Il regista Spada: “Giallini era Rocco Schiavone prima di sapere di interpretarlo”

26 Aprile 2023

Cinquant’anni, nato a Torino, ma a Roma da prima di compierne cinque, Simone Spada è il regista della serie dedicata al vicequestore Schiavone, dalla terza stagione in poi. Aveva già lavorato con Marco Giallini al cinema, poi la coppia si è ritrovata sul piccolo schermo, per le avventure del poliziotto capitolino spedito “in confino” tra le Alpi.

Incassato il successo di pubblico delle quattro puntate messe in onda fino alla settimana scorsa, è ora a Milano, dove sta girando il seguito di “Studio Battaglia”, fiction dedicata a uno studio di avvocatesse. Però, l’eco di Schiavone era ancora troppo viva nell’aria, specie in Valle, per lasciar cadere il tema, specie con lui che dà forma visuale allo sguardo e ai tormenti del Vicequestore, e ne è nata una conversazione andata anche in onda su Radio Proposta Aosta

Simone Spada (foto da Wikipedia).

Il linguaggio visivo

Partiamo dall’aspetto su cui più valdostani commentano dopo ogni puntata: le atmosfere della serie. Alcuni trovano sullo schermo un’Aosta molto meno colorata, più crepuscolare di quella che conoscono e guardano dalle loro finestre. Però, quella nella serie è la città percepita da Rocco: è così?
“Cerchiamo di restituire ai romanzi di Antonio Manzini un clima che, tra l’altro, si sposa molto con il genere noir. Quindi, anche se avessimo girato una città che non fosse Aosta, avremmo cercato quel crepuscolare di cui parli. Però poi, secondo me Aosta ne esce fuori sempre molto bella. Anche perché questa cosa che è circondata dalle montagne, che sono in contrasto con questo cuore caldo romano, e la neve, che comunque è misteriosa e fredda, secondo me restituisce, sia alla città che al personaggio, un bellissimo connubio”.

Sei abituato a spazi diversi, come appunto quelli di Roma. Cosa significa girare in un posto come Aosta? Voglio dire, in luoghi di mare hai uno sguardo sconfinato. Qui, ovunque ci si giri gli occhi incontrano un limite. È difficile, è comunque una sfida per il regista?
Io direi che è il contrario. La mia sensazione è un’altra. Ormai sono tre stagioni che seguo Rocco, quindi sono molto affezionato proprio ai luoghi della città, della Valle d’Aosta. Anche perché è una montagna aspra, è una montagna che a me piace moltissimo e stimola tante suggestioni, non solo cinematografiche. Io non sento dei limiti quando sono ad Aosta, anzi sento più limiti in città, quando giro qualcosa, quando mi approccio a una serie, un film.

Tra l’altro sono molto legato alla neve. Anche nei miei due film cinematografici, Hotel Gagarin e Domani è un altro giorno… Hotel Gagarin si svolge in Armenia, a meno venti gradi, con questi personaggi immersi in un albergo circondato dalla neve. E la stessa cosa succede in Domani è un altro giorno che, per quanto sia un film che si svolge tutto a Roma, un film tra l’altro con Mastandrea e Giallini, diciamo che è un film che parte dalla neve.

Sono molto legato alla neve, sono molto legato alle montagne, anche per la mia infanzia. Io non sento la chiusura in Val d’Aosta, anzi sento una grande apertura perché la montagna, per quanto circondi la città, la mia sensazione è che sia larga, che sia ariosa”.

Rocco Schiavone è una serie noir, ma c’è, lo sappiamo bene, molto spazio per i sentimenti, per le sensazioni umane. Quanto ti aiutano a dare forma a tutto ciò paesaggi come le montagne e un capoluogo che per certi versi – tu vivi la metropoli, te ne sarai reso conto – è uno scrigno?
“Penso che il grande successo di Schiavone nasca anche da questa sorta di miscuglio di cose che dici. Il fatto che la città sia ridotta, che non sia una metropoli, la rende quasi un teatro e forse sottolinea ancora di più gli aspetti umani dei vari personaggi. Penso che la forza della storia risieda, ancor più che nei casi dei gialli, dei noir, nel fatto che la serie sia proprio dedicata ai sentimenti. A volte sono drammatici, a volte sono di commedia. Questo miscuglio crea un’empatia nei confronti dello spettatore”.

