Il lavoro in carcere, l’esperienza della pizzeria di Mare Fuori

La pizzeria dell'Impossibile che dà lavoro ai ragazzi del Carcere minorile di Nisida, il penitenziario dove è ambientato la serie tv Mare Fuori, ha portato la propria testimonianza ieri all'incontro Per un lavoro fuori
Per un lavoro fuori
Lavoro

Le storie di redenzione raccontate da Mare Fuori, la serie cult televisiva, passano anche dalla Pizzeria dell’impossibile. Le testimonianze di chi negli anni è riuscito a costruire realtà imprenditoriali all’interno degli istituti di pena sono state al centro ieri, mercoledì 17 maggio di “Per un lavoro fuori” , primo evento della rassegna #VDAlavora 2023.

È il caso di Antonio Franco, presidente dell’Associazione Scugnizzi, che grazie alla collaborazione con i Fratelli La Bufala è riuscito a creare la Pizzeria dell’impossibile, un progetto volto ad offrire ai meno abbienti del comune di Napoli l’opportunità di gustare gratuitamente una pizza nella cornice del quartiere dei Decumani. La Pizzeria dell’Impossibile, dal 2013 ha dato a 215 ragazzi del Carcere minorile di Nisida, il celebre penitenziario all’interno del quale è ambientata la serie tv  Mare Fuori, una seconda possibilità per formarsi e reintegrarsi nella società. Dei 215 coinvolti, sono 95 i ragazzi che una volta usciti dal penitenziario hanno approfittato dell’occasione offerta loro per continuare a lavorare nell’ambito della ristorazione.

“Se non fosse per i Fratelli La Bufala l’associazione Scugnizzi non sopravviverebbe, da sempre ci forniscono materie prime, fondi per le utenze, divise. Tante persone vogliono fare volontariato ma se non viene data loro un’etichetta non lo fanno; invece, loro senza sponsorizzarsi continuano a sostenerci. In piena Pandemia, quando tutti i locali erano chiusi, noi della Pizzeria dell’impossibile non ci siamo mai fermati, perché i nostri poveri pandemia o non pandemia dovevano mangiare la pizza.”

Le testimonianze di Antonio Nardi e Vincenzo Cordella

Presenti all’incontro anche Antonio Nardi e Vincenzo Cordella, ex detenuti che grazie all’Associazione Scugnizzi, una volta scontata la loro pena, hanno continuato a coltivare la passione per la pizza. Vincenzo Cordella, dopo un mese di carcere e un periodo di comunità, è stato assunto a Roma dai Fratelli La Bufala. Una volta entrato in azienda, Antonio ha fatto carriera ed è diventato responsabile generale delle attività dei Fratelli La Bufala nel nord Italia. “Penso che sia molto importante che gli imprenditori imparino a dare fiducia alle persone che hanno davanti. Bisogna imparare a capire i ragazzi come noi che vengono da quartieri difficili.” Anche Antonio Nardi ha voluto mandare un messaggio agli imprenditori: “Bisogna credere nei ragazzi perché sbagliare è umano, correggere è un pregio. All’inizio hai un muro davanti, le persone non sanno cos’abbiamo passato. Bisogna prendere i ragazzi e chiedersi: il problema qual è? Bisogna seguirli, come ha fatto Antonio, formarli e non abbandonarli mai. Io ho sbagliato 7 anni fa, purtroppo sbagliamo tutti, l’importante è capire e tornare sulla strada giusta. Oggi ho 22 anni, faccio il pizzaiolo da otto anni e ho due figli, il mondo della pizza mi ha fatto andare avanti e mi ha fatto capire tante cose.”

L’appello agli imprenditori

“Per  un lavoro fuori”, l’incontro promosso dal Dipartimento politiche del lavoro e della formazione, in collaborazione con l’Associazione valdostana di volontariato carcerario, le cooperative sociali operanti presso l’istituto di pena di Brissogne, l’Ufficio di esecuzione penale esterna, l’Assessorato alle Politiche Sociali e la Direzione della Casa circondariale- Brissogne Aosta,  è stata anche un’occasione per rivolgere un appello agli imprenditori valdostani, chiamati ad investire in prima persona nell’occupazione dei detenuti.
“Il lavoro in carcere è l’unico mezzo di sostentamento per i detenuti, anche perché dal loro stipendio vengono detratte le quote di mantenimento in carcere e porta sicuramente un ritorno economico alle imprese.” Ha sottolineato il Direttore reggente della Casa circondariale, la dottoressa Antonella Giordano. Basti pensare che, grazie alla Legge Smuraglia, gli imprenditori interessati ad assumere detenuti e a svolgere attività formative possono accedere a diverse agevolazioni, quali ad esempio il rimborso dell’80% degli oneri a carico del lavoratore. Inoltre, la Cassa Ammende mette a disposizione 8 milioni di euro a fondo perduto per realizzare progetti all’interno delle carceri. Tali fondi, sono accessibili tramite la compilazione di un formulario presente sul sito del Ministero della Giustizia.

L’occupazione dei detenuti in Valle d’Aosta

La percentuale di detenuti occupati, nella Casa circondariale di Brissogne-Aosta è del 50%, un dato in netta contrapposizione con la media nazionale, che si attesta al 35% e con i dati piemontesi, che si fermano al 36%. Sulla realtà valdostana la dottoressa Antonella Giordano, direttore reggente della Casa circondariale Aosta-Brissogne ha spiegato: “La Valle d’Aosta rientra tra le regioni virtuose perché non sempre per un politico è facile parlare di carcere. Non è un argomento vincente, non porta molti voti. Quando ci si trova di fronte a politici così coraggiosi credo si possa parlare di cittadinanza attiva.” Tra i detenuti valdostani, solo una minima parte lavora per cooperative e imprese come il panificio Brutti ma Buoni e la Cooperativa Mont Fallère, che ha in gestione la lavanderia del penitenziario.

