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I segreti del mais, cereale leggero e digeribile

E’ molto ricco di carboidrati, ha un tenore modesto in proteine e pochi grassi.
Pubbliredazionali, Società

Prima della colonizzazione europea il mais era l’unico cereale coltivato in tutto il continente americano. E’ stato l’alimento base delle grandi civiltà precolombiane (Incas, Maya, Aztechi).
Una pianta talmente considerata da essere oggetto di culto attraverso la sua dea protettrice, alla quale addirittura gli Aztechi offrivano ogni anno sacrifici umani.
Si ritiene che il mais derivi da una graminacea selvatica, il teosinte, che cresce tuttora spontanea in Messico, Guatemala e Honduras e in alcune zone dell’America del Sud. Con ogni probabilità, quindi, la pianta che Cristoforo Colombo portò in Europa era già stata sottoposta a diverse ibridazioni allo scopo di aumentarne la produttività e di evitare che la pannocchia perdesse spontaneamente i semi.
Il nome scientifico attuale è Zea mays, derivato da Francisco Antonio Zea, botanico colombiano vissuto tra il XVIII e il XIX secolo, e da mahiz, il nome con cui questo cereale veniva chiamato ad Haiti.

Gli indigeni che Colombo incontrò sull’isola che battezzò Hispaniola, sfruttavano il mais in maniera razionale, totale, non ne buttavano via una sola parte: con spighe, foglie e gambi facevano bevande alcoliche, preparavano zucchero, nutrivano il bestiame e ricoprivano i tetti delle capanne; le pannocchie, se mature al punto giusto, venivano abbrustolite sul fuoco o macinate fino ad ottenere una poltiglia gialla, grossolana antenata dell’attuale farina da polenta. Le pannocchie di mais ancora verdi, invece, venivano bollite o cotte sotto la cenere.

E’ molto ingegnoso il processo che veniva (e che viene tuttora usato) in tutte le Americhe detto nixtamalizzazione. I chicchi di mais essiccati vengono inzuppati e cotti in una soluzione alcalina, solitamente a base di idrossido di calcio. Questo ammorbidisce il pericarpo, la parte esterna del chicco, rendendo più semplice la macinatura. Il processo trasforma il mais da semplice fonte di amido (zucchero) in un impasto nutrizionalmente più completo: aumenta la biodisponibilità di calcio, ferro, rame e zinco (anche con l’aiuto del vasellame) oltre che di niacina (evitando così il rischio di ammalarsi di pellagra), riboflavina ed altre vitamine. Lo sviluppo di alcune miceti (funghi) è un altro dei lati positivi del procedimento: lasciando fermentare l’impasto si produce un’ulteriore aumento del valore nutritivo con l’aggiunta di amminoacidi quali lisina e triptofano. Fagioli, verdure, frutta, chili e mais così preparato (nixtamal) erano in grado di fornire una dieta nutrizionalmente soddisfacente senza il bisogno di ricorrere alle proteine animali.
Hernan Cortes nel 1521 sottomise l’impero azteco. In quelle terre, venticinque milioni di abitanti vivevano in pace, prosperità ed equilibrio alimentare grazie al binomio mais – fagioli.

Grazie alla simbiosi con i batteri fissatori di azoto, il piccolo fagiolo rosso americano cede al terreno quei composti ammoniacali di cui il mais è vorace consumatore: la sua presenza favorisce, così, la produttività del coinquilino. Nell’orto primitivo il fagiolo si avvaleva, per parte sua, dei solidi steli del mais per crescere verso il cielo.
Cucinati insieme, quindi, mais e fagioli costituivano un alimento tale da soddisfare, con l’integrazione delle vitamine tipiche dei vegetali freschi e della frutta, le esigenze nutrizionali di esseri umani di qualunque età, sottoposti a qualunque regime di lavoro.
I conquistatori stressarono le capacità produttive del mais per riempire il ventre dei sudditi dell’alimento di più facile produzione, interrompendo la consuetudine di abbinare mais e fagioli. Insieme alla brutalità dello sfruttamento e alle malattie europee, contro le quali gli indigeni non disponevano di difese, lo squilibrio alimentare determinato dalla conquista fu tra le cause di una delle più grandi tragedie demografiche della storia umana: cento anni dopo la conquista, rimaneva una terra semideserta popolata da non più di un milione di persone.