Rocco Schiavone

Il personaggio Schiavone

Lo hai detto poco fa, sei diventato regista del vicequestore Schiavone alla terza stagione. Avevi già lavorato con Marco Giallini, firmando, appunto, Domani è un altro giorno. Però per padroneggiare, per rendere anche visivamente, il mood del poliziotto in esilio in valle, ti sei dovuto preparare? E quanto, eventualmente?
“Penso che, come le cose buone che succedono nella vita, ti capita a un certo punto una proposta, che era quella che in qualche modo, inconsapevolmente, stavi aspettando. Quando mi hanno proposto di girare Rocco Schiavone, io ero anche un fan dei libri di Antonio Manzini, ancor prima della prima stagione, fatta poi da Michele Soavi. Comunque li avevo letti, perché ero curioso, perché mi divertivano. Non si sapeva ancora che Marco Giallini avrebbe interpretato Schiavone. Non si sapeva ancora che sarebbe diventata una serie Rai.

Era un genere di racconto che comunque prediligo, che mi piace, che mi diverte, che seguo, quello del noir, del giallo, chiamiamolo poliziottesco, anche se qui siamo proprio nel genere noir puro. Tendenzialmente, quando mi è arrivata questa proposta penso che fosse una cosa che già mi apparteneva, quindi non mi sono preparato particolarmente, se non nel dare risposta a quelle che erano le mie sensazioni, la mia sensibilità su quel tipo di racconto.

Poi è chiaro che devi conoscere le prime due stagioni che son state girate, il tipo di linguaggio e di ambienti. Devi avvicinarti a un personaggio che è già stato raccontato precedentemente. Però penso di essere più il padre io della serie tv di quanto lo siano i miei predecessori, che hanno fatto entrambi, sia Michele Soavi che Giulio Manfredonia, un ottimo lavoro. Però avendo fatto tre stagioni su cinque, penso di essere quasi, ormai, il padre putativo della serie tv”.

L’altro motivo di successo della serie è nel fatto che Marco Giallini ha un profilo perfetto per il personaggio creato da Antonio Manzini. Qualcuno si spinge a dire che Giallini è Schiavone stesso. Tu lo vedi in azione sul set più da vicino di chiunque altro: è davvero così?
“Faccio una metafora calcistica. Quando succede che arriva l’allenatore giusto con il giocatore giusto e una squadra vince quell’anno un campionato inaspettato… è un po’ successa la stessa cosa. Non credo che Manzini pensasse che si sarebbe mai fatta una serie tv quando ha scritto i primi romanzi. Poi succede che si decide di fare la serie tv. Poi succede che si decide il protagonista e capita Marco Giallini. Nessuno di noi può immaginare un Rocco Schiavone che non sia Marco Giallini e credo che lo stesso Marco possa misteriosamente pensare che è successa un’alchimia. Uno “sliding doors”, diciamo, in cui alla fine lui era già, forse, Rocco Schiavone…”.

Aspettava di saperlo…
“Aspettava di saperlo, senza saperlo. Son quei misteri delle cose che poi, alla fine, tornano magicamente e io voglio ancora credere che esistano nel nostro mondo, chiamiamolo artistico, anche se quando si fa una serie si sta più sul piano industriale. Però in Rocco Schiavone c’è spazio, forse si sente che è una televisione leggermente diversa, un po’ più, tra virgolette, profonda”.

Gruppo – Rocco Schiavone

Il successo con polemiche…

Una domanda anche rispetto a qualche polemica che c’è stata sull’attitudine “laica” di Schiavone. L’ipotesi di un passaggio su Rai Uno della serie, che era stato annunciato ma poi non si è concretizzato, aveva trovato poco d’accordo Marco Giallini per primo. Forse perché lo avrebbe portato a modificare, a edulcorare il personaggio?
“Sicuramente Rai Uno e Rai Due sono due case diverse, come finestre per un racconto di fiction. Diciamo che la serie Rocco Schiavone ha trovato sempre spazio su Rai Due nella sua storia. Io poi non saprei dare una risposta precisa, nel senso che non potrei dirti con certezza che su Rai Uno sarebbe andata meglio, su Rai Due, invece, sarebbe rimasta nella sua ‘comfort zone’.

Rocco Schiavone brilla di sé stesso, perché Rocco Schiavone è una serie che ha non degli ascoltatori, nel senso degli ascolti Auditel, ma degli ultrà veri e propri. Magari non sono i numeri alti che fanno le serie tv sulla rete ammiraglia, su Rai Uno, ma ogni volta che va su Rai Due raddoppia sempre lo share del canale. Quindi, forse, quella è la sua casa. E probabilmente sì, anche questo dà al racconto, a noi, a Marco, ad Antonio, forse più libertà artistica. Però, non saprei dirtelo perché non è che poi su Rai Uno per forza tagliano. Però è un pubblico leggermente diverso, un pubblico più ampio, e conosciamo quali sono le dinamiche in Italia, insomma”.

