Sci, aperture a rischio. Per il Cts: “Non ci sono più le condizioni”

L'Assessore regionale agli impianti a fune Luigi Bertschy in contatto con le altre regioni: "Siamo molto infastiditi da questo modo di comunicare che non segue le procedure istituzionali. Al momento comunque non c’è nessuna convocazione del Consiglio dei ministri imminente che possa fermare l’apertura dello sci domani e in settimana". 
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Economia

“L’apertura degli impianti  è fissata per il 18 febbraio, previa conferma da parte del Governo”. E’ la scritta che campeggia da alcuni giorni sui alcuni dei siti delle società di impianti di risalita valdostane. La prudenza non è mai troppa, lo sa bene il settore dello sci valdostano, da mesi in balia di provvedimenti “last minute” che ne bloccano la ripartenza.

Anche questa volta, nonostante il protocollo approvato dal Cts lo scorso 4 febbraio, un Dpcm in scadenza, e l’individuazione della data del 18 febbraio per la riapertura degli impianti, le notizie che arrivano da Roma non lasciano presagire nulla di buono.

Il riconfermato ministro della Salute Roberto Speranza ha chiesto al Comitato tecnico scientifico di “rivalutare la sussistenza dei presupposti per la riapertura” dello sci, “rimandando al decisore politico la valutazione relativa all’adozione di eventuali misure più rigorose”.

Il parere del Cts è tranchant: alla luce delle “mutate condizioni epidemiologiche” dovute “alla diffusa circolazione delle varianti virali” del virus,  “allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive attuali, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”. 

Rispondendo a Speranza, gli esperti sottolineano innanzitutto che la situazione epidemiologica “rimane un presupposto fondamentale” per poter procedere alle riaperture e che in ogni caso ogni azione “va valutata con cautela rispetto al possibile impatto” sui territori. Anche perché le misure previste per le zone gialle “dimostrano una capacità di mitigare una potenziale crescita dell’incidenza ma non determinano sensibili riduzioni” che, invece, si osservano nelle zone arancioni e rosse. C’è poi da tener conto di altri due fattori: la ripresa della scuola in presenza, il cui “impatto andrebbe monitorato prima di valutare ulteriori rilasci”, e, appunto, la presenza delle varianti del virus che, dice lo studio, stanno provocando una nuova crescita dell’epidemia, “con un impatto sostenuto sui sistemi sanitari”.  “È, pertanto, evidente – dicono gli esperti – che la riapertura degli impianti…non può prescindere da una attenta valutazione dall’impatto di quanto sopra rappresentato”.

Ancora più pesanti le parole di Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, intervistato dall’Ansa. “In questo momento le attività che comportino assembramenti non sono compatibili con il contrasto alla pandemia da Covid-19 in Italia ed gli impianti da sci rientrano in tali attività. Non andrebbero riaperti” – ha detto – “Non dimentichiamo – ha sottolineato Ricciardi- che la variante inglese è giunta in Europa proprio ‘passando’ dagli impianti di risalita in Svizzera”.

Dichiarazioni che hanno fatto saltare i nervi e non poco alle regioni alpine.
“C’è un confronto continuo con gli assessori delle altre regioni.  – spiega l’Assessore regionale agli impianti a fune Luigi Bertschy – Siamo molto infastiditi da questo modo di comunicare che non segue le procedure istituzionali e non crea le condizioni per lavorare, programmare bene l’attività degli esercenti e dare risposte al territorio”. 

“Al momento comunque  – prosegue Bertschy – non c’è nessuna convocazione del Consiglio dei ministri imminente che possa fermare l’apertura dello sci domani e in settimana”. 

Piemonte e Lombardia sono infatti pronti già da domani, lunedì 15 febbraio, a riaprire gli impianti, il Veneto mercoledì 17 febbraio, mentre la nostra regione ha deciso la data del 18 febbraio. 

“Fare un provvedimento – spiega in una nota Massimo Sertori, assessore alla Montagna di Regione Lombardia- che blocca tutto a un giorno dall’apertura significherebbe creare un danno davvero ingente alle società di gestione delle attività che intanto hanno assunto personale e organizzato l’apertura. Ma il fatto metterebbe perfino in discussione la credibilità di uno Stato che ieri ha detto una cosa e che oggi afferma il suo contrario”.

Le regioni alpine confidano ora nella politica, e in particolare in quei ministri che possono far sentire la voce delle economie di montagna nel nuovo Governo Draghi.

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