Con i suoi sette morti, e due feriti gravi, l’incidente aereo sotto il ghiacciaio del Rutor è il più grave degli ultimi diciott’anni di volo in Valle d’Aosta, periodo in cui il numero complessivo di vittime dei cieli aveva raggiunto quota tredici. Per trovare cifre simili occorre tornare al 21 luglio 2005, quando uno Jodel D140 (per una coincidenza singolare, lo stesso modello coinvolto nello scontro dell’altro ieri) precipitò sul ghiacciaio di Tsa de Tzan nel comune di Bionaz, uccidendo il pilota 56enne Nicolas Girardin e i tre passeggeri Pierre Sorlini, Patrizia Verrier e Hubert Bailly, tutti francesi della zona di Chambéry.
L’aereo era decollato dall’aeroporto di Challes-Les-Eaux, in Savoia, per un volo turistico. Ignota la sua destinazione, ipotizzata nell’altiporto di Chamois. “Non era stato compilato un piano di volo, obbligatorio in caso di attraversamento dei confini nazionali”, si legge nella relazione d’inchiesta dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo. Quanto alle cause, il velivolo impattò “accidentalmente il terreno a causa di difficoltà di controllo, indotte da condizioni di forte turbolenza, con associate correnti discendenti, incontrate durante il sorvolo” della cima ghiacciata. I rottami vennero individuati grazie alle indicazioni di un alpinista.
Gaby, lo schianto nella nebbia
Due morti – il pilota e vicesindaco di Quincinetto, Angelo Domenico Praiale (55 anni), e sua cognata Sara Piras Piredda (29) – fece la caduta, avvenuta l’8 agosto 2014 in località Chanton Desout (Gaby), di un elicottero PD 318C Alouette II. Il velivolo stava ritornando verso valle, dopo aver portato un passeggero ad un alpeggio a Ruck, quando “in condizioni di visibilità critiche a causa della nebbia presente nella valle di Niel” impattò al suolo, ad un chilometro circa da dov’era decollato.
Lo schianto è stato attribuito, al termine degli accertamenti, “al fattore umano”, nel momento in cui le condizioni del campo visivo “sono immprovvisamente peggiorate”. L’idea di Praiale era, verosimilmente, di “invertire la rotta e tornare verso la parte di valle appena sorvolata”, dove gli sarebbe stato possibile, in ragione di una meteo più favorevole, o proseguire il “volo a vista verso Quincinetto, o un atterraggio di emergenza”. Tuttavia, durante la virata “non si è accorto di essere prossimo al terreno” ed ha “uratato il fianco destro della valle”.
Caduti durante il lavoro aereo
Due vittime, assieme a due feriti gravi, furono anche il bilancio dell’incidente occorso, sul Toula, ad un elicottero della “Helops Srl” (oggi non più attiva, al tempo del gruppo “Air Vallée”), che il 7 settembre 2009 era impegnato in lavori aerei di realizzazione di un elettrodotto lungo la dorsale di Punta Helbronner, nel massiccio del Monte Bianco. A perdere la vita furono i tecnici di volo Christian Jeantet e Giuliano Coaro, mentre il pilota Andrea Bellinzona ed un operaio di un’impresa edile dovettero essere ricoverati in ospedale per le lesioni riportate. Il primo, purtroppo, morì anni dopo senza essersi mai ripreso
Dall’inchiesta di sicurezza (corroborata anche dalle foto scattate da un turista nella zona) emerse che l’incidente si verificò mentre l’aeromobile – un SA315 B – stava imbarcando un operatore a terra, su una cresta montuosa dotata di una fune di sicurezza. L’uomo vi si teneva con la mano (portandola quindi in tensione) ed è “ragionevolmente probabile” che sotto di essa “l’elicottero abbia infilato i propri pattini”. Rialzandosi di quota, si innescò un effetto “elastico”, per cui “il pilota, sorpreso dalla situazione, non sarebbe riuscito a evitare il contatto delle pale del rotore” contro delle vicine rocce. Il mezzo, “diventato incontrollabile”, finì quindi con il “rotolare lungo la parete rocciosa del Toula”.
