Carriera Alias: quando l’inclusione inizia dalla scuola
Che cos’è la “carriera Alias”? Che cosa significa essere una persona transgender in Italia? Se ne è parlato nella serata di lunedì 22 gennaio presso il comune di Sarre per il secondo appuntamento della rassegna “Dialoghi di scuola” organizzata dal dirigente scolastico I.S. Eugenia Martinet Federico Marchetti in collaborazione con la Biblioteca di Sarre e con il supporto di Arcigay Valle d’Aosta, per l’occasione. Un incontro di approfondimento, ma soprattutto di divulgazione, per portare la tematica della carriera alias nelle scuole alle orecchie dei dirigenti e degli insegnanti valdostani.
“Quando frequentavo l’Università, ed ero già a buon punto nel mio percorso di transizione, mi ricordo che gli appelli pubblici per gli esami erano momenti di grande difficoltà per me. Ogni volta che il professore chiamava il mio nome vecchio, quello femminile, io dovevo alzarmi e spiegare perché avevo la barba, perché quella persona ero io, ma non ero io. Davanti a 200 persone. È di una violenza disarmante essere costantemente chiamati a spiegare la propria esistenza”.
È la testimonianza di Christian Leonardo Cristalli, attivista, consulente, formatore e parte della segreteria nazionale di Arcigay con delega ai diritti delle persone trans, uno degli ospiti che hanno partecipato alla conversazione insieme a Sandro Sodini dirigente scolastico dell’I.C. Leonardo Da Vinci in provincia di Pisa e Giulia Ponsiglione dirigente scolastica di Roma attualmente distaccata presso l’Andis e autrice del libro “Ti dirò il mio nome” sul tema.
L’obiettivo della serata era parlare di inclusione e “carriera Alias”, ma che cos’è esattamente? Si tratta di un protocollo che regola i rapporti tra singoli (come ad esempio tra scuola, genitori e studenti) per prevedere la possibilità di registrarsi presso un ente con il proprio nome elettivo, invece che quello di nascita in cui la persona non si riconosce più. Non è applicata soltanto nelle scuole, ma anche in enti sportivi e luoghi di lavoro per facilitare la vita delle persone transgender che altrimenti si trovano a dover costantemente giustificare sul perché sul documenti “il nome è Giulia, ma io ho la barba”.
A livello nazionale sono 322 le scuole che applicano questo regolamento, ma si tratta di linee guida, uno strumento che non costituisce obblighi, ma che può essere attivato e applicato in modo autonomo dal singolo ente. Questo può costituire un vantaggio, ma è anche un grande problema perché l’applicazione di queste linee guida dipende dalla sensibilità del singolo dirigente o insegnante. Ma perché è così importante e allo stesso tempo polemica la discussione sulla carriera Alias nelle scuole?
La polemica sulle persone trans nelle scuole
La “carriera Alias” è un dispositivo che riconosce alle persone trans l’identità con la quale si riconoscono utilizzando il nome d’elezione (quindi quello scelto dalla persona, non il nome anagrafico) all’interno dell’ente o istituzione e anche sui documenti interni. Può essere applicata in vari aspetti della vita, come ad esempio a scuola e all’università, sul posto di lavoro, nello sport e in altri contesti. Questa non è una norma, non è una legge e non risolve il problema delle persone trans in Italia: essere riconosciute nella loro esistenza. Nel contesto scolastico, come raccontato anche durante l’incontro, l’idea di applicare queste regole e di informarsi sulla carriera alias “nasce sempre da un caso reale, dalla difficoltà di uno studente” ed è una misura presa per risolvere problemi pratici, regolamentare una situazione delicata che può degenerare in ulteriori discriminazioni, stress, bullismo fino all’eventuale abbandono scolastico.
Infatti, come spiega Marchetti, “in Italia l’85% delle persone LGBTQI+ dichiara di aver subito atti di bullismo a scuola contro il 20% circa degli studenti (in generale)”. Secondo la Dottoressa Alessandra D.Fisher, dell’ospedale Careggi di Firenze, le persone trans dai dodici ai 18 anni hanno un tasso di abbandono scolastico del 40%. Tra i motivi lo stress di dover spiegare perché cambiare il nome, perché si chiede di usare diversi pronomi, la paura di essere giudicati e le discriminazioni subite sotto forma di bullismo dai pari (e non).
Ma non è solamente all’interno delle scuole che le persone trans subiscono queste pressioni. In Italia, infatti, il processo di transizione è lungo, difficile ed è regolato dalla legge 164 del 1981 che, fino al 2015, prevedeva la rimozione completa dei caratteri sessuali primari della persona nel momento dell’operazione di cambiamento di sesso, di fatto sterilizzando forzatamente tutte le persone trans. Si trattava di un requisito necessario per poter essere riconosciuti giuridicamente come donne o uomini e cambiare il proprio nome e genere sui documenti ufficiali.
I diritti sono politica?
Quindi, se la carriera alias rappresenta uno strumento utile per iniziare a regolamentare e a normalizzare l’esistenza delle persone transgender nel nostro paese, come ricordano i relatori durante l’incontro, questo strumento non è e non può essere una risposta perfetta al problema che è giuridico: in Italia le persone trans non hanno il diritto di autodeterminazione, non hanno la stessa libertà delle loro controparti “cis” (ovvero persone che si riconoscono nel genere assegnato loro alla nascita) e soprattutto non viene loro riconosciuto il diritto all’assistenza sanitaria per la ricezione delle cure essenziali come ad esempio al trattamento ormonale, un procedimento che richiede anni di visite con psichiatri e psicologi prima di poter anche solo iniziare.
Ma soprattutto l’adozione di questo set di regole nelle scuole darebbe una risposta concreta, fornirebbe delle linee guida imprescindibili per la tutela delle persone transgender, invece che alimentare il dibattito e lo scontro che purtroppo permea questi temi, banalizzandoli e riducendo i diritti civili di una categoria di persone a “manie di protagonismo” o “scelte”. Come afferma Sodini “bisogna parlare di più di questi temi e il primo passo per dialogare in maniera serena è uscire da un’ottica di scontro e di politica, perché questi sono diritti”.