Devastanti dal punto di vista ambientale, temuti sul versante sociale, i cambiamenti climatici non possono che destare elevate preoccupazioni anche per via delle loro forti e pesanti ricadute economiche. A confermare la teoria secondo la quale l’aumento progressivo delle temperature rischia di rallentare la crescita finanziaria italiana dei prossimi decenni è la Banca di Italia, il cui recente studio denominato “Gli effetti del cambiamento climatico sull’economia italiana” va a confermare i gravi rischi apportati dai capricci del clima a settori quali agricoltura, impresa e turismo.
Clima ed economia
Curato da di Matteo Alpino, Luca Citino, Guido De Blasio e Federica Zeni, il progetto di ricerca mette in evidenza la netta correlazione che intercorre tra il comportamento umano e aziendale quanto a emissioni di anidride e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
“L’agricoltura risulta uno dei settori maggiormente esposti in quanto le temperature e le precipitazioni rappresentano input diretti nel processo produttivo bensì non risulta l’unica attività economica a essere interessata dagli eventi climatici – si legge nel documento -. Non soltanto infatti l’aumento del numero di giorni in cui si riscontrano temperature elevate riduce il tasso di entrata sul mercato di nuove imprese e ne aumenta il tasso di uscita ma la diminuzione delle precipitazioni nevose riscontra effetti negativi e significativi sulle presenze legate al turismo invernale”.
L’agricoltura
Settore maggiormente soggetto a problematiche climatiche, quello agricolo possiede in Italia una rilevanza finanziaria limitata al 2% del totale delle attività economiche del Paese; tuttavia, essa riveste un ruolo significativo nei termini di fornitore di comparti maggiori quali agroindustriale, alberghiero e ristorativo nonché nei termini di un consumo famigliare di prodotti agricoli italiani rasentante oltre l’80% dei beni primari.
“I risultati delle nostre stime mostrano che temperature superiori a 29° danneggiano le rese di mais e grano duro, mentre l’effetto negativo appare meno marcato per la vite e si manifesta a temperature superiori ai 32° – illustra il contributo -. L’impatto delle precipitazioni è invece più limitato e risulta appena positivo solo per il mais e nullo per le altre colture”.
Secondo le proiezioni future stimate dalla Banca di Italia e basate su di uno scenario moderatamente ottimista in cui gli incrementi delle temperature fino al 2030 sono ancora relativamente contenuti, però, potrebbero essere riscontrate conseguenze positive sulla produttività.
“Ragionando su orizzonti temporali più lunghi, per converso, risulterebbe maggiormente frequente il superamento della soglia di tolleranza oltre la quale un caldo maggiore diventa dannoso per la pianta e si verificherebbe dunque una diminuzione delle rese – avvertono i ricercatori -. Inoltre, il cambiamento climatico potrebbe generare anche un aumento della frequenza e della durata delle cosiddette “ondate di caldo” nonché del loro drastico impatto sui raccolti”.
Le imprese
A essere colpite dai cambiamenti climatici stando allo studio della Banca di Italia sarebbero anche le imprese, sulle quali un aumento permanente delle temperature estreme riscontra conseguenze quali la riduzione delle neo create aziende e l’incremento invece della sparizione di quelle già attive sul mercato; vittime più lampanti di tali dinamiche di involuzione risultano poi i settori di agricoltura, costruzioni, manifattura e commercio.
“L’analisi svolta sui singoli bilanci rivela un’influenza anche su risultati e redditività con un impatto radicalmente differente a seconda delle dimensioni – chiariscono gli esperti -. La negatività si registra soltanto per ciò che concerne le piccole realtà, mentre quelle più grandi sembrano avvantaggiarsi delle temperature più elevate probabilmente in seguito alle loro migliori capacità di adattamento”.
Il turismo
Il comparto del turismo montano rischia di essere tra i più esposti all’aumento delle temperature e al calo delle precipitazioni nevose, condizione fondamentale per l’esercizio degli sport invernali nonché fattore attrattivo determinante per le località alpine.
“Prima dell’inizio della pandemia di Covid-19, circa il 13% dei pernottamenti alberghieri in Italia era concentrato in montagna e la spesa dei viaggiatori stranieri in loco ammontava a circa 2 miliardi di euro su un totale di oltre 28 miliardi di euro – introduce il documento della Banca di Italia -. La possibilità di praticare sport invernali dipende dalla frequenza e dall’affidabilità delle precipitazioni nevose, ma secondo i pronostici l’arco alpino sarà una delle zone in cui l’incremento delle temperature raggiungerà livelli sino a tre volte maggiori rispetto alla media dell’emisfero boreale”.
Sulla base di dati quali informazioni sui pernottamenti e utilizzo degli impianti di risalita per i comprensori turistici di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige in un arco temporale che va dal 2001 alla stagione invernale 2018-2019, l’analisi riscontra un aumento delle temperature e una parallela diminuzione delle precipitazioni nevose in tali due zone turistiche rappresentanti sole più dei due terzi del totale dei soggiorni montani.
“In media un solo metro in meno di neve nel corso della stagione invernale può causare una diminuzione dell’1,3% dei passaggi negli impianti, mentre, stando alle stime che vedono un calo nelle neve caduta in inverno tra il 30% e il 45% al 2100 la frequenza di visite alle piste scenderebbe a una quota media del 7% – prosegue la nota -. Se nemmeno le pratiche di innevamento artificiale appaiono in grado di per sé di sostenere la domanda turistica legata agli sport invernali, è vero anche che le località alpine caratterizzate da una più ampia e varia offerta ricettiva e culturale appaiono maggiormente capaci di attirare clienti non sciatori”.
“Dialogo e condivisione”
Agricoltura, impresa e turismo non sono – come detto – gli unici settori interessati dalle ripercussioni provocate dai cambiamenti climatici: tra gli effetti apportati dai capricci del clima si ricordano anche difficoltà immobiliari, performance di studenti e non solo, implementazione degli infortuni professionali e impatto sul commercio estero.
“Tali dati impongono di approfondire e aumentare l’attenzione della politica regionale e nazionale sulla tematica, superando così atteggiamenti ideologici e irrazionali e andando invece ad agire nella direzione del tutto apolitica della conoscenza e della cura del territorio e dell’ambiente – commenta Giovanni Barocco, consigliere nazionale dell’Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani -. Tale atteggiamento deve essere e divenire un patrimonio comune dove la ricerca di soluzioni alle sfide poste in essere dai cambiamenti climatici deve avere al centro l’uomo in aperto dialogo e condivisione con le comunità abitanti le nostre valli”.