E’ anche il prodotto Rai più venduto all’estero. Te lo spieghi il successo internazionale?
“Guarda, questo dovrebbe far appunto pensare. Anche la ‘preghiera laica’, non è tanto la scorrettezza del gesto… Non voglio neanche stare a discutere delle polemiche politiche, perché io faccio un altro tipo di mestiere. Però, io credo che sia un racconto reale. La realtà poi premia, diventa universale, soprattutto nel 2023. Quindi, se si deve fare una serie, o un racconto, cinematografico o televisivo, bisogna stare dentro i tempi in cui si vive. Non si può far finta di non esserci. Andando incontro anche a qualche polemica, ci sarà sempre qualcuno che non apprezza. Però, io credo che se è il prodotto Rai più venduto all’estero, così mi dicono, vuol dire che il linguaggio che usiamo, il tipo di racconto visivo, il tipo di atmosfera, di messa in scena, di fotografia, di attori, di recitazione, forse viene riconosciuto come un linguaggio più universale”.

Il vice questore Schiavone esce dalla casa di Chevax.

Rocco per chi lo ha diretto

Se ogni lavoro lascia qualcosa a chi lo realizza, cosa ti resterà del vicequestore Schiavone?
“Intanto, penso che abbiamo fatto un segmento di vita insieme. Quello che mi lascia è aver lavorato a un genere preciso di racconto, che mi ha reso più consapevole, più forte dal punto di vista proprio registico, della mia professionalità. E poi si è creato tra di noi un gruppo di lavoro meraviglioso, perché comunque veniamo in Valle d’Aosta da Roma in una cinquantina/sessantina di persone e stiamo lì per due-tre mesi, sviluppando un nostro piccolo microcosmo affettivo. Quindi anche con la città, con la Valle, abbiamo i nostri ristoranti, i nostri luoghi, le nostre casette. Questo mi lascia: un grande spazio, un grande ricordo. E posso anche dire di aver conosciuto da vicino un mondo, che è quello della Valle d’Aosta, di Aosta e non solo, che è molto fascinoso, in cui spero di tornare, a prescindere dal lavoro”.

Finisco con la domanda che dalla settimana scorsa tutti si pongono. Ci sarà una sesta stagione di Rocco Schiavone?
Purtroppo non sono io quello che può rispondere a questa domanda. Non vedo perché no… Però, non sono io. Sicuramente, Antonio Manzini ha scritto già un bellissimo libro, che è ‘Le ossa parlano’, e credo che a fine maggio/quest’estate ne uscirà un altro, sempre di Rocco Schiavone, quindi il materiale per poter andare avanti c’è. Però, appunto, poi le scelte non spetta a me farle. Spetta ai produttori, spetta alla Rai, spetta a chi deciderà di produrlo, o meno. Però, tutti speriamo che ci sia. Soprattutto, ripeto, perché ormai abbiamo constatato che ci sono un paio di milioni di fan accaniti, quasi di ultrà, di Rocco Schiavone. Forse sarebbero quelli che ci rimarrebbero più male se fosse finita così. Anche perché non avrebbe tanto senso…”.

Senza spoiler per chi non l’ha ancora visto e lo recupererà su RaiPlay, ma il finale della quinta stagione è più che aperto…
Assolutamente. Sembra non finire mai. Siamo solo noi che invecchiamo…”.

Rocco Schiavone 5

Rocco Schiavone 6 si farà? La produzione dice “sì”, ma la politica non ama la serie

Un milione 793mila spettatori. Tanti ne ha totalizzati, nella serata di ieri, mercoledì 19 aprile, l’ultima puntata della quinta stagione della fiction dedicata al vicequestore Rocco Schiavone, in onda su Rai 2. Il dato, pari al 10.1% di share, ne fa il terzo programma più visto della serata, dietro alla serie Luce Dei Tuoi Occhi 2 su Canale 5 (2.668mila spettatori, 16.3%) e al programma Chi L’ha Visto? di Rai 3 (1.910mila, 11.8%).

Un risultato ancora più interessante se si considera che la serata era un mercoledì di Champions League, con tanto di squadra italiana (l’Inter) in campo. Gli incontri non sono da tempo sulla tv in chiaro, ma è più che immaginabile che gli abbonati alle piattaforme abbiano abbandonato ieri la programmazione generalista per tifare. Accostata al resto della serie sul dirigente di polizia spedito in esilio ad Aosta, l’ultima è stata la terza puntata più seguita delle quattro.

