Post sugli imprenditori della discarica di Chalamy, tre condanne

L’accusa era di diffamazione, per un messaggio comparso nel giugno 2021 sul profilo Facebook “La Valle non è una discarica”. Il giudice ha stabilito anche due assoluzioni e una non punibilità per gli autori di tre commenti.
Scavo per la discarica Chalamy a Issogne
Cronaca

Un post, sul gruppo Facebook “La Valle non è una discarica”, è costato una condanna per diffamazione al titolare del profilo e presidente dell’omonimo Comitato, Elvis Francisco (66 anni), all’autrice materiale del messaggio, Erika Sharon Standen (56), nonché a una delle persone che lo hanno commentato, l’ex consigliera comunale di Aosta Patrizia Pradelli (63). E’ la sentenza letta attorno alle 14 di oggi, venerdì 10 novembre, dal giudice monocratico Marco Tornatore.

La sentenza

Francisco e Standen sono stati condannati ad una multa di 400 euro, che scende a 300 per Pradelli. Altri imputati, tutti autori di commenti al post “incriminato”, sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” (la 55enne Jeanne Cheillon e il 63enne Luigi Renna), o dichiarati non punibili per particolare tenuità del fatto (Marco Sbandi, 62 anni). Nel processo si erano costituiti parte civile i fratelli Maurizio e Paolo Fresc, soci della ditta proprietaria della discarica di Chalamy, sentitisi diffamati dal messaggio e dagli altri interventi, e che avevano sporto querela (culminata inizialmente in decreti penali di condanna, impugnati dagli imputati, che hanno innescato il giudizio finito nel pomeriggio).

Sempre per effetto della sentenza odierna, dovranno essere risarciti dagli imputati condannati: con 1500 euro a testa da Francisco e Standen e con 1000 euro da Pradelli. I tre dovranno anche sostenere il compenso dell’avvocato delle parti civili, stabilito dal giudice in 3.420 euro. Nella discussione, il pubblico ministero Rosa Maria Catroppa aveva invocato una multa di 2000 euro per Francisco e Standen, tre da 600 euro per Cheillon, Pradelli e Renna, nonché l’assoluzione per Sbandi.

I contenuti del messaggio

Nel post, pubblicato il 12 giugno 2021 (e rimasto online, si è appreso in aula, sino all’inizio dello scorso ottobre), si riferiva di una presunta intimidazione subita da uno dei componenti del Comitato (emerso a processo essere Francisco, che ne aveva informato poche ore dopo Standen, poi autrice del testo), dinanzi a una pizzeria di Verrès. Secondo il racconto, i due fratelli gli avrebbero “bloccato la portiera dell’auto, impedendogli di partire, apostrofandolo con atteggiamento arrogante”.

Nel messaggio, ci si chiedeva poi se i due non fossero “talmente infastiditi forse dalla prossima udienza davanti al Tar il prossimo martedì 15 giugno? (per discutere il ricorso del Comitato contro la delibera di Giunta regionale che aveva condotto all’aumento della capacità e delle tipologie di rifiuti smaltibili nell’impianto, ndr.)”. Il post riteneva poi che il nervosismo attribuito ai fratelli Fresc fosse forse giustificabile in gioventù, quando i due “erano noti per essere spesso in cerca di guai in varie località della Valle”, ma condannabile ora “che si vantano di essere importanti imprenditori sulla cinquantina”.

I commenti al post

Gli autori dei commenti erano stati chiamati in causa dai querelanti, secondo l’avvocato che ha assistito i fratelli, Corrado Bellora, sostenendo che da essi fosse derivata un’amplificazione della diffamazione (Pradelli aveva scritto “Atteggiamenti mafiosi?”). Nel processo, durante il quale alcuni imputati hanno reso spontanee dichiarazioni, altri sono stati sentiti ed hanno testimoniato anche le persone offese (una delle quali ha affermato di essersi sentita urtata dall’accenno sull’attitudine in gioventù), i difensori degli imputati – gli avvocati Stella Arena (per Sbandi) e Stefano Campanello (per tutti gli altri) hanno puntato sull’esercizio del diritto di critica, costituzionalmente riconosciuto.

Le posizioni dei legali

“Nella diffamazione, l’offesa va cercata in modo fattuale, non soggettivo. – ha detto il legale Campanello, arringando – L’offesa non è il fatto di sentirsi offeso, ma il fatto che quelle parole offenderebbero comunque. Sono parole, quelle del post, di disapprovazione, che si collocano al piano più basso del tono polemico”. Il tutto senza dimenticare, che nello svolgimento dell’attività del Comitato contro la discarica “non abbiamo notizia, in oltre due anni, di voci grosse, di comportamenti volti a dileggiare i titolari della discarica”.

Il difensore ha poi insistito, per chiedere l’assoluzione di Francisco e Standen, sul fatto che il contesto (vale a dire l’episodio dinanzi alla pizzeria, definito dal legale “un momento di tensione, un esercizio di prepotenza”) “crea quella reazione”. Quanto ai commentatori, “siamo molto al di sotto del limite in cui, in una democrazia, è possibile sindacare le parole”. In sintesi, ha osservato l’avvocato, “credo che a nessuno piaccia vivere in un mondo di censori, che è la sensazione che emerge da questo insieme di accuse”.

L’avvocato Bellora, a seguito della sentenza, ha espresso soddisfazione, perché in essa “viene riconosciuta la tesi che abbiamo sostenuto sin dall’inizio, vale a dire che libertà di critica non significa libertà d’insultare. Peraltro, i social network non vanno interpretati come sfogatoi ove offendere e se lo si fa, se ne risponde”. La difesa dei condannati riafferma la convinzione che post e commenti rientrassero nella sfera del diritto di critica e annunciano sin d’ora appello. Le motivazioni della sentenza sono attese entro 60 giorni da oggi.

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