Un dizionario per la “moda dou Gòbi”, il dialetto di Gaby

Realizzato dall'associazione culturale "L'Atelier de Gaby" raccoglie 8.000 parole di un patois che mescola francoprovenzale, parlate walser e piemontese. "È il lavoro di un'intera comunità".
Il dizionario di Gaby da sx Paola Lazier Andrea Rolando e Etty De La PIerre
Cultura

C’era un tempo in cui, a Gaby, ogni famiglia aveva almeno una capra per assicurarsi il latte dalla primavera all’autunno. D’estate toccava ai bambini portare al pascolo gli animali facendo “lou tor”. Al mattino presto, andavano in giro per il villaggio gridando “Buttì four!”, che in moda dou Gòbi, il dialetto locale, significa “mettete fuori”. Le capre uscivano dalle stalle e seguivano i pastorelli che, al crepuscolo, le riconsegnavano ai proprietari. Questo è soltanto un frammento delle oltre 21.000 testimonianze raccolte dall’associazione culturale “L’Atelier de Gaby”, guidata da Ettore Tousco, per realizzare il dizionario del patois parlato nel comune dell’alta Valle del Lys. Un sogno nato dieci anni fa e diventato realtà dopo un lungo lavoro che ha coinvolto tutto il paese, per un totale di oltre 8.000 parole catalogate.  Il “Ditsiounèri de la moda dou Gòbi” – nella sua versione cartacea e digitale – è stato presentato ieri pomeriggio davanti a un salone Palatz gremito, alla presenza delle autorità regionali e comunali, tra cui il presidente della Regione, Renzo Testolin e il deputato Franco Manes.

Ad occuparsi del progetto – finanziato dalla Regione e dal Comune per un importo totale di 25.000 euro – sono state Paola Lazier e Etty De La Pierre, amiche d’infanzia e componenti del direttivo de “L’Atelier”, insieme al curatore scientifico Andrea Rolando. “Tutto è cominciato nel 2014, quando ci siamo rese conto che Gaby era l’unico paese del territorio dell’alta Valle del Lys a non avere un dizionario nel proprio dialetto – dice Paola Lazier -. Volevamo colmare questa lacuna e salvaguardare il nostro patrimonio linguistico a cui tutti siamo molto affezionati. Abbiamo costituito un gruppo di volontari di dieci persone, abbiamo iniziato a intervistare i primi testimoni e a collaborare con Andrea Rolando. L’idea iniziale era di ricercare dei termini specifici legati a dei mestieri tradizionali che oggi sono quasi del tutto scomparsi creando un glossario tematico. Ci siamo trovati davanti a un patrimonio di migliaia e migliaia di parole e ci siamo resi conto che avevamo gettato le basi per realizzare un dizionario vero e proprio”.

Con questa strada ormai tracciata, nel 2017 viene costituita l’associazione culturale “L’Atelier de Gaby” che oggi conta 46 soci. Diverse le sfide affrontate per arrivare alla stesura finale del dizionario: dalla grafia alle varianti del dialetto, presenti anche all’interno dello stesso villaggio, dalla digitalizzazione alla pandemia che ha reso più difficili i rapporti umani. Un lavoro che ci ha permesso di “prendere coscienza della straordinaria ricchezza del nostro dialetto“, aggiunge Etty De La Pierre. Ai termini in francoprovenzale si mescolano, infatti, quelli delle parlate walser di Issime e di Gressoney e del piemontese. “Ci hanno colpito la varietà e la precisione dei termini legati al mondo del lavoro, ad esempio quelli legati alla realizzazione dei ‘sock’, le tradizionali pantofole, ma anche la capacità di sintetizzare con un termine ciò che in italiano e in francese riusciamo a spiegare soltanto utilizzando delle lunghe frasi”. Un esempio? Nella moda du Gòbi è sufficiente il termine “tchivétsòr” per dire che si stanno sistemando i rami uno sopra l’altro, quelli più spessi nella parte anteriore del carico e quelli più sottili nella parte posteriore.

Oltre alle parole, il dizionario contiene sinonimi, contrari, modi di dire, numerose illustrazioni e degli approfondimenti su riti religiosi o abitudini radicate nella comunità gabese di un tempo, come “lou tor” che all’inizio della presentazione è stato portato in scena dai bambini del paese. “È il lavoro di una comunità intera e c’è stato un approccio scientifico – dice il curatore Andrea Rolando -.  Per questo, il dizionario riporta il patois com’è, non com’era o come dovrebbe essere. Interessante è il lavoro che è stato fatto con sulle parole omofone, ovvero che sono pronunciate uguali ma che hanno dei significati diversi. Nei dizionari tradizionali le troviamo insieme in quello di Gaby le abbiamo separate perché sono parole diverse. Nulla è stato buttato via”.  Anzi, ogni singola parola “è stata inserita in un database e descritta sotto vari aspetti: la forma sonora, scritta, il suo significato, l’eventuale appartenenza a un variante e il tipo di testimonianza”. Oltre alla versione cartacea, stampata dalla Tipografia Duc, il dizionario sarà disponibile nei prossimi giorni anche online sul sito de “L’Atelier de Gaby” realizzato da Laurent Vicquery di VisaMultimedia.

Per Ettore Tousco, presidente de “L’Atelier de Gaby”, la presentazione del dizionario “rappresenta uno degli avvenimenti culturali più importanti del nostro paese dopo la creazione del comune nel 1952″. E sull’attività dell’associazione aggiunge: “Oltre al dizionario, stiamo completando diversi lavori come la raccolta della documentazione fotografica di un gabese degli inizi del Novecento, ancora impressa su dei vetrini, la ricerca archivistica degli alberi genealogici delle famiglie locali e il censimento delle stufe in pietra ollare presenti nel territorio di Gaby. È nostra intenzione valorizzare tutti i documenti di cultura locale prodotti da Jolanda Stévenin, ci occuperemo della toponomastica e stiamo valutando la possibilità di arrivare ad una pubblicazione annuale”.  “Avere sul territorio un’associazione che si dedica alle tradizioni e alla cultura è una fortuna per il paese“, dice il sindaco Francesco Valerio, ringraziando chi ha collaborato alla stesura del dizionario. Per il presidente della Regione, Renzo Testolin, “è bello vedere una comunità che si trova intorno alla sua lingua. La lingua è comunità”. E aggiunge: “La caratteristica di Gaby è la capacità di aver saputo mescolare tutta una serie di particolarismi, il francoprovenzale, il tedesco, la lingua più diffusa in questa parte della Valle d’Aosta, il töitschu, il piemontese e il biellese. La forza del patois è proprio la sua diversità”.

Una risposta

  1. Bravo. Dialetti sono il cuore della lingua. Chi parla il suo proprio dialetto, è pieno di anima ed è ricco. Sono bavarese, so parlare il tedesco, ma i miei pensieri sono sempre bavaresi, ed anche italiani….

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