“È forte la preoccupazione degli allevatori valdostani che, pur essendo solidali con le proteste nazionali, non sono scesi in piazza con i manifestanti in Valle d’Aosta, perché non si sono riconosciuti con le istanze portate”.
A scriverlo, in una nota, è Michel Charbonnier, vicepresidente di Terra Viva Valle d’Aosta, l’Associazione liberi produttori agricoli affiliata alla Cisl.
“Il mondo agricolo valdostano è gravemente ammalato – spiega Charbonnier –, lo è da anni e la conferma arriva dai dati Arev: altre 30 aziende hanno chiuso nel 2023 e di conseguenza 500 capi in lattazione mancano all’appello. Questo danno è già tangibile, vista la carenza di latte sul mercato, che non riesce a soddisfare la domanda per produrre Fontina”.
Un trend negativo, ma soprattutto – dice sempre il vicepresidente – “ormai irreversibile” che “ci sta portando verso una Valle d’Aosta sempre meno coltivata, perché il mondo agricolo legato all’allevamento è sempre meno appetibile per gli agricoltori, avendo una bassissima redditività e costi legati a manodopera e materie prime sempre più elevati”. “Solamente le grandi aziende, con superfici importanti, riescono a ripagare i costi aziendali – si legge ancora –. Di conseguenza sta scomparendo quel tessuto socio-economico fatto da piccole aziende, tendenzialmente gestite in modo part-time, che, mosso da passione per la propria terra, era maggiormente attivo nella cura e mantenimento dei terreni, anche marginali”.
Non solo: “Oltre alla scarsa redditività, le aziende devono far fronte a una burocrazia e a una legislazione sanitaria e urbanistica decisamente sproporzionate oltre a una qualità della vita sempre più scadente, tanto che sono sempre più rari i giovani che decidono di intraprendere questa professione, nonostante le agevolazioni europee, nazionali e regionali”.
“Per la Valle d’Aosta – prosegue Charbonnier – questo significa rinunciare al ruolo fondamentale e irrinunciabile del comparto agricolo dal punto di vista sociale, economico e ambientale, l’unico capace di assicurare sicurezza alimentare, qualità, valorizzazione del patrimonio storico culturale e paesaggistico, servizi ambientali, presidio e identità dei territori. Tra le conseguenze più gravi ci preme sottolineare anche l’aumento del carico d’incendio, soprattutto in relazione ai cambiamenti climatici. Quest’anno purtroppo abbiamo constatato quanto questo possa portare a gravi conseguenze e la situazione non potrà che peggiorare”.
Cosa può fare l’Europa?
Ma “cosa può fare la comunità europea per salvare l’allevamento valdostano?”, si chiede l’Associazione, che si risponde a stretto giro. Le soluzioni sono “mantenere le agevolazioni sul gasolio agricolo, visto che non esiste una reale alternativa” mentre – dice Charbonnier – “siamo tutti d’accordo sulla necessità di diminuire l’uso di antibiotici, ma sono inaccettabili i principi proposti per il rispetto del benessere animale in quanto non corretti per il nostro modello di allevamento. Basterebbe osservare i dati sulla longevità delle bovine da latte”.
A questo si aggiungono richieste di “certezza su date e importi degli aiuti”, ma anche di “premiare i prodotti di qualità e proteggerli maggiormente vietando l’ingresso in Europa di prodotti che non rispettano i nostri standard di qualità e sicurezza alimentare”, così come di “diminuire la burocrazia, richiesta pervenuta a gran voce da tutti gli stakeholders, ma che è stata totalmente disattesa”.
Cosa può fare, invece, la Valle d’Aosta?
In seguito, Terra Viva risponde alla domanda “cosa può fare la politica valdostana per salvare l’allevamento valdostano?”.
Anche qui, la soluzione è composita. Anzitutto “aggiornare il calcolo del costo reale per la produzione di fieno nelle zone montane, in modo da dimensionare correttamente l’indennità compensativa”, oltre a “creare un osservatorio che misuri costantemente costi e ricavi di latte e Fontina”, ma anche “favorire realmente l’insediamento di giovani agricoltori e nuovi agricoltori”, “svincolare il più possibile le piccole realtà e i piccoli investimenti dalla burocrazia”, “abolire disciplinari autolesivi per le aziende locali – e l’esempio portato all’attenzione è quello della mocetta –, così come “proteggere maggiormente i prodotti di qualità, rendendo più efficaci gli interventi sulla promozione”.
Non sono le sole richieste, però. A queste si aggiungono le necessità di “creare un meccanismo di precedenza per la concessione di beni comunali o regionali alle aziende che producono prodotti DOP”, “dare nuovo impulso alla selvicoltura per conseguire la manutenzione dei boschi e creare una filiera certificata del legno, che dia maggior slancio alle aziende del settore”, “trovare nuove soluzioni per la convivenza con la fauna selvatica e notificare a Bruxelles i contributi riguardanti questo settore, in modo che non vadano a erodere il plafond ‘de minimis’”.
Riguardo l’emergenza idrica Terra Viva chiede di “realizzare numerosi piccoli accumuli idrici sparsi ovunque, finanziandoli anche con una tassa sull’idroelettrico, con gestione a favore dei consorzi”, per i quali “creare una sovrastruttura regionale che li aiuti nella gestione di progetti e burocrazia varia” e “diminuire la burocrazia in tutti i settori, facendo anche in modo che la digitalizzazione sia un reale aiuto, anziché un’ulteriore complicazione”. Con un esempio, o forse uno spunto in chiusura: “Apprezzabile come buona pratica il Bonus Entreprises”.