L’esordio ha fatto il botto il 5 aprile (“Il viaggio continua”, oltre 2,1 milioni di spettatori), seguito in termini di ascolti dalla seconda puntata, sette giorni dopo (“Chi parte e chi resta”, 1,88 milioni), quindi quella di ieri (“Vecchie conoscenze”, 1,79 milioni) e la terza, trasmessa solo due giorni dopo la precedente, cioè venerdì 14, (“Punti di vista”, 1,63 milioni). Un pubblico stabile, a testimonianza del fatto che il personaggio nato dalla penna di Antonio Manzini, ed impersonato sullo schermo da Marco Giallini, ha una consistente base di fan affezionati.

Il ragionamento è però orfano di dati significativi, soprattutto dopo che le abitudini di vita degli italiani sono state rivoluzionate dai lockdown, con l’accresciuta abitudine a fruire di contenuti on demand, attraverso le varie piattaforme. Per i dati Auditel disponibili il mattino dopo, relativi alla tv, il broadcaster statale si tiene ben stretti quelli delle riproduzioni su Rai Play, il catalogo in streaming di tutti i prodotti trasmessi.

Nei corridoi dell’azienda non è però un mistero che quei numeri portano sul podio anche nell’on demand il vicequestore Schiavone, solo dietro a “titoli corrazzata” come Mare Fuori, o la soap Il Paradiso delle Signore. Detto degli ascolti, considerando anche il finale “in sospeso” di questa stagione (non faremo spoiler, però basta aver letto Manzini per sapere quanto resti aperta la porta), la domanda diventa: “vedremo ancora il poliziotto con Loden e Clarks in azione in tv?”.

Se partiamo dal presupposto che la fiction traspone televisivamente i romanzi dello scrittore romano, il materiale su cui lavorare per altre puntate esiste (come emerso anche nella puntata del podcast Illumina Aosta dedicato alla Film Commission Valle d’Aosta). La stagione appena chiusa è infatti un mix tra il romanzo “Vecchie Conoscenze” e i racconti “…E palla al centro” e “Confini”, contenuti nei volumi “il calcio in giallo” e “Una settimana in giallo”. Resta fuori, e quindi sarebbe utilizzabile, “Le ossa parlano” uscito l’anno scorso, assieme ad altri racconti brevi.

Come se non bastasse, seppur non esattamente sventolandolo ai quattro venti (ma facendolo, tra l’altro, in un’intervista a Repubblica), il “papà” di Rocco ha annunciato per fine maggio un nuovo libro, “il più corposo, si intitolerà Elp”. A ciò va aggiunto poi che il presidente e amministratore delegato di Cross Productions, Rosario Rinaldo, parlando al mensile Tivù, ha annunciato che “E’ già in cantiere la sesta stagione di Rocco Schiavone: quattro episodi da 100 minuti”.

Una frase che prosegue con: “Grazie alle vendite all’estero, siamo riusciti a rientrare dell’investimento, e a guadagnarci. Non solo. La stessa Rai è riuscita a sua volta a recuperare parte dei costi sostenuti. Non mi pare che esistano altri prodotti Rai con questi stessi numeri”. Una dichiarazione dall’indiscutibile valore di conferma, ma alcuni episodi riguardanti la fiction sono recenti e non ancora dimenticati.

Antonio Manzini.

In fondo, la committenza della fiction diretta dal regista Simone Spada è la Rai ed essere servizio pubblico, nel nostro Paese, significa non essere indifferenti ai poteri pubblici, politica in primis (che alla vigilanza sulla tv di Stato dedica una apposita commissione parlamentare). Se i numeri fanno del Vicequestore trasteverino tra i quattromila un indubbio prodotto di successo, non sono un mistero le antipatie che la fiction si porta dietro negli ambienti del Centrodestra, oggi nuovamente al governo.

Non solo quelle emerse in occasione della conferenza stampa di lancio della serie, peraltro disertata dai massimi dirigenti Rai, sfociate in una interrogazione parlamentare anni fa, ma anche quelle rilanciate dal senatore Maurizio Gasparri (FI) la settimana scorsa, dopo due puntate. Nelle parole del politico all’AdnKronos, Schiavone “in piena fascia protetta propaganda l’uso di droghe e addirittura ‘consiglia’ con quale vino abbinare la marijuana che fuma”.

“Non sono io un ‘retrogrado’, – ha aggiunto il parlamentare ex An – sono dei pericolosi irresponsabili quanti usano la televisione, e addirittura il servizio pubblico, per propagandare le droghe”. Una visione che Manzini, ancora a fine marzo, ha rimandato al mittente a mezzo stampa (“siamo nel 2023 e penso che il fumo sia un falso problema”), ma con la Rai in odor di rinnovo di governance, nei corridoi di viale Mazzini potrebbero aver trovato orecchie (ben) disposte ad ascoltarle.

La fiction è diretta da Michele Soavi.