Le cooperative operanti nella Casa circondariale Aosta-Brissogne

La cooperativa sociale Brutti ma Buoni è nata nel 2012 dopo 7 anni di attività di formazione all’interno del carcere. Negli 11 anni di attività della cooperativa, il progetto si è espanso, coinvolgendo 17 detenuti, fino ad arrivare a commerciare i propri prodotti a livello regionale e nazionale. “Il bisogno di occupare il tempo in modo costruttivo era tanto. Abbiamo visitato tante altre realtà carcerarie prima di avviare il nostro progetto. Nel 2012 grazie ad un finanziamento del Fondo sociale europeo e grazie ad un finanziamento congiunto di Cassa delle Ammende siamo riusciti ad avviare un’attività come cooperativa di tipo b in carcere. Da allora abbiamo iniziato a produrre pane e poi biscotti, in carcere abbiamo sempre trovato ottimi lavoratori.”  Ha raccontato Silvia Squarzino, presidente dell’Enaip Vallée d’Aoste che gestisce il panificio. Presso la lavanderia del penitenziario invece, sono state 22 le persone occupate dal 2012 ma come ha evidenziato Ivan Rollandin, Responsabile sociale della Cooperativa Mont Fallère: “Abbiamo perso le tracce di 12 di loro perché paradossalmente un immigrato irregolare, nel momento in cui è in carcere è regolare, perché ha un permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Nel momento in cui viene scarcerato, anche se ha fatto un buon percorso, anche se ha un contratto a tempo indeterminato interrompe il percorso. A fronte di un alto bisogno di manodopera è una piccola contraddizione.”

Le testimonianze di Davide Seminara e Paolo Triggiano

Oltre ad Antonio Franco, Antonio Nardi e Vincenzo Cordella, anche Davide Seminara, imprenditore locale, titolare dell’impresa Edilfiore srl ha voluto portare la propria testimonianza, invitando tutti gli imprenditori a superare i pregiudizi nei confronti degli ex detenuti: “Noi siamo una piccola media realtà imprenditoriale valdostana, lavoriamo nel settore edile. Abbiamo conosciuto Odion tramite la cooperativa Mont Fallère. Non abbiamo avuto alcun problema con lui, per noi è stato normale dargli una seconda possibilità. È un bravissimo ragazzo, ormai ha un contratto a tempo indeterminato da più di un anno e ci troviamo benissimo.” L’ultima testimonianza è stata quella di Paolo Triggiano, responsabile della lavanderia della casa di riposo J.B. Festaz e operatore del servizio di inserimento lavorativo, che dopo 4 anni di carcere è riuscito a rifarsi una vita:” Io sono uno dei fortunati di Brissogne, perché ho incontrato la Mont Fallère che mi ha dato l’opportunità di iniziare a lavorare in carcere. Sono stato l’unico ad uscire prima, hanno avuto fiducia in me e sono uscito dopo 4 anni di carcere. Dopo l’uscita dal carcere il UEPE mi ha seguito fino alla fine.”

Lavoro e risocializzazione

Sul tema dell’essenzialità del lavoro in carcere per poter avviare un processo di risocializzazione è intervenuta Rita Monica Russo, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria per il Piemonte, la Liguria e la Valle d’Aosta: “Quando si parla di attenzione al lavoro in carcere dobbiamo pensare al fatto che porta dignità alla persona e la dignità si dà quando si responsabilizza la persona detenuta all’interno del penitenziario, la si richiama all’impegno e al rispetto di regole, procedure e tempi ma soprattutto si lavora anche sull’interesse della persona a riscoprire nuove motivazioni personali che vanno dalla soddisfazione primaria di un bisogno alla riscoperta di nuovi spazi all’interno di un contenitore.” L’importanza di avere un impiego nel corso del periodo di detenzione risulta lampante se si consultano i dati presentati dal CNEL il 5 dicembre 2022.

Secondo il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, per i detenuti non lavoratori, la recidiva si aggira attorno al 70% mentre per coloro che hanno appreso un lavoro la recidiva scende al 2%. Oltre al lavoro, per il Provveditore, è essenziale effettuare un percorso di risocializzazione e quindi di inclusione della persona detenuta: “Se la pena tende ad escludere dal contesto sociale, il compito dell’amministrazione penitenziaria e dei soggetti pubblici chiamati a lavorare per il bene comune dev’essere quello di accompagnare la persona in un processo di inclusione che nasce dalla consapevolezza che se sei in carcere è per un provvedimento dell’autorità giudiziaria.” Prima di intraprendere un percorso di risocializzazione, secondo la Dottoressa è essenziale provvedere all’istruzione e la formazione professionalizzante del detenuto in vista di una sua dimissione.

“Dopo la luce torna il buio”

A concludere l’incontro è stato l’Assessore allo sviluppo economico, formazione e lavoro Luigi Bertschy: “Per noi il lavoro è un argomento trasversale che deve avere una visibilità a 360 gradi, tutte le stelle devono essere illuminate. Non esiste persona che non debba avere una possibilità di riscatto e per come viaggia il mondo non possiamo di certo pensare che chi è rinchiuso dentro una casa circondariale non debba essere oggetto di attenzioni, è chiaro che dalle parole dobbiamo passare ai fatti. I grandi eventi come questo accendono una luce ma dopo la luce torna il buio.” È proprio per evitare che il ritorno del buio, che alla fine dell’incontro, tutti gli imprenditori presenti sono stati invitati a visitare i laboratori del carcere e a valutare eventuali commesse, sinergie e possibili assunzioni future.

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