Per usare le parole dell’assessore con delega al dipartimento della Protezione civile e ai Vigili del fuoco, Elso Gérandin, si tratta un “caso emblematico dei fenomeni di cambiamento climatico nell’ambiente alpino” e di “potenziale pericolo su cui concentrarsi sempre più”. Parliamo del lago glaciale Grand Croux, sulla testata della Valnontey (Cogne), alla sinistra orografica dell’omonimo ghiacciaio, dove l’altitudine raggiunge 2.680 metri. Come illustrato nel pomeriggio di oggi, venerdì 13, in una conferenza stampa che ha riunito decisori politici e tecnici, da lunedì prossimo, 16 luglio, inizieranno delle operazioni mirate a svuotarlo di cinque metri, perché il problema è tutto nella sua storia, nella quantità di acqua che è arrivato a contenere e nelle sue “abitudini”, lungamente osservate dai tecnici della fondazione “Montagna Sicura”.
L’invaso, come raccontato dal dirigente della struttura assetto idrogeologico dei bacini montani, Valerio Segor, “nelle ortofoto del 1999 non esisteva”. Lo notano per la prima volta nel 2000, segnalandolo, i tecnici del Parco Nazionale del Gran Paradiso. La sua superficie, più che crescere, galoppa: 3.300 metri quadrati nel 2005 e 7.000 nel 2012. Dall’anno successivo, visto il trend, ha sottolineato l’assessore alle opere pubbliche Stefano Borrello, “finisce nel piano di monitoraggio dei rischi glaciali”. La “crescita” avviene, per effetto dell’azione termica dell’acqua stessa, sul fronte est del lago, dove è presente la sponda in ghiaccio.
Nel 2016, per la precisione il 16 agosto, suona un campanello d’allarme tutt’altro che indifferente: il collasso del reticolo di canali sotto il ghiaccio induce una piena del torrente Valnontey, lungo il quale non mancano turisti e residenti. Scatta un intervento che il sindaco di Cogne, Franco Allera, ricorda bene: “alzatosi nel giro di pochi minuti, un elicottero con altoparlante, in volo radente, invitava ad allontanarsi dalle sponde”, mentre sul terreno “i volontari si avvicinavano”. Così, sono state recuperate, ha aggiunto il Capo della protezione civile regionale Pio Porretta, “25-30 persone rimaste bloccate sui sentieri”. Non ci sono stati problemi ai presenti, né a strutture, ma in pochi minuti si sono riversati a Valle 5mila metri cubi di acqua.
Oggi, l’alveo glaciale di Grand Croux è arrivato a misurare 12mila 500 metri quadrati di superficie. In pratica, ha esemplificato Segor, “due campi di calcio”. La quantità d’acqua contenuta oscilla tra i 55mila e i 70mila metri cubi. “Rispetto a quanto accaduto nel 2016, – è andato oltre il dirigente – il collasso dei canali subglaciali potrebbe essere ancora più importante, anche con lo sfondamento della parete di ghiaccio ad est”. Uno scenario che “sicuramente potrebbe arrivare a creare danno alle infrastrutture”. Un’ipotesi, peraltro, tutt’altro che incerta, perché l’analisi fotografica porta ad osservare come il lago, a fine estate, si presenti ogni anno in stato di svuotamento. Negligendo questo aspetto, è stato il commento di uno dei tecnici di “Montagna Sicura”, “potremmo avere conseguenze catastrofiche”.
Era quindi indifferibile immaginare di intervenire e vari sopralluoghi – assieme ai sorvoli con un drone, ad una batimetria, ad indagini georadar e alle osservazioni condotte dallo svizzero Martin Funk, ritenuto tra i massimi esperti mondiali in glaciologia – hanno condotto la Regione, con il coinvolgimento dei Vigili del fuoco, a propendere per lo svuotamento programmato tramite idrovore, in calendario appunto dall’inizio della prossima settimana. “Abbiamo qualche problema di operatività, perché ci troviamo in quota e senza strada di accesso. – ha commentato Segor – contiamo di portare su dieci macchine e di farne lavorare contemporaneamente da sei ad otto”. Si valuta che lo smaltimento quotidiano sia, una volta a regime, di 7-9mila metri cubi d’acqua al giorno, con il livello a scendere in modo significativo nel giro di 7-10 giorni.
Corale, da parte dei presenti alla conferenza, la sottolineatura del valore dell’intervento, soprattutto visto il contesto in cui si inserisce. Segor: “avremmo potuto considerare il fenomeno naturale e chiudere la vallata per motivi di incolumità, ma sarebbe stato complesso e avrebbe significato un danno d’immagine”. Jean-Pierre Fosson (segretario generale della fondazione “Montagna Sicura”): “la mancata gestione di un evento di questo tipo porterebbe costi elevati ad un sistema che vive di turismo”. Gérandin: “oltre a ridurre i rischi, sarà un’occasione formativa per il sistema integrato regionale. Nel momento in cui ci si interroga sulla capacità d’intervento della Protezione civile, è un test del tutto particolare”. Allera: “agiamo preventivamente, intervenendo prima che si verifichino momenti di infelicità. Credo sia una bella immagine, ancora prima della capacità di fare turismo”. Il tutto, a fronte di costi stimati dal capo dipartimento Porretta in “10-15mila euro aggiuntivi a quelli istituzionali delle risorse coinvolte”. Insomma, il gioco vale la candela, anche perché un’eventuale onda di piena non mancherebbe di spegnerla.