Enaiatollah Akbari e Fabio Geda a Donnas: la situazione in Afghanistan costringe alla fuga

09 Febbraio 2022

Non c’è una mamma che pensi che il proprio figlio possa avere una vita sana in Afghanistan” ammette Enaiatollah Akbari, giovane afghano arrivato in Italia 18 anni fa e protagonista del libro di Fabio Geda, ieri al centro di una serata organizzata da Amnesty.

Uno dei paesi più corrotti al mondo, dove perdurano violenza e guerra, il livello di alfabetizzazione è bassissimo e infima la condizione delle donne, private da sempre dell’istruzione e del diritto di decisione sia verso la famiglia che verso sé stesse. “Mia mamma ha avuto il potere magico di immaginare il mio futuro al di fuori dell’Afghanistan, è riuscita a mandarmi in un altro mondo” ricorda. La madre l’ha lasciato in Pakistan in una comunità di orfani quando aveva dieci anni. “Aveva la certezza che avrei potuto vivere meglio. Per lei era meglio sapermi in pericolo ma in viaggio verso un posto sicuro, piuttosto che vicino a sé ma nel fango della paura di sempre” spiega il protagonista. 
Enaiatollah risente la voce di sua mamma dopo otto anni, per telefono. “E’ stata un’emozione così forte che non riuscivo nemmeno a esprimerla a Fabio” ricorda. “A me piace pensare che il suo viaggio di ritorno sia iniziato in quel momento” dice Laura Lucchese, insegnante che ha moderato la serata. 

I tre protagonisti dell’incontro sedevano dietro una bandiera gialla su cui campeggiava la dicitura di Amnesty, organizzazione a difesa dei diritti umani, che ha organizzato l’incontro. “La prima volta in vita mia che ho ricevuto un quaderno era di Amnesty” ricorda Enaiatollah con riconoscenza “In questo momento non ci sono molte soluzioni per aiutare l’Afghanistan, ma dei modi ci sono. Uno di questi è il simbolo che vedete qui davanti”. 

L’incontro tra il profugo e lo scrittore che ha steso la sua storia

Nel 2009 Enaiatollah incontra lo scrittore che darà voce alla sua storia: Fabio Geda. Nel 2010 esce Nel mare ci sono i coccodrilli, che narra il suo viaggio di “andata”, dall’Afghanistan all’Italia, e 10 anni dopo Storia di un figlio, il percorso fisico ed emozionale del “ritorno”, dall’Italia al Pakistan, voglioso di ritrovare la sua famiglia.
“Lui è bravissimo a raccontare e io dovevo trasformare il suo racconto orale in scritto” riferisce Fabio Geda. 
E’ stato come alleggerirmi lo zaino durante una scalata. Era l’unica cosa che potevo fare per la mia terra: aumentare la consapevolezza di ciò che sta capitando” racconta Enaiatollah. 
“Avevo molta paura di invadere il suo racconto con i miei pensieri e il mio punto di vista” rivela Geda “Io scrivevo in prima persona, ma io ero lui, e volevo esserlo con tutta la sincerità, volevo mettere sottovuoto la sua memoria in modo che i germi del tempo non potessero intaccarla”.

Per il libro è stato scelto il genere del romanzo perché sembrava agli autori la forma che potesse raggiungere il maggior numero di persone. “Speravamo che sarebbe arrivato a molti lettori e lettrici soprattutto giovani” dichiara Geda “Ma per me l’unica persona che doveva leggerlo e esserne soddisfatto era lui”. 
Enaiatollah lo definisce il suo “album di fotografie”, perché “da povero non avevo una macchina fotografica e non ho potuto fotografare i passaggi della mia vita”.

Dall’ “abbandono” alla nuova vita in Italia

“Quando mia mamma mi ha lasciato ero triste, stavo male, mi mancavano il mio villaggio e i miei parenti” rievoca il giovane “ma poi ho capito che non si trattava di una punizione, l’aveva fatto proprio perché mi voleva bene. Non so come abbia fatto a immaginare che sarebbe stato possibile farmi vivere in un posto fuori dalla guerra, visto che ci è nata, vissuta e ci ha dato alla luce sempre nella guerra”. 

