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Fabio Treves al Blues&Soul Spring Festival: il Puma di Lambrate graffia ancora

Nella due giorni al Grand Hotel Billia dedicata alla black music e ai suoi generi fonte, la Treves Blues Band ha confermato il suo valore di formazione “on the road” da 50 anni, per spiegare e svelare il suono del Delta (e dintorni).
Cultura

C’era una volta un festival, all’inizio degli anni duemila, tutto dedicato al Blues e alle sue declinazioni, come il soul e la black music. Dal palco del teatro Romano, e dalla vita successiva della kermesse allo stadio Puchoz, sono passati alcuni dei nomi internazionali del settore, come i Temptations, Scott Henderson, Sugar Blue e Popa Chubby, ma anche realtà italiane consolidate come il compianto Rudy Rotta, o Nick Becattini, assieme a figure promettenti, vedi Graine Duffy, Eddie Martin e vari altri.

C’era una volta…

C’era una volta, poi – come a volte succede nelle favole – non c’è stato più. Fino al fine settimana appena trascorso, in cui le “anime” della kermesse aostana (in particolare, Aurora Carrara alla direzione artistica) ci hanno riprovato, contando sul Grand Hotel Billia e sulla scuderia di artisti della Slang Music. La prima edizione del “Blues&Soul Spring Festival” è stata un “bignami” di emozioni a sette note, legate nella prima serata – quella di venerdì 21 marzo – alla carica innovativa di Neal Black & The Healers, nonché all’aura senza tempo dei Black Gold.

Una vita per il blues

Sabato 22, invece, spazio in apertura a chi ha dedicato una vita a portare in Italia l’acqua del Delta del Mississippi (verso il quale, narra la leggenda, Robert Johnson strinse ad un crocevia un patto con il Diavolo, che in cambio gli svelò segreti, tecniche e accordature): l’artista lombardo Fabio Treves e la sua band. Fondata nel 1974, la formazione si è esibita nella nostra regione un discreto numero di volte. L’altro ieri, però, la curiosità riguardava il fatto che mancasse da queste latitudini già da qualche anno e che, nel mentre, avesse raggiunto le 51 (o, per dirla con la band, 50+1) primavere.

Sul palco del salone Gran Paradiso si è visto che il Puma di Lambrate, questo il soprannome affibbiato dai fan a Treves, graffia ancora. Lo fa soprattutto all’armonica, in cui a 75 anni sarebbe esagerato pretendere che soffiasse con il fiato dei 20, ma siccome parliamo dello strumento che sta al blues come le fondamenta ad una casa, il punto non è quanto, ma come. Lo fa anche partendo dal presupposto che, se suoni un genere che è uno stato d’animo, quasi una missione (vedi i Blues Brothers), allargare la schiera degli “adepti” fa parte del gioco.

Un concerto che è un viaggio

Così, oltre alla stretta di mano ad un giovane fan a fine live, ecco che l’ora e venti di concerto diventa un viaggio in un genere “fonte”, che parte dall’Africa (e anche dai Caraibi), lungo le rotte degli schiavi impiegati negli Stati Uniti. Lo spettatore scopre l’esistenza di brani come “Take This Hammer”, cantata nei cantieri delle ferrovie nordamericane, ma anche di leggende come quella narrata in “Midnight Special”, treno che passava accanto alle carceri e diveniva, per le persone in cella, simbolo di libertà e della possibilità di rifarsi una vita altrove.

A costellare il percorso, non solo l’ecletticità di Treves – che negli anni “on the road” ha condiviso il palco con Frank Zappa e ha avuto l’onore di aprire lo show di Bruce Springsteen al Circo Massimo di Roma – ma anche musicisti che brillano per fedeltà alla formazione e per solidità della performance. Lo capisci quando Alex “Kid” Gariazzo (prossimo ai 30 anni nella band) intona da solo, accompagnandosi alla ritmica, una intensa “Marbletown”, mutuata dal britannico Mark Knopfler, ma intinta ampiamente oltreoceano.

L’omaggio alle radici

Oppure quando Massimo Serra (che ha messo in fila 35 anni alla batteria della TBB) lascia il suo sgabello e passa in prima linea, suonando in omaggio alle radici una cravatta metallica con due ditali (versione compatta della washboard, fatta vibrare con due cucchiai) in “From Four ‘till late”, brano di Robert Johnson che galoppa verso i 100 anni di vita. A completare il “power trio” che sta sul palco con il Puma, Gabriele Dellepiane, il più giovane come militanza, ma che ha capito in fretta l’importanza che “ognuno faccia il suo”.

Insomma, se una cosa arriva allo spettatore è che Treves e i suoi sono un ensemble genuino e che ha scelto un genere che in Italia non arricchisce, ma colora l’esistenza come pochi altri. Dopo di loro, nella serata conclusiva del festival, l’eleganza di Joyce Yuille & The Soul Experience Group, con la loro performance r&b. Un’altra delle coniugazioni infinite di una musica che è sinonimo di emozioni.

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