L’Italia della crisi, per sopravvivere si vendono oro e gioielli di famiglia

Crollano lettori quotidiani e libri, boom internet.
News Nazionali

Roma, 7 dic. (Adnkronos/Ign) – Vendita di oro e di altri oggetti preziosi (circa 2,5 milioni di famiglie lo hanno fatto negli ultimi due anni), vendita di mobili e/o opere d’arte (oltre 300.000 famiglie), tagli ai consumi (l’85% delle famiglie ha eliminato sprechi ed eccessi e il 73% va a caccia di offerte e alimenti meno costosi): sono alcune delle difese strenue degli italiani di fronte alla persistenza della crisi, messe in luce dal Censis nel rapporto 2012 sulla Situazione sociale del Paese.

E tra le strategie di sopravvivenza c’è anche la messa in circuito del patrimonio immobiliare posseduto, affittando alloggi non utilizzati o trasformando il proprio in un piccolo bed & breakfast (nelle grandi città, con oltre 250.000 abitanti, lo ha fatto il 2,5% delle famiglie). Sono poi 11 milioni gli italiani che si preparano regolarmente cibi in casa, come pane, conserve e gelati mentre chi ha scelto di coltivare ortaggi e verdura con l’orto ‘fai da te’ sono 2,7 milioni. Anche nei consumi si registra una discontinuità rispetto al passato. Il 62,8% degli italiani ha ridotto gli spostamenti in auto e scooter per risparmiare sulla benzina, nel periodo gennaio-settembre 2012 il mercato dell’auto registra il 25% di immatricolazioni in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, econ i conseguente boom delle biciclette: più di 3,5 milioni di due ruote vendute in un biennio.

Secondo il Censis l’Italia affronta un’autentica prova di sopravvivenza, stretta nella morsa della crisi, dalla quale sta provando a uscire, cercando di miscelare il rigore imposto dalle istituzioni politiche ed economiche nazionali ed europee con la intraprendenza personale e la solidarietà familiare.

Il reddito medio pro-capite delle famiglie è tornato ai livelli del 1993 e negli ultimi dieci anni la ricchezza finanziaria si è quasi dimezzata passando da 26.000 a 15.600 euro a famiglia, con una riduzione del 40,5%. Gli italiani si ritrovano dunque più poveri e più indebitati, ma soprattutto si assiste ad uno smottamento del ceto medio che è andato di pari passo con un progressivo slittamento della ricchezza verso le fasce più anziane della popolazione e con l’assottigliamento del patrimonio di quelle più giovani.

In particolare nel giro di 20 anni, la quota di famiglie con una ricchezza netta superiore a 500.000 euro, si legge ancora nel rapporto, è praticamente raddoppiata, passando dal 6% al 12,5%, mentre la ricchezza del ceto medio (composto dalla maggioranza delle famiglie con un patrimonio oscillante, tra immobili e beni mobili, tra 50.000 e 500.000 euro) è diminuita dal 66,4% al 48,3%. E se nel 1991 i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni detenevano il 17,1% della ricchezza totale delle famiglie, nel 2010 la loro quota è scesa al 5,2%. Nel frattempo le famiglie hanno visto lievitare il loro livello di indebitamento, cresciuto dell’82,6%.

La situazione del mercato del lavoro non aiuta: le persone che cercano lavoro in Italia sono più di 2,75 milioni e di questi il 51,8% è sotto i 35 anni di età. Una vera e propria "esplosione" dei cosiddetti ‘job seekers’ che tra il primo semestre 2011 ed il secondo semestre 2011 sono aumentati del 34,2%. Un incremento "trasversale" e senza differenze di genere: uomini e donne, italiani e stranieri, residenti al Nord o al Sud. Il 24,9% appartiene alla fascia intermedia dei 35-44 anni mentre le generazioni più adulte contribuiscono in misura molto più limitata, il 23,3%

In questo momento di evidente difficoltà del Paese, il sentimento più diffuso è la rabbia, che accomuna il 52,3% degli italiani, seguita dalla paura (21,4%), la voglia di reagire (20,1%), il senso di frustrazione (11,8%). La maggior parte è poi convinto che la situazione drammatica che oggi impone ineludibili interventi ‘tecnici’ sia addebitabile alla crisi morale della politica e la corruzione (43,1%), a sprechi e clientele (26,6%) all’evasione fiscale (26,4%). Solo al quinto posto nella classifica dei fattori determinanti della crisi economica, viene richiamata da circa il 18% la politica europea e l’euro, mentre i problemi delle banche italiane sono più citati anche rispetto alle temute speculazioni della famigerata finanza internazionale.

