richiamato l’attenzione del collegio giudicante sul fatto che lo scioglimento del comune di Saint-Pierre, avvenuto nello scorso febbraio, a seguito dell’accesso antimafia scaturito dalle risultanze dell’inchiesta, “non avviene per colpa della Carcea”, ma a seguito della “gestione amministrativa improntata all’improvvisazione e al disordine”. Una condizione che “costituisce terreno fertile per la ‘permeabilità’” da parte della criminalità. Per Peyron, è “un Comune che non sa resistere”, non una responsabilità individuale.

“Clack, clack? Rumore di stoviglie”

Arringando a favore di Alessandro Giachino, l’avvocato Soro ha collegato il “clak clack” dell’intercettazione sul “taglio della coda” del suo assistito – ricondotto dal pm Stefano Castellani allo scarrellamento di un’arma – ad un “rumore di stoviglie”. Inoltre, avvalorando la tesi sostenuta dal suo cliente, vale a dire che quella registrazione testimoni un frangente scherzoso, Soro ha giudicato la risata che si sente nel file “fragorosa” e che “toglie ogni serietà ad un contesto sacro come dovrebbe essere la proposta di affiliazione”.

“Il processo ruota su Di Donato”

Per Soro, “tutto questo processo ruota attorno a Marco Fabrizio Di Donato”, che “definirei un millantatore seriale, uno che racconta solo balle. Con pochi approfondimenti dei pm si sarebbero potuti evitare dei danni”. Peraltro, “millanterie e bugie sono normalmente finalizzate a qualcosa”, ma “questo Signore è più povero di San Francesco”, non “ha ricavato nulla sul piano economico”.   Semplicemente “aveva queste persone che gli ruotavano attorno, che lo ritenevano un padre eterno. Non conosceva nessuno”.

In conclusione, per Soro “il punto è se la ‘locale’, delineata nel capo d’imputazione in modo generico e stereotipato, esiste” e, riferendosi ad alcuni aspetti emersi dal dibattimento, “proporrei di chiamarla la ‘locale’ Brancaleone, ma di comico, considerando che questi signori sono in carcere da oltre un anno, non c’è nulla”. Considerazioni alle quali sono seguite le richieste di assoluzione per entrambi gli imputati.

A questo punto, il processo è sempre più vicino alla sentenza. L’udienza per le repliche dei pubblici ministeri (oggi in aula era presente Valerio Longi) e per l’inizio delle eventuali contro-repliche è in calendario per mercoledì 16, poi giovedì prossimo, 17 settembre, dopo le eventuali parti che dovessero ancora intervenire i giudici si ritireranno per il verdetto che una regione intera aspetta.

Processo Geenna - l'arrivo di Giachino
Processo Geenna – l’arrivo di Giachino

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