Cosa significa essere autonomi nel XXI secolo? In un mondo disordinato e instabile – “un monde cassé”, per citare il Grand Continent – le regioni possono ancora svolgere un ruolo significativo? Sono queste le domande in apertura al Sommet Le Grand Continent, l’incontro annuale dedicato al futuro dell’Europa, inaugurato ieri pomeriggio presso l’Aula Mattarella dell’Università della Valle d’Aosta. Al centro del confronto, il tema delle autonomie regionali tra Stati e Unione Europea, con particolare attenzione alla difficoltà odierna delle regioni di essere corpi intermedi tra cittadini e Stato.
L’incontro ha visto la partecipazione di Enzo Balboni, Professore ordinario di diritto costituzionale all’università Cattolica di Milano, Luciano Caveri, membro del Comitato delle Regioni, Anna Maria Poggi, Professoressa ordinaria di diritto costituzionale presso l’Università di Torino e Presidente di Fondazione Crt; e ha accolto un videomessaggio di Raffaele Fitto, Commissario europeo per la politica regionale, dedicato all’impegno dell’Unione di agire in modo coeso in termini di transizioni geopolitica, climatica e digitale.
Balboni: “Le regioni hanno senso se costruiscono un’Europa sociale”
Balboni ha aperto il suo intervento con la constatazione di un paradosso: “Le regioni italiane hanno deluso, palesando limiti e difetti. Ma se non ci fossero, bisognerebbe crearle. Come enti intermedi, restano fondamentali perché esprimono storicità, solidarietà e radicamento territoriale”. Il Professore ha richiamato la stagione delle autonomie speciali, come quella valdostana, legata a figure come Passerin d’Entrèves e Chanoux, e le due leggi autonomistiche dei primi anni ’90: la 142, che riconosce per la prima volta il ruolo delle comunità locali, e la 141, che trasforma il cittadino da amministrato in amministrante.
In risposta all’intervento di Fitto, ha sottolineato come alcune competenze introdotte nella riforma del Titolo V (trasporti, infrastrutture, energia), esondando verso l’Unione, abbiano in realtà ridotto gli spazi decisionali regionali. Una possibile soluzione? “Le regioni hanno senso se contribuiscono a costruire un’Europa sociale, quella dei cittadini, della sussidiarietà, della socialità e della solidarietà.” Un movimento dal basso verso l’alto, che attui realmente l’articolo 5 del Trattato UE e inserisca le regioni come anelli della catena del bene comune.
Caveri: “La presenza delle regioni è fondamentale a Bruxelles”
“Per l’Unione Europea è utile parlare con le regioni” – ha affermato Luciano Caveri. A sostegno della tesi, ha portato esempi concreti della Valle d’Aosta, evidenziando l’importanza della voce regionale sul futuro di alcuni temi: gli impianti di risalita e l’azienda siderurgica Cogne, che intrecciano sviluppo locale, transizione ecologica e politiche industriali; ma anche il Traforo del Monte Bianco e il Traforo del Gran San Bernardo, parte della rete europea dei trasporti. “Perché non istituire un tavolo a Bruxelles in cui possano partecipare le regioni interessate? La loro presenza è assolutamente indispensabile.”
Per spiegare le difficoltà del rapporto tra Regioni e UE, Caveri ha ricordato un’immagine di Alberto Predieri: “Le regioni dell’Europa rischiano di fare la fine delle sogliole: essere schiacciate da una parte dal Moloch di Bruxelles, dall’altra dagli Stati, che difficilmente molleranno i loro poteri.” Le disfunzioni si manifestano soprattutto nella partecipazione al processo legislativo: “L’articolo 117 apre una porta alla partecipazione delle regioni alle direttive, ma non è mai stata varcata. Pur non partecipando al processo ascendente, hanno la colpa di non essere state capaci di essere presenti nella parte discendente” – ha concluso.
Poggi: “Tornare a pensare le regioni come a presidi di democrazia”
Anche Anna Maria Poggi ha indicato un’alternativa possibile, ma ancora lontana: “un’Europa con le regioni, che richiederebbe una serie di riflessioni di tipo culturale e di condivisione non ancora concretizzate”. Nel suo intervento, la Professoressa ha riportato lo sguardo ai lavori dell’Assemblea costituente: “Le regioni erano pensate come presidi di democrazia, enti intermedi capaci di proteggere il cittadino dal potere dello Stato.”
Poggi ha ripreso la metafora della sogliola per evidenziare uno dei problemi del rapporto tra regioni e UE: “Diventare membri dell’UE significa per gli Stati affrontare una compressione della propria autonomia, mentre l’Unione deve al contempo salvaguardare la loro identità territoriale”, ha spiegato. Da qui, la difficoltà del governo multilivello, “una metafora bella e affascinante, ma problematica dal punto di vista prescrittivo”: all’UE spetta la questione regionale, cioè come rispettare le autonomie; agli Stati quella comunitaria, cioè come conciliare i propri obblighi senza comprimere i territori. D’accordo con Balboni, Poggi ha sottolineato come le politiche di coesione siano sempre state orientate a obiettivi strategici europei: “Si riduce spesso lo spazio per interventi locali, rischiando di trasformare l’Europa in una struttura funzionalistica, distante dai territori.” – ha concluso.
Il pomeriggio si è aperto con i saluti di Maria Debora Braga, Direttore dipartimento scienze economiche e politiche, e dell’Assessore Leonardo Lotto, che ha ricordato che “autonomia ed Europa sono due forme della stessa aspirazione: l’Europa non è forte se non riconosce la voce dei suoi territori e i territori dipendono dall’Europa.”
Sono seguiti gli interventi dello professore e storico Patrick Boucheron, dell’ambasciatore di Francia in Italia Martin Briens, della docente di Affari internazionali e Scienze politiche all’Università George Washington Marlène Laruelle, del senior fellow presso il Peterson Institute for International Economics Jean Pisani-Ferry e del visiting fellow della London School of Economics Andrea Capussela. La giornata si è conclusa con un concerto e una tavola rotonda al Mega Museo di Aosta dedicata all’umanesimo europeo di fronte a Donald Trump, con la filosofa e membro dell’accademia francese Barbara Cassin, il direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio Pascal Lamy e il presidente dell’Istituto Treccani Carlo Ossola.