Scuola e università. Con il prolungarsi della crisi e dei suoi effetti sull’occupazione e sul benessere delle famiglie, cominciano a emergere segnali di riposizionamento dei giovani rispetto alle scelte di studio e di lavoro. Nel corrente anno scolastico è aumentato dell’1,9% rispetto all’anno precedente il peso delle preiscrizioni agli istituti tecnici e professionali. Le immatricolazioni all’università sono diminuite del 6,3% e i dati provvisori relativi al 2011-2012 segnano un’ulteriore contrazione del 3%. La crisi ha evidenziato come la laurea non costituisca più un valido scudo contro la disoccupazione giovanile, né garantisca migliori condizioni di occupabilità e remuneratività rispetto ai diplomati. I giovani si indirizzano allora verso percorsi di inserimento lavorativo meno aleatori, dai contorni professionali più certi: tra il 2007 e il 2010 i corsi di laurea di tipo umanistico-sociale (i gruppi letterario, insegnamento, linguistico, politico-sociale, psicologico) subiscono nell’insieme una riduzione del loro peso percentuale sul totale delle immatricolazione di più del 3% (passano dal 33% al 29,9% del totale), mentre i percorsi a valenza tecnico-scientifica (i gruppi agrario, chimico-farmaceutico, geobiologico, ingegneria, scientifico) registrano un +2,7% (la loro quota passa dal 26% al 28,7%). Il 68,1% dei dirigenti scolastici inoltre dichiara che la propria scuola negli ultimi cinque anni ha partecipato a percorsi di "internazionalizzazione" con scambi, tirocini e soggiorni di studio all’estero sia per studenti (76,6%) che per i docenti (38%). I giovani che hanno deciso di completare la loro formazione superiore all’estero sono aumentati del 42,6% tra il 2007 e il 2010. Con un significativo sacrificio delle famiglie: nell’ultimo anno il 30,3% ha sostenuto costi aggiuntivi scolastici, il 21,5% per un figlio senza lavoro, il 16,1% per un figlio che frequenta una università italiana e il 5,6% per una università straniera.

Meno libri e giornali, più web e smartphones: Italiani popolo di smartphones, tablet e pc, meno teledipendente e poco affezionato alla carta stampata e ai libri. Il pubblico televisivo coincide con la quasi totalità della popolazione (il 98,3%: +0,9% di utenza complessiva rispetto al 2011), ma "sono cambiati i modi per guardare la tv", sottolinea l’Istituto. "Oggi un quarto degli italiani collegati a Internet (24,2%) ha l’abitudine di guardare i programmi dai siti web delle emittenti televisive e il 42,4% li cerca su YouTube per costruirsi i propri palinsesti di informazione o di intrattenimento su misura". Percentuali che aumentano se si prende in considerazione "il segmento di popolazione più giovane, salendo rispettivamente al 35,3% e al 56,6% tra gli internauti 14-29enni, che sono i soggetti che più degli altri incarnano le nuove tendenze", si legge nel Rapporto. Cresce anche la diffusione della radio, ascoltata dall’83,9% della popolazione (+3,7 in un anno), ma anche in questo caso la si ascolta di più via web e sugli smartphones, che stanno soppiantando i vecchi lettori digitali mp3. "Proprio i telefoni cellulari (utilizzati ormai da 8 italiani su 10) -scrive il Censis- aumentano ancora la loro utenza complessiva (+2,3%), anche grazie agli smartphone (+10% in un solo anno), la cui diffusione è passata tra il 2009 e il 2012 dal 15% al 27,7% della popolazione e oggi si trovano tra le mani di più della metà dei giovani di 14-29 anni (54,8%). E questi ultimi utilizzano il tablet (13,1%) più della media della popolazione (7,8%)". Internet inoltre guadagna ancora terreno e oggi l’utenza si attesta al 62,1% degli italiani (che erano il 27,8% solo dieci anni fa, nel 2002). Insieme con Internet, crescono i social network e soprattutto Facebook: è iscritto il 66,6% delle persone che hanno accesso al web (erano il 49% lo scorso anno). Nello stesso tempo prosegue l’emorragia di lettori della carta stampata e dei libri: "i lettori di quotidiani scendono del 2,3% tra il 2011 e il 2012 diventando oggi solo il 45,5%. Al contrario, i quotidiani online contano il 2,1% di lettori in più rispetto allo scorso anno, arrivando a un’utenza del 20,3%. Meno di un italiano su due (49,7%) legge almeno un libro all’anno e, nonostante crescano le pubblicazioni di e-book, non si riesce a invertire questa tendenza. Un calo netto dei lettori nel 2012, pari al 6,5% rispetto allo scorso anno. 

Vuoi rimanere aggiornato sulle ultime novità di Aosta Sera? Iscriviti alla nostra newsletter.

Articoli Correlati

Fai già parte
della community di Aostasera?

oppure scopri come farne parte