“Io, in quanto insegnante, vedo in alcuni alunni che sono venuti in Italia una sorta di rabbia, sembrano come sospesi tra due mondi e faticano a trovare una loro identità” commenta Laura Lucchese. Enaiatollah ribatte dicendo: “Noi siamo come i semi trasportati dal vento: che si voglia o no si acquisiscono delle caratteristiche del posto nuovo. I ragazzi non devono essere arrabbiati, devono capire che c’è un motivo se i loro genitori si sono spostati e che abbiamo una possibilità in più.  Molti genitori vorrebbero venire in un posto come questo, dove i figli hanno la possibilità di studiare e aprire il frigo e trovare da mangiare”.
“Non è mai esistita una cultura ferma nel tempo” aggiunge Geda “Bisogna coltivare e proporre la predisposizione alla trasformazione. Nella cultura hazara io ho notato che c’è qualcosa di gentile, affabile, poetico, si sente proprio un certo rispetto dal loro modo di parlare”.

Per tornare in Pakistan, Enaiatollah ha dovuto “faticare tantissimo” assicura “avrei dovuto portare il mio certificato di nascita, che però non esiste! Non so nemmeno quando è la mia data di nascita”. In più, “sono successe cose anche nella mia testa: ho realizzato che rimarrò sempre uno straniero, potrei essere anche un italiano perché ho acquisito una nuova conoscenza, ma sono anche un afghano.”

Afghanistan: terra di scambi di potere ingiusti e distruttivi

Ad oggi la situazione è “peggio di 20 anni fa, quando c’erano i talebani” afferma Enaiatollah “Ai quei tempi solo chi era andato in guerra era perseguitato, adesso chiunque vada contro il governo è perseguitato: insegnanti, minoranze etniche e religiose, donne che mostrano ciocche di capelli fuori dal burqa…”.

Alcune pagine del libro sono dedicate alla storia dell’Afghanistan, segnata da periodici cambi di governo. Prima sottomessa agli inglesi, poi ai russi e infine ai talebani, ad ogni passaggio le regole cambiavano e i piccoli miglioramenti cancellati. Per esempio, la prima Costituzione afghana fu stabilita solo nel 1921, conferiva alle donne il consenso del matrimonio e vietava agli uomini troppo anziani di sposare ragazze troppo giovani,  ma già sette anni dopo è stata smantellata dall’entrata dei talebani al potere. 
Ci hanno illuso che l’Afghanistan diventasse come gli altri paesi del mondo, senza guerra e persecuzione. La popolazione civile ci ha creduto: pensava che una democrazia avrebbe permesso loro di togliere il burqa a casa, cantare, aprirsi, studiare, avviare un’attività. Poi all’improvviso è tutto finito. Ora non abbiamo più la speranza che il mondo ci venga a soccorrere”.

Nel 2016 l’Afghanistan si è vista attribuire il titolo di paese più corrotto al mondo e nel 2017 di paese con il più alto numero di emigrazione. “Erano tutti dei segnali ma nessuno è intervenuto. Dal 2014 al 2018 si sarebbe potuto dire qualcosa, invece i leader dei paesi occidentali non hanno fatto nulla” dichiara il giovane “Bisogna evitare di far morire le persone di fame e impedire ai talebani di far sparire le persone. Sono migliaia le persone che spariscono nel nulla. La questione è molto complicata in questo momento. Ho paura che in primavera l’Afghanistan si svuoti”. 

I punti di riferimento degli afghani sono le organizzazioni di Emergency e di Medici Senza Frontiere. “Fanno quello che non fa la politica: sensibilizzano la popolazione a non fare violenza” commenta Enaiatollah. Per ora tutto quello che noi possiamo fare per sostenere l’Afghanistan è offrire delle donazioni a queste associazioni.  

 

Enaiatollah Akbari, Laura Lucchese e Fabio Geda
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