Tutto sembrava dipingere una situazione affidabile. Un acquirente introdotto da precedenti rapporti di conoscenza e collaborazione con un’altra persona, senza remore nel consegnare degli assegni in pagamento. La merce? Quattro autovetture usate. La transazione, però, sembrava sicura solo all’apparenza, perché è finita oggi in un’aula del Tribunale di Aosta, con il cliente modello nei panni dell’imputato, condannato dal giudice monocratico Maurizio D’Abrusco a un anno e tre mesi di carcere (e 1000 euro di multa) per truffa.
Parliamo di una Opel Meriva e di tre Peugeot (una 107, una 207 e una 308). Per acquistarle alla “Idealcar” di Quart, nell’estate 2014, il 45enne campano Andrea Imbemba aveva saldato con quattro assegni, dati ad un dipendente, per un totale di 28.380 euro. Le referenze dovevano essere parse tali da non insospettire il rivenditore, che ha ceduto le auto, ma al momento di incassare i titoli ricevuti ha dovuto fare i conti con il fatto che fossero privi di copertura e con una firma risultata falsificata.
La concessionaria si è costituita parte civile nel processo, rappresentata oggi in aula dall’avvocato Elena Boschini, ottenendo – in sentenza – un risarcimento pari al totale degli assegni scoperti. Il recupero di quella somma è l’unica speranza, per il rivenditore, di rientrare del danno patito. Dalle indagini dei Carabinieri della stazione di Nus (è stato sentito come testimone il comandante) è emerso come, nel breve intervallo tra l’ottenimento delle vetture e l’individuazione dell’imputato, le tre Peugeot e la Opel siano passate ulteriormente di mano, ormai lontane dalla Valle.
L’accusa era rappresentata dal pm Cinzia Virota, che ha invocato la condanna di Imbemba a 9 mesi e 600 euro di multa. Il difensore, l’avvocato Genny Bouc del foro di Aosta, ha puntato a dimostrare la non assolutezza delle prove a carico dell’imputato, evidenziando tra l’altro come la transazione fosse avvenuta anche avvalendosi dell’opera di un’altra persona. Una tesi che non ha evidentemente convinto il giudice, spintosi, nel pronunciarsi per la colpevolezza, ad incrementare la richiesta dell’accusa.