Contro il ghiacciaio in Valpelline
Decollato dall’aeroporto regionale “Corrado Gex”, per fare ritorno all’aviosuperficie di Bresso (Milano), era invece il Piper PA-28 che il 23 dicembre 2000 urtò un ghiacciaio ai piedi del Dent des Bouquetins, nella Valpelline, a circa 3mila metri di altitudine. A bordo erano in tre e per quanto l’aereo fosse rimasto gravemente danneggiato, il pilota e il copilota, Alessandro Delù e Luca Malinverno (37 anni), riuscirono a uscire dalle lamiere illesi. Morirono però scivolando in un canalone, nel tentativo di raggiungere a piedi il fondovalle, dopo aver cercato di chiedere aiuto via radio e telefonicamente. Giorgio Viganò, 21enne milanese come i compagni, riportò gravi ferite.
L’inchiesta dell’ANSV si concluse, in questo caso, evidenziando come “causa probabile” dell’incidente lo “stallo del velivolo (una perdita di portata, ndr.) provocato da una brusca manovra di scampo”, effettuata “al limite delle prestazioni” del mezzo, nell’“impossibilità di superare la parete del ghiacciaio” paratasi davanti all’aereo.
Lo schianto alla Croce di Fana
Un aliante Ventus 2A, alzatosi dall’aeroporto di Fayence, nel sud della Francia, il 26 luglio 2007, venne invece trovato dai soccorritori distrutto, due giorni dopo, in un’impervia incavatura nella zona della Croce di Fana (Quart), a 2.370 metri di quota. Il pilota, il 53enne tedesco Paul Altmayer, era privo di vita, ancora nella cabina, legato al sedile. Secondo quanto appurato dall’Agenzia, l’uomo ai comandi avrebbe intrapreso “una manovra a velocità ridotta”, per “incrementare la quota di volo”, in assenza “di adeguate correnti ascensionali”.
“Uno stallo aerodinamico” sarebbe tuttavia insorto durante l’operazione e “la ridottissima distanza dal terreno avrebbe precluso” qualsiasi possibilità “di recuperare il controllo dell’aliante”, finito quindi contro le montagne. Tuttavia, precisa la relazione conclusiva, la mancata effettuazione di autopsia “non consente comunque di escludere con assoluta certezza” la possibilità che l’evento sia stato determinato da un “malore improvviso”.
In circostanze molto simili, e sempre su Quart perì, il 29 luglio 2002, il pilota torinese Pier Mario Tavera, 42 anni. Decollato dalla vicina pista di Saint-Christophe a mezzogiorno, non era rientrato a sera e le autorità aeroportuali avevano dato l’allarme. Il relitto del velivolo disperso venne ritrovato nella zona dell’alpeggio Senevè, a 2.100 metri. Una corrente d’aria discendente (vero incubo per ogni pilota senza motore) fu accreditata quale origine dello schianto. Tavera aveva alle spalle 20 anni di brevetto.
Il “fuori campo” finito in tragedia
Il viaggio tra le storie di “ali spezzate” in Valle, negli ultimi anni, si chiude con l’incidente verificatosi il 12 marzo 2003, quando un aliante KA 6 CR cadde al suolo in un campo a Champagne di Villeneuve, non lontano dall’autostrada A5. Nello schianto perse la vita il pilota, un tedesco di 49 anni, che era decollato (ovviamente trainato) dall’aeroporto di Saint-Christophe, con in progetto un volo turistico verso il Monte Bianco e il ritorno al “Gex”.
In realtà, le investigazioni dell’ANSV misero in luce come l’uomo – da oltre dieci anni assiduo nei cieli valdostani per il volo a vela – “non essendo riuscito ad intercettare idonee correnti ascendenti che gli permettessero di raggiungere una quota sufficiente per arrivare ad Aosta”, avesse “deciso di effettuare un atterraggio fuori campo”, individuando a tal proposito la superficie in cui trovò la morte. Si ritiene che, nel tentativo, abbia “avuto difficoltà nel controllo dell’aliante ed effettuato una manovra” tradottasi in uno stallo, con “conseguente impatto al suolo” in assetto di picchiata.