A nove anni dai fatti, risalenti alla legislatura 2008-2013 del Consiglio regionale, per Carmela Fontana, allora capogruppo del Partito Democratico, cade l’ipotesi di aver cagionato un danno erariale utilizzando indebitamente i contributi finanziari ricevuti dalla Regione per il funzionamento dei gruppi. A riscrivere l’esito del processo, che l’aveva vista condannata nel marzo 2019 a risarcire a piazza Deffeyes 60mila euro (a fronte di una richiesta della Procura contabile di 209mia euro) è stata la seconda Sezione centrale d’appello della Corte dei Conti, con una sentenza depositata lo scorso 13 aprile.
Fontana, assistita dall’avvocato Fabrizio Callà, aveva impugnato il verdetto dei giudici di piazza Roncas, sostenendo l’ingiustizia della decisione rispetto ad alcune delle voci di spesa contestatele. Erano attinenti, tra l’altro, alla pubblicazione del periodico “Le Travail” e il primo pronunciamento le aveva ritenute una “sorta di finanziamento fittizio” erogato al partito dal gruppo consiliare. Per la Sezione d’appello, tuttavia, si tratta di un’“erronea valutazione del materiale istruttorio in atti”, vista anche l’assenza di argomentazioni sulle ragioni del presunto indebito sostegno.
Valutando fondati i motivi di ricorso dell’ex capogruppo, è stata così eliminata una componente di danno pari a 42.155,82 euro. Per i restanti 17.490,85 euro, la sentenza richiama la circostanza che l’ex capogruppo ha reso alla Regione 27.148,18 euro. Pertanto, “posto che l’ammontare delle restituzioni effettuate dall’appellante è superiore all’ammontare del danno accertato”, i giudici d’appello constatano “l’insussistenza del danno risarcibile” e procedono alla “riforma della sentenza”. La domanda di danno mossa nei confronti di Carmela Fontana “è, in definitiva, infondata nel merito”.
Fontana: “Assoluzione tardiva che in alcun modo risarcisce il danno”
La diretta interessata, oggi aderente ad Area democratica-Gauche autonomiste, in una lettera ai media, esprime rammarico per “i tempi con cui è maturata l’assoluzione, ormai tardiva e che in alcun modo risarcisce il danno morale, di immagine e politico subito dai tre consiglieri” (nei banchi dell’Assemblea, in quel periodo, assieme a Fontana sedevano Raimondo Donzel e Gianni Rigo). “Resterà sempre – scrive l’ex Capogruppo – il rammarico nel ripensare alla superficialità del giudizio di chi non ha avuto la pazienza di aspettare la conclusione di tutto l’iter giudiziario”.
“Ma l’amarezza più grande, di questi nove anni – sottolinea Fontana – è l’atteggiamento tenuto da molti esponenti di ciò che resta dell’attuale Partito democratico della Valle d’Aosta che non sono andati oltre una solidarietà formale nei confronti di chi era così brutalmente accusato di fatti, di cui era ben nota all’interno del partito la condotta in buona fede, e hanno anzi, ove possibile, speculato sulle difficoltà individuali, per marginalizzare chi aveva contribuito a rafforzare il Partito democratico in Valle d’Aosta e a dargli autorevolezza e credibilità”.
Il giudizio contabile era nato quale “costola” del procedimento penale sui “costi della politica”, avviato dalle indagini della Guardia di finanza sull’uso dei fondi destinati ai gruppi consiliari. All’indomani della sentenza del Tribunale di Aosta del marzo 2015, la Procura della Repubblica inviò una segnalazione anche alla Corte dei conti, nell’intento di verificare, oltre alle condotte penali, anche la sussistenza di un danno erariale. Per Fontana, Donzel e Rigo il processo per finanziamento illecito si chiuse con la Corte di Cassazione a stabilire, nel marzo 2018, una pena di un anno, sei mesi e venti giorni di reclusione, con la sospensione condizionale.