Ci sono legami destinati a durare negli anni, a superare le inevitabili difficoltà della vita, sfidando il tempo e la distanza, come quello tra Pietro e Bruno, protagonisti del film “Le otto montagne” che uscirà nelle sale italiane a partire dal 22 dicembre. La loro è un’amicizia nata all’inizio degli anni Ottanta tra le vette valdostane, in un mondo dove il tempo sembra essersi fermato. Diretto dalla coppia belga Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, che avevano già lavorato insieme per l’acclamato “Alabama Monroe – Una storia d’amore”, il film si lancia nell’impresa di portare sul grande schermo la profonda amicizia raccontata da Paolo Cognetti nell’omonimo romanzo vincitore del Premio Strega. Girato prevalentemente a Brusson, con il contributo della Film Commission Valle d’Aosta, “Le otto montagne” – una produzione Wildside e Vision Distribution – è stato presentato in anteprima durante il Festival di Cannes dove ha conquistato il premio della giuria, rivelando vincente la coproduzione tra Italia, Belgio e Francia.
Attraverso la storia dei due protagonisti, prima bambini e poi uomini, il film riesce a cogliere il fascino della vita in alta quota, che si snoda tra i sentieri incorniciati dai boschi, paesini e alpeggi in pietra, raccontando allo stesso tempo le difficoltà di un ambiente tanto affascinante, quanto ostile fatto di inverni rigidi, sacrifici e solitudine. La storia è quella di due amici, Pietro e Bruno, interpretati rispettivamente in età adulta da Luca Marinelli e Alessandro Borghi, uniti da un legame sincero e autentico che per poter funzionare non ha bisogno di troppe parole. Il primo, figlio di un’insegnante e di un ingegnere di Torino, ogni anno trascorre le vacanze in Valle d’Aosta, a Grana. Il secondo, montanaro testardo e sincero, a Grana ci è nato e cresciuto e lì lavora nella stalla di famiglia insieme agli zii. Dopo un’infanzia di estati passate insieme, entrambi cercheranno di trovare la propria strada, perdendosi di vista durante l’adolescenza e allontanandosi dal percorso pensato dai rispettivi padri. Pietro girerà il mondo (alla ricerca delle otto montagne citate nel titolo) fino ad arrivare in Nepal, Bruno si rifugerà nella solitudine dell’alta montagna. Nonostante gli anni e la distanza, i due amici continueranno comunque a mantenersi in contatto, ritrovandosi ogni volta dove tutto è cominciato.
A colpire fin dai primi secondi di proiezione è la scelta stilistica del formato 4:3 voluta dai registi. Di solito, pensando ad un film ambientato in montagna, non possono che venire in mente vasti spazi aperti, capaci di trasmettere un forte senso di libertà. Diversamente, le immagini del film di Groeningen e Vandermeersch sono confinate tra i bordi stretti di un inconsueto formato “quadrato” che rimandano indietro nel tempo, agli anni dei primi documentari sulle Alpi, girati con cineprese piccole e leggere. Se da un lato il formato ristretto limita l’immagine evitando di portare sullo schermo una cartolina autocelebrativa della Valle d’Aosta, dall’altro permette allo spettatore di concentrarsi sui personaggi, cercando di colmare la distanza tra sé e lo schermo e di entrare sempre più nella storia di quella amicizia profonda nata tra le alte vette alpine.
Lungo tutta la sua durata, il film riesce a cogliere l’essenza della montagna valdostana, mentre stride la scelta della musica folk che rimanda piuttosto alle atmosfere del Nord Europa. In circa due ore e mezza, che sembrano volare cullati dalla voce fuori campo di Pietro che guida il racconto esplicitando i propri pensieri e tormenti interiori, il film copre un arco temporale che va dai primi anni Ottanta ai giorni nostri, raccontando cronologicamente, così come accade nel libro di Cognetti, una storia profonda e commovente.