Tra errori giudiziari e verità negate: Pablo Trincia e il suo “L’uomo sbagliato” emoziona Aosta

Lo spettacolo ha tenuto incollato il pubblico della Saison culturelle allo Splendor ieri sera per quasi due ore, per poi esplodere in un lungo e commosso applauso al termine del racconto.
Pablo Trincia allo Splendor
Cultura

Nella giustizia italiana scorre un po’ di quel fiume che, ai tempi di Hammurabi (1750 a.C.), decideva la sorte degli accusati in Mesopotamia. Secondo il Codice, la più antica raccolta di leggi, era l’acqua in cui veniva gettato l’accusato a decretare la sua colpevolezza: se annegava, era colpevole; se si salvava, era innocente.

L’immagine della giustizia come dea bendata è quella che Pablo Trincia evoca più volte nel suo “L’uomo sbagliato – Un’inchiesta dal vivo”, prodotto e distribuito da Gianluca Bonanno e Vincenzo Berti per Ventidieci e Stefano Francioni Produzioni. Lo spettacolo ha tenuto ieri sera incollato il pubblico della Saison culturelle allo Splendor per quasi due ore, per poi esplodere in un lungo e commosso applauso al termine del racconto.

L’inchiesta dell’autore televisivo, sceneggiatore e giornalista ruota attorno agli omicidi di 15 donne anziane, sole, uccise con le stesse modalità tra gli anni Ottanta e Novanta nelle province di Taranto e Foggia. Per questi crimini, anni dopo, nel 2006, si dichiarerà colpevole il tunisino Ezzeddine Sebai, arrestato inizialmente nel 1997 solo per uno degli omicidi. Sebai confesserà, sostenendo che fosse troppo forte il peso della sua coscienza, verso chi aveva pagato al suo posto.

Ci vorranno però anni prima che l’uomo venga portato sul banco degli imputati, ma solo per 8 di quei delitti, quelli rimasti irrisolti. Per gli altri, come racconta Pablo Trincia attraverso gli atti giudiziari, le incongruenze, i mancati riscontri, le confessioni estorte durante “interrogatori guantanameschi”, poi ritrattate, e le indagini frettolose, sono finiti in carcere uomini innocenti. Alcuni, dopo processi infiniti e buona parte della propria vita trascorsa in prigione, sono riusciti a dimostrare la loro estraneità ai fatti; altri hanno rinunciato, decidendo di porre fine alla propria vita – come farà lo stesso Sebai nel 2012 – mentre qualcun altro, ancora oggi, continua la propria battaglia legale.

Giuseppe Tinelli, il più giovane degli accusati, aveva solo 17 anni quando fu fermato per la prima volta. Pablo Trincia lo incontrerà nei corridoi di un tribunale, in attesa di una delle tante decisioni che potrebbero cambiare il corso della sua vita. Trincia vede in lui l’ombra di se stesso, ma negli occhi di Tinelli scorge ancora quel lumicino di speranza che l’ha spinto a raccontare questa storia di malagiustizia in tutta Italia. La speranza è che qualche magistrato possa finalmente prendersi a cuore la sua sorte e quella di chi, purtroppo non più in vita, potrebbe ancora vedere riabilitato il proprio nome.

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