L’enologia è magia, ne sono sempre più convinto. C’è il sapere tramandato da decenni o secoli di tradizione, c’è la chimica, la fisica, l’innovazione, la tecnologia, l’agricoltura, la meteorologia, c’è il lavoro “sporco” nei campi, c’è la vendita, la distribuzione, il marketing, la comunicazione. C’è la passione, il rapporto diretto con il cliente, la capacità di pensare e inventare sempre cose nuove. Una “semplice” bottiglia da 750 ml contiene tutto questo. E ieri tutto questo ho potuto toccarlo con mano e confermare la mia convinzione: è magia, e per il 90% di questi aspetti mi trovo più a mio agio dall’altra parte del calice.
L’occasione è stato il Media Day organizzato da ZedComm all’interno dell’azienda Grosjean Vins, con una dozzina di blogger, influencer, creatori di contenuti, giornalisti specializzati…e poi io, che di solito scrivo di sport. Una giornata a 360 gradi – oltre ai 25 gradi della temperatura esterna – per seguire l’intero processo produttivo del vino. Resto consapevole che tutto quello che sta in mezzo sia magia e probabilmente faticherò sempre a capirlo, ma vendemmiare mi ha sempre incuriosito, quindi ho accettato l’invito di buon grado.
“Siamo a buon punto, il 70-75% della vendemmia è fatto, dovremmo finire tra qualche settimana”, dice Hervé Grosjean. “Le condizioni di quest’anno sono anomale e preoccupanti, ma per noi sono state strepitose: sarà una vendemmia generosa, è il primo anno che dobbiamo raffrescare le uve ad ottobre, questo caldo garantisce subito il raggiungimento di una gradazione alcolica ottimale. Fortunatamente non abbiamo avuto grandinate come in altre zone d’Italia, e siamo stati lungimiranti anni fa ad installare degli impianti di irrigazione”.
Si comincia con il caffè, i torcetti, le tegole, ed il racconto storico della viticoltura in Valle d’Aosta e della famiglia Grosjean: Simon spiega che i vini valdostani erano talmente prestigiosi che venivano offerti dai Savoia agli altri sovrani europei, che dopo la peste del 1630 alcune famiglie della Savoia e della Borgogna furono invitate a ripopolare la Valle d’Aosta, e che i primi Grosjean arrivarono tra Chambave e Fénis per coltivare alcuni terreni e produrre vino. La famiglia cade un po’ in disgrazia, fino a che Dauphin, dopo la Seconda Guerra Mondiale, inizia a valorizzare alcuni terreni a Quart imbottigliando il suo vino di ciliegiolo nel 1968. Da lì inizia la “dinastia” dei Grosjean come li conosciamo oggi, giunti già alla terza generazione di vignerons che ha impresso un cambio di marcia. Non è più solo la produzione di vini biologici ad occuparli, infatti, ma anche l’ideazione di eventi sempre