Gli esploratori del nuovo mondo, quindi, introdussero il mais in Europa nel XVI secolo. La prima, rapida diffusione, si ebbe nelle regioni balcaniche, allora facenti parte dell’impero Ottomano, grazie alle condizioni climatiche favorevoli che assicuravano produzioni di granella più che doppie rispetto ai cereali tradizionali e, forse, anche al fatto che questo nuovo prodotto agricolo sfuggiva alla tassazione non essendo rubricato.
Qualche tempo dopo il mais iniziò a diffondersi in Italia, probabilmente con varietà provenienti proprio dai vicini Balcani (da cui forse deriva il nome popolare di «granturco»). Le regioni padane, e in particolare quelle nord-orientali, grazie al clima più favorevole, furono quelle che introdussero il mais più diffusamente. Così la polenta di mais sostituì gradualmente la tradizionale polenta di miglio. Anche le regioni peninsulari centrali trovarono nel mais un valido contributo al precario sostentamento alimentare delle popolazioni agricole, tanto che questa coltura entrò a far parte degli ordinamenti policolturali del centro Italia, pur se il clima di quest’area non fosse ideale. Da sempre poco coltivato nell’Italia meridionale, il mais è praticamente assente nelle isole.
Molto redditizio, in grado di sfamare a basso costo un’ampia fascia della popolazione, il mais conobbe un grande successo ma il suo consumo esclusivo e la mancanza di una cottura adeguata causarono la diffusione della pellagra, che fu una terribile piaga per intere regioni geografiche come ad esempio nel Nord-Est del nostro Paese.
Tuttora la coltura del mais in Europa si estende prevalentemente in una fascia geografica che comprende Spagna, Francia (specie sudoccidentale e Savoia), Italia, Penisola Balcanica, Ucraina, Caucaso.
Ancora oggi il mais è il cereale più diffuso nei Paesi dell’America del Sud e in Messico dove viene tradizionalmente consumato sotto forma di “tortillas”, schiacciatine molto sottili fatte di farina di mais e acqua e cotte su una piastra di terracotta.

Il mais è un cereale leggero, molto digeribile, adatto a tutti ma soprattutto ai soggetti deboli di stomaco, nell’infanzia e nella vecchiaia, nelle convalescenze e nei deperimenti organici.
E’ molto ricco di carboidrati (74-78%), ha un tenore modesto in proteine (8-9%) e pochi grassi (1,2-3,9%), tuttavia di ottima qualità (in particolare, il germe è molto ricco di vitamina E e contiene sostanze ad azione ipocolesterolemizzante e stimolanti la circolazione sanguigna.
Contiene discrete quantità di potassio e magnesio.
Il mais è ritenuto in grado di moderare delicatamente l’attività tiroidea: può essere indicato, quindi, in caso di ipereccitabilità nervosa, palpitazioni cardiache, insonnia, ansia, tremori, eccessivo dimagrimento.
E’ considerato un buon tonico generale ed è utile per la rimineralizzazione ossea.
Il caffè ottenuto dai semi tostati e macinati è utile nei soggetti che tendono alla stipsi, alla colite e alle infiammazioni delle vene emorroidarie.
L’infuso di barbe di mais, probabilmente anche per la sua ricchezza in potassio, è uno dei più efficaci e meglio tollerati diuretici vegetali: è utile in caso di ritenzione idrica, edemi, urine scarse (oliguria), cistiti recidivanti, renella, ipertensione, cellulite, ecc.
Secondo alcuni autori, infine, il consumo di mais sembra favorire il recupero dei tessuti danneggiati dall’ischemia infartuale.

Enrico Bernero
Farmacista e Naturopata
Farmacia dott. Nicola 

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