Up
Carl, il protagonista di "Up", è un anziano che non ha più fiducia in nulla. E' rimasto vedovo e la sua casa è piena di ricordi e mobili consunti. Da dietro i suoi occhiali il mondo ha perso vita e colore. Una cosa sola gli rimane da fare: realizzare un folle sogno coltivato per anni con sua moglie.
Che il volto di Carl sia modellato su quello di Spencer Tracy per come appare in "Indovina chi viene a cena?" è sicuramente un dettaglio trascurabile per almeno il 50% dei suoi spettatori (quelli nati dopo l'uscita di "Toy Story",1995, primo successo internazionale della Pixar), ma la raffinatezza con la quale viene reso ogni dettaglio dell'ambiente dove vive – dalla pelle usurata delle poltrone ai riflessi delle migliaia di palloncini che fanno volare casa sua fino all'altro emisfero – è un prodigio di artigianato digitale che non lascia indifferente nessuno degli spettatori di "Up", che lo scoprano in 3D o nel corso di una normale proiezione bidimensionale.
Eppure "lottare contro la precisione dei computer" è un altro dei mantra della Pixar, dove i computer sono al servizio delle intuizioni narrative e di regia e non viceversa. Ed è molto probabile che quando, tra 50 anni, si guarderà ad "Up" e agli altri capolavori prodotti e diretti da Lasseter e compagni non si studierà tanto la perfezione dell'animazione quanto piuttosto l'eleganza e la vivacità del racconto.
Funny People
I Cahiers du Cinema gli hanno dedicato la copertina e negli Stati Uniti, nonostante il parziale insuccesso in sala, è stato celebrato come il film della maturità del suo regista/sceneggiatore, Judd Apatow. "Funny people" è la storia di uno stand-up comedian, un comico di successo al quale viene diagnosticata una malattia terminale. La tragicità del tema non è però l'unica variazione rispetto alle prove precedenti di Apatow. Prima di tutto, nell'attribuzione dei ruoli: il suo attore feticcio Seth Rogen viene retrocesso al ruolo di comprimario e fa, letteralmente, da spalla al protagonista Adam Sandler, autentica star della comicità U.S.A. non nuovo ad esperienze a mezze tinte (come in "Punch Drunk Love" di Paul Thomas Anderson). Ma poi anche nella scelta di collaboratori tecnici più validi e capaci di scelte meno scontate, con in testa Janusz Kaminski, il direttore della fotografia di Steven Spielberg. L'autore di "40 anni vergine" rimane però sempre l'autore di "40 anni vergine" e risulta difficile non guardare almeno una volta l'orologio prima della fine di questo film di 145 minuti. Come riuscita prova di maturità bisognerà forse aspettare il prossimo film ma Apatow dimostra qui di saper guidare una macchina narrativa più complessa di quelle messe insieme finora.