Secondo Deaglio, attualmente, sono tre le principali incognite che gravano sull’economia. Innanzitutto la crisi dei mutui americani, che come un virus ha intaccato il mercato mondiale: “Come afferma Jacques Attali, c’è stato uno tsunami, un terremoto in mare: noi europei, che siamo sulla costa, ancora attendiamo di sapere se l’ondata ci prenderà in pieno petto o se verremo solo schizzati. Per fortuna, rispetto agli americani, noi abbiamo da sempre adottato una politica più prudente riguardo ai mutui. Però numerosi enti locali, in Italia, hanno sottoscritto formule finanziarie rischiose”.
Il secondo elemento di crisi riguarda l’inflazione agricola. “Dovremo tenere d’occhio, nel prossimo futuro, l’Europa orientale, il nostro granaio” ha commentato Deaglio. “Si preannuncia, secondo recenti stime, un raccolto record, che in teoria dovrebbe fare scendere i prezzo e permettere di ricostituire scorte”.
Più complicata la questione della crisi petrolifera. “Come mai in poche settimane il prezzo è slittato da 100 a 150 dollari al barile? La domanda è certamente salita, ma non così rapidamente. L’impennata dei prezzi del petrolio è provocata da ragioni squisitamente speculative” ha affermato l’economista. “Tutti si aspettavano un attacco americano all’Iran” ha spiegato Deaglio. “Anche l’aeronautica israeliana era in fase di mobilitazione. E’ semplice: se l’Iran bombardasse lo stretto di Hormuz, che separa le sue coste dalla penisola arabica, i rubinetti verrebbero chiusi. Una tale prospettiva aveva indotto gli speculatori a immaginare una grave carenza di petrolio nel prossimo futuro. Allora tutti hanno comprato barili su barili, facendo lievitare il prezzo, sicuri di rivenderlo a prezzi folli. Ma all’improvviso la musica è cambiata: il primo ministro israeliano si è provvidenzialmente dimesso, ufficialmente per uno scandalo legato alla corruzione, un caso risalente però a due anni fa. Gli Stati Uniti hanno annunciato che istituiranno una presenza diplomatica a Teheran, per la prima volta in trent’anni. Il petrolio è quindi ridisceso sotto i 120 dollari. A questo punto, se la guerra non scoppierà, possiamo aspettarci una riduzione del prezzo dell’elettricità”.
Tutto va letto, secondo Deaglio, alla luce di importanti cambiamenti in corso, riguardanti la ridistribuzione del potere economico su scala mondiale. Il peso finanziario degli Usa si è ridotto notevolmente, sulla scia del prezzo del dollaro. “Secondo uno studio, nel 2000, il 50% del capitalismo mondiale si reggeva sulle sole forze della superpotenza americana. Alla fine del 2007 gli Stati Uniti valgono il 32%. La Cina è passata dal 2 all’11 per cento, e in generale tutta l’Asia si è avvantaggiata della perdita del potere finanziario americano. L’Italia, detto per inciso, è passata dal 2 all’1%, raggiungendo la Corea del Sud, che però ha seguito una parabola inversa, in quanto sette anni prima valeva lo 0,5%. Adesso i paesi emergenti vogliono contare di più, potere esercitare la propria influenza là dove si decidono le grandi strategie economiche mondiali”.
Intanto l’Europa ha fatto passi in avanti riguardo all’abbattimento delle barriere nazionali sul piano economico. “Questo è vero soprattutto in settori come le telecomunicazioni e l’energia. L’euro ha migliorato notevolmente la situazione, senza la moneta unica avremmo subito un tracollo. Noi italiani, però, abbiamo dovuto adattarci, in quanto non possiamo più giocare, come prima, con la svalutazione della lira”. Sul piano politico, c’è il rischio che in futuro, dopo tanti successivi allargamenti dello spazio UE, si assista all’allontanamento volontario di alcuni paesi con i quali ci sono attriti, come la Polonia. “Il nuovo oleodotto della Germania, che passerà sotto il Mar Baltico, riaccende nei polacchi il timore di un nuovo accerchiamento russo-tedesco”. Mario Deaglio coglie invece un segnale incoraggiante nell’accordo tra Russia e Georgia, frutto della mediazione, per la prima volta, dell’Europa, rappresentata dal presidente di turno, Nicolas Sarkozy.
Infine, il giornalista si è soffermato sulla situazione del nostro Paese, proponendo tre spunti di riflessione legati ad altrettanti segnali di debolezza strutturale. “La vicenda dei rifiuti ha sottolineato l’incapacità, a livello comunale, provinciale e regionale, di formulare e portare avanti delle decisioni. Legato allo stesso tema, è emerso il venir meno di un senso di solidarietà nazionale: mi ha colpito il rifiuto, espresso da molti, di aiutare la Campania a smaltire i propri rifiuti per tamponare una situazione di grande emergenza sociale e sanitaria. Infine, la miopia della classe politica è stata messa in evidenza dalla vicenda dell’Alitalia. Non ci mancano solo i soldi, ma anche e soprattutto gli aerei. C’è una lista d’attesa di anni per poterseli fare costruire dai due produttori mondiali, Airbus e Boeing, e ogni giorno l’Alitalia ci costa un milione di euro. Il piano di ristrutturazione dell’Airbus era veramente allettante: ci avrebbero fornito anche dieci aerei all’anno”. Intanto, nella lista delle prime 500 imprese europee per investimenti nella ricerca e nello sviluppo, la prima italiana è Finmeccanica, al 157° posto, seguita dalla Fiat, al 159°. Da sola, la tedesca Siemens investe più di tutte le aziende italiane messe assieme”. L’economista ha inoltre risolto un piccolo mistero: con quali soldi sono stati placati gli animi degli autotrasportatori in sciopero lo scorso dicembre contro il caro-greggio? Con le risorse precedentemente stanziate per la ricerca scientifica. Insomma, è la solita storia della coperta troppo corta.