Bastardi senza gloria
Film dopo film, a quasi vent'anni da "Le iene", Quentin Tarantino si conferma come il vero effetto speciale del cinema americano. Più del 3D e della rivoluzione digitale, il suo talento vivo di scrittore e regista raduna e rende unito un popolo di spettatori, non di utenti, un pubblico vero e non un'audience, capace di vivere collettivamente, insieme, un'esperienza cinematografica. E proprio l'esperienza cinematografica è al centro di "Bastardi senza gloria", che termina, contrariamente a quanto annuncia il suo titolo, in gloria, con una sequenza magistrale ambientata in una sala di proiezione. Non sveliamo niente dell'epilogo del film, ma sottolineiamo quanto Tarantino metta in termini di fantasia ed energia narrativa al termine del suo ultimo film. Nel cinema e per il cinema si vive e si muore. Con il cinema ci si salva o ci si perde, proprio come è capitato al regista di Pulp fiction, al quale – è uno dei tanti aneddoti della mitografia tarantiniana – un professore delle superiori predisse: "o diventerai un grande artista o passerai gran parte dei tuoi giorni in prigione".
Ma al di là del mito, con Bastardi senza gloria abbiamo più della conferma di una voce ormai canonica del cinema contemporaneo. Misurandosi con la Storia, piegandola alle proprie esigenze di narratore, Tarantino sembra aprire una nuova fase della sua produzione. Ancora più chiusa della precedente nello spazio di una cinefilia costruita e coltivata all'insegna della radicalità, la lingua attraverso la quale ci parla Tarantino diventa con gli anni sempre più intensa, profonda, capace non più solo di renderci fratelli, nel divertimento, degli sconosciuti che hanno pagato il biglietto del medesimo cinema per il medesimo spettacolo, ma di raccontarci ora anche la storia della nostra ormai lunga amicizia.