Peraltro, gli osservatori dell’azienda tv pubblica non hanno faticato ad annotare la recente “virata” del paradigma narrativo. Per limitarsi a qualche esempio, una fiction in onda sull’asso dell’aviazione Francesco Baracca, un film in arrivo (prodotto anche da Rai Cinema) sul comandante dei sommergibili della Regia Marina nella seconda guerra mondiale Salvatore Todaro. Insomma, uomini in divisa dai contorni (e dai colori) decisamente meno “flou” di Schiavone.

All’immaginario puzzle andrebbe poi aggiunto anche il mancato passaggio della serie – annunciato nel giugno 2022 alla conferenza stampa di presentazione dei palinsesti tv, ma non concretizzatosi – da Rai2 a Rai1. E’ vero che quella ipotesi non convinceva, per primo, Marco Giallini (“è sempre stata una serie trasgressiva e non so quanto possa piacere al pubblico di quella rete”, aveva detto), ma per com’è organizzata la tv di Stato, sarebbe stata una “vetrina” molto più ampia, foriera di share probabilmente ancora più elevati.

Insomma, se le parole di Rosario Rinaldo sgomberano le nuvole sull’orizzonte di Schiavone, il colore del cielo sulla serie, a volte, è apparso non dissimile da quei toni sfumati e crepuscolari cui il regista Simone Spada affida la traduzione degli stati d’animo del Vicequestore. Di sicuro, in Valle, c’è chi tiene al prodotto, realizzato anche con il sostegno del film fund della Film Commission Valle d’Aosta. Alessandra Miletto, direttrice, sulla ipotesi di una nuova serie dice: “Lo spero fortemente. Per ora non ho altri elementi”. Vien da pensare che, tra i monti tanto difficili per Rocco, in tanti si associno all’auspicio.

Doppio appuntamento questa settimana con Rocco Schiavone

Doppio appuntamento questa settimana per i fans di Rocco Schiavone. La seconda delle quattro puntate della serie Tv è andata in onda ieri sera, mercoledì 12 aprile, su Rai2, tenendo incollati davanti al televisore 1.888.000 spettatori. Per la seconda volta il vicequestore Schiavone, con il 10.8% di share, risulta il terzo programma più visto del prime time, superato dalla nuova fiction di Canale5 Luce dei Tuoi Occhi 2  con 2.707.000 spettatori (16.5% di share) e dall’evergreen Pretty Woman, che su Rai1 ha portato 2.529.000 spettatori (15.2% di share).

Per scoprire chi è l’autore del delitto al centro della puntata di ieri, i fans dovranno attendere domani, venerdì 14 aprile, quando è attesa la terza e penultima puntata della quinta stagione. L’appuntamento è sempre alle ore 21.20 su Rai2.

Rocco Schiavone, 12% di share per la prima puntata della quinta stagione

Oltre 2,1 milioni di telespettatori per la prima puntata della quinta stagione di Rocco Schiavone, andato in onda ieri sera su Rai2. Lo share ottenuto è stato del 11,82%.
La serie è stata il terzo programma più visto, dopo il film Ricatto d’amore su Rai1 (2.690.000 telespettatori, share 15,13%) e il match Cremonese – Fiorentina (2.635.000 telespettatori, share 13,29%).

Soddisfazione per il risultato ottenuto da Rocco Schiavone viene espresso sul proprio profilo dal “padre letterario” Antonio Manzini. “Sono felice perché Rocco, pare, sia andato benissimo. E questo è il vero premio, al netto delle inutili polemiche, per tutti noi che ci abbiamo lavorato e che l’abbiamo amato. La lista dei ringraziamenti sarebbe troppo lunga, ma nel mio cuore non manca nessuno di quelli che hanno regalato la loro professionalità esperienza e passione. Questa serie televisiva, un po’ come Peter Seller in Hollywood party cui all’inizio tutti sparano ma non muore mai, continua a vivere grazie all’amore degli spettatori, ma non ce la faccio a scrivere 2 milioni e 300 mila nomi in un post”.

La prima delle quattro puntate della quinta stagione era già disponibile da lunedì scorso 4 aprile, in anteprima, su Raiplay. 

 

Rocco Schiavone? Nella quinta stagione “lo ritroviamo bene”, parola di Marco Giallini

La conferenza stampa per la fiction su Schiavone.

Un Marco Giallini in forma smagliante, in perenne oscillazione tra l’indolenza e la malinconia di chi ha Roma nel dna, ha tenuto banco stamane alla conferenza stampa di presentazione della quinta stagione della “fortunatissima fiction” dedicata al vicequestore Rocco Schiavone. Le quattro puntate delle nuove avventure del funzionario di Polizia capitolino in “esilio” in Valle saranno in onda su Rai2, da mercoledì prossimo, 5 aprile, alle 21.25.

Se l’ultima immagine della scorsa serie era uno Schiavone gravemente ferito, ora – Giallini docet – Rocco è “guarito, il rene lo abbiamo asportato.”. “Lo ritroviamo bene. – ha detto l’attore che lo impersona sul piccolo schermo. Due linee de’ febbre, ma niente de che”. “Lo ritroviamo un po’ stanco”, scherza l’interprete, ma “le intenzioni sono quelle di sempre, io ho visto dei pezzi dell’ultimo e mi sembra uno Schiavone in forma”.

In sala c’era anche Simone Spada, regista ad oggi di tre stagioni della fiction firmata Rai Fiction-Cross Productions e Beta Film Gmbh. Alla domanda sul suo legame con il burbero Vicequestore ha spiegato che “Rocco, per me, rappresenta un personaggio imperfetto”. “In questo momento, – ha aggiunto – l’imperfezione è da me molto amata, perché rappresenta l’umanità. Sono legato a questo personaggio e voglio continuare ad esserlo, qualunque cosa gli succederà, che sia stanco, che esca dall’obitorio, che ci entri. La sua empatia nasce da questo essere imperfetto, da essere molto umano”.

Rocco Schiavone quinta stagione

Alla domanda “quanto ti assomiglia Rocco Schiavone?”, Giallini ha risposto “caratterialmente, insomma, mi ritrovo. Per questo credo di essere amico di Manzini”. Lo scrittore, però, sostiene, nel momento in cui crea nuove pagine, di riuscire a sfuggire alla sovrapposizione, vissuta ormai da molti lettori, per cui il poliziotto spedito dalla metropoli ai piedi delle Alpi ha automaticamente voce e volto dell’attore romano. “Ogni tanto mi viene in mente il suo volto, perché oltre a un amico è diventato una sorta di familiare”, ha detto Manzini.

“E’ bello avere il suo viso accanto, – ha aggiunto – è come avere una persona che ti vuole bene. E’ vero che abbiamo fatto dei film e il viso di Marco è il viso di Rocco, ma cento lettori, cento Rocco Schiavone diversi. Quante madame Bovary ci sono? No, quando scrivo non vedo Marco, ma sono molto contento che abbia accettato” di impersonare Rocco. In linea, lo sceneggiatore Maurizio Careddu: “il personaggio era già talmente perfetto, che era più facile sceneggiarlo di uno che devi creare dall’inizio”.

Nel “fuoco di fila” delle domande non ne sono mancate di rivolte all’attore, sulla sua vita personale. Le “rotture de cojoni” (elemento costante nell’esistenza del poliziotto) nella vita per Marco Giallini? “Diciamo gli stronzi, la gente che capisce poco. La gente che non comprende, te guarda ma non te vede”. Se per un giorno potessi essere per davvero Rocco, cosa faresti? “Famose due risate, perché i problemi sono tanti. Se fossi Schiavone, che non è Dio, ma un Vicequestore di Polizia, farei il Vicequestore. Come lui, forse non la marijuana, ma come lui…”.

Sul poliziotto borderline, che si fa le canne, che ogni tanto commette anche qualche reato, è poi arrivata all’attore una domanda rispetto agli attacchi mosse alla serie da vari esponenti politici di destra, che nel tempo hanno anche depositato una interrogazione parlamentare. “Ho letto: ‘che messaggio diamo?’. – ha risposto Giallini – E che messaggio volemo dà. Non giustifico, ma posso capire. Certo, se accendo la televisione di messaggi ce ne stanno svariatelli…”.

“Se guardo una serie su Netflix, – è proseguito il ragionamento dell’attore – le canne se le fanno dentro la culla. Sono serie americane e non è che siano migliori. Era una cosa, molto tranquilla, di un personaggio della letteratura italiana. Poi, fatto dalla Rai, non lo so… Io ricordo che a Buzzanca non fecero più dire ‘Mannaggia’, nella sigla del suo programma. La settimana dopo si sentì: ‘Nannanna’. Tra mannaggia e ‘na canna, ne abbiamo fatti di passi in avanti”.

Che non si tratti di una serie tra le preferite del centrodestra, non è un mistero. Che la ridefinizione della governance della tv di Stato sia salita di priorità agli occhi del governo, dal festival di San Remo, neppure. Nessuno, stamane, ha provato a indagare se di passi in avanti Schiavone riuscirà a muoverne altri sul piccolo schermo. La verità è però che, prima di tutto, serve un altro libro di Antonio Manzini, aspetto sul quale lo scrittore, oggi, non ha detto una parola (né nessuno ha ritenuto di chiederglielo).

Rocco Schiavone 5: slitta ad aprile la messa in onda

Slitta di una settimana la messa in onda della quinta stagione di Rocco Schiavone 5. Ad annunciarlo su Facebook è Antonio Manzini, il padre del noto vicequestore esiliato ad Aosta. Le quattro puntate della nuova stagione saranno in onda, quindi, non più dal 29 marzo su Rai2, ma dal 5 aprile.

Dopo il promo, la Rai ha diffuso nei giorni scorsi il trailer. Un assaggio di tre minuti delle nuove indagini che vedono impegnato il tormentato vicequestore, in esilio qui in Valle d’Aosta.
Fra le novità della stagione, l’assenza di Isabella Ragonese sostituita nel ruolo di Marina, la moglie defunta di Rocco, dall’attrice Mirian Dalmazio.

Qui il trailer

Oltre al trailer, gli appassionati possono iniziare a gustarsi la nuova stagione guardando il primo backstage pubblicato. 

Il promo della quinta stagione di Rocco Schiavone

“Devo ricominciare tutto da capo…e vabbeh…adesso arrivo”. Si chiude con questa promessa formulata da Marco Giallini, intento a passeggiare Piazza Chanoux, ad Aosta, in piena notte, sotto ad un leggero nevischio, il breve video promozionale diffuso per il lancio della quinta stagione di Rocco Schiavone. 

La quinta stagione

I 4 nuovi episodi di “Rocco Schiavone” in onda su Rai 2 ricalcheranno alla perfezione il romanzo “Vecchie conoscenze” e un precedente racconto breve dal titolo “È palla al centro”.

“Come sarà Rocco? Sempre più depresso ma con qualche speranza in più di prima – ha anticipato lo stesso Manzini, che dopo la presentazione del suo ultimo romanzo “Le ossa parlano” pare per il momento non avere in cantiere alcun nuovo progetto -. La narrazione di questa nuova stagione sarà una narrazione editoriale che non lascerà spazio a nessuna novità rispetto alle pagine dei libri”.

La lectio magistralis di Antonio Manzini

La genesi di Rocco Schiavone

Nel corso della sua lectio magistralis, fulcro della cerimonia odierna, lo scrittore, attore, sceneggiatore e regista padre della serie televisiva ha voluto narrare ai numerosi presenti in sala la genesi del suo personaggio dalle tinte noir.

“Ho da sempre avuto voglia di scrivere di un poliziotto perché non esiste posto in cui i poliziotti non vadano, dagli ospedali alle piazze, dalle scuole alle fabbriche – ha raccontato Manzini condendo la propria narrazione con un pizzico di immancabile ironia -. In ogni caso, volevo che fosse protagonista di un noir, un mondo in un certo senso più tetro che non diviene migliore dopo la risoluzione del caso come accade invece per i gialli”.

L’ispirazione per lo scrittore giunge da un inatteso e fulmineo incontro con un uomo abbigliato in un pastrano nero che, intento a discutere animatamente con la sorella in dialetto stretto, gli permette di intravedere in apparenza e stile proprio il vicequestore trapiantato in Valle d’Aosta.

“Ho sempre trascorso le mie vacanze a Champoluc e, percorrendone un giorno le piste da sci in motoslitta assieme alla mia famiglia e a mia sorella, mi è parsa intrigante l’idea di un omicidio proprio sulla neve – ha continuato l’autore -. La regione mi sembrava in un certo senso morfologicamente somigliante a Rocco, non proprio accogliente all’arrivo, con un sole che sorge presto e tramonta tardi, aperta da un Forte di Bard che incute quasi timore e dotata di montagne imponenti dove si può concretamente andare incontro alla morte”.

Inizialmente non convinto dalla prospettiva di dover redigere non tanto un singolo romanzo quanto piuttosto una serie, Manzini decide di volersi cimentare nella stesura di un libro popolare che al contempo guardasse alla scrittura di alcuni dei suoi maestri tra cui Proust, Shakespeare e Dostoevskij.

Antonio Manzini e Mariagrazia Monaci

La scrittura

“Scrivere è per me un atto naturale sin da piccolo anche se credo di non essermene mai davvero reso conto – ha commentato l’uomo -. Rammento che ogni ottobre ci veniva domandato di scrivere un testo sulla scoperta dell’America, che un giorno ho provato a raccontare parlando dal punto di vista del marinaio costretto a fare ammenda con il proprio capitano e a scusarsi per non aver raggiunto la meta prefissata, riuscendo a prendere come voto un due perché secondo la maestra ero andato fuori tema”.

Prima del toccante e serio augurio di una serena e soddisfacente vita universitaria ai numerosi studenti e nel iscritti valdostani presenti nel Teatro Splendor, Manzini ha voluto chiudere la propria lectio magistralis con un focus sull’arte della narrazione.

“Un tempo le storie venivano cantate attorno al fuoco, poi sono state trasportate sulle scene teatrali o impresse nella cera – le sue parole -. Ma esse sono in grado davvero di salvare tutti noi, sono lo scheletro dell’umanità che tutti hanno bisogno di sentire”.

Rocco Schiavone 5 in onda nel mese di aprile

Bisognerà aspettare aprile per vedere la quinta stagione di Rocco Schiavone. La notizia arriva dalla presentazione dei palinsesti Rai per i primi tre mesi del 2023. La serie televisiva andrà in onda sempre su Rai2.

Quattro gli episodi previsti, incentrati su “Vecchie conoscenze”, il penultimo romanzo di Antonio Manzini incentrato sull’omicidio di una professoressa in pensione e su altri due racconti dell’autore, sempre pubblicati da Sellerio.

Scenario della quinta stagione di Rocco Schiavone è ancora una volta la Valle d’Aosta. Nelle dieci settimane di permanenza della produzione nella nostra regione, sono stati tanti i set allestiti, prevalentemente nel centro storico. Dal Chiostro di Sant’Orso, al Museo archeologico regionale, dai giardinetti di Sant’Orso a Via Sant’Anselmo, da via guido Rey a Piazza Chanoux.
Alcune scene sono state girate anche a Skyway Monte Bianco, già set della prima serie, altre a Pila. La produzione in un caso si è spostata anche a Chamonix. 

La regia è stata come sempre curata da Simone Spada, mentre la produzione è a cura di Cross Productions insieme a RaiFiction, con il sostegno economico e logistico di Film commission Valle d’Aosta (Nda il contributo assegnato è di 180mila euro) e la collaborazione del comune di Aosta.

Un centinaio le comparse selezionate nella primavera scorsa, mentre sono state circa una ventina le maestranze locali impegnate.

L’ultimo romanzo “Le ossa parlano”

di Christian Diemoz

“Rocco Aosta non la sopporta, non la sopporterà mai. Non è abituato, non ci si abituerà mai finché campa”. Parola di Antonio Manzini, l’autore arrivato al tredicesimo capitolo della serie dedicata al Vicequestore Schiavone, il poliziotto trasteverino spedito in punizione ai piedi delle Alpi, nella Questura della nostra regione. Lo scrittore lo ha detto, questa settimana, in un incontro online con alcuni librai, per presentare il suo nuovo volume, “Le ossa parlano”, uscito da poco per Sellerio.

Un crimine crudele

Il sentimento del suo personaggio più celebre non si riverbera però nell’animo dello scrittore. “Io la amo Aosta, – ha continuato – mi piace tantissimo e mi piace la Valle tantissimo”. La nuova “puntata” delle avventure di Schiavone – aspetto su cui la critica è unanime – ruota attorno al crimine più efferato tra quelli di cui il poliziotto si sia mai occupato tra i monti del nord-ovest: il ritrovamento dei resti di un bambino di dieci anni, morto strangolato anni prima, dopo una probabile violenza.

Un “cold case” intricato, che porterà Schiavone tra i meandri non solo della mente, ma anche dell’alveo subumano della pedofilia, e che lo mostra ai lettori sotto tratti diversi da altre volte. Non alle prese con la “rottura” di decimo livello, nel metro di classificazione degli omicidi ideato dal funzionario di Polizia, ma con una vicenda che affronterà con compassione. Tale piglio innalzerà anche il livello della collaborazione con colleghi e sottoposti, con i quali si aggiungono diversi tasselli umani.

Le ossa parlano… anche di Aostasera

Se, per gli appassionati di Schiavone, tutto ciò potrebbe suonare come una sorpresa, la lettura di “Le ossa parlano…” per noi, in redazione, lo è stata anche di più. Abbiamo infatti scoperto a pagina 262 – e la citazione avviene serenamente, giacché non implica spoiler – che “Michele Deruta era felice dell’esito della mostra. Gli avevano promesso un articolo sulle pagine locali della ‘Stampa’, un altro su ’Aosta sera’ e aveva venduto otto quadri”.

Un riferimento alla nostra testata che prendiamo come testimonianza dell’amore profuso dall’autore per la città di Aosta, sotto forma di una ricerca di dettagli mirata a rendere sempre più rispondenti al contesto valdostano le storie del Vicequestore Schiavone. Per un tratto insolito di Rocco, comunque, l’ultimo volume firmato Manzini ne offre altri che i lettori conoscono da tempo, come l’inadeguatezza del protagonista per altri amori femminili. Nemmeno mirasse a sostituire con la solitudine qualsiasi compagnia possibile al suo fianco.

Rocco Schiavone, Marco Giallini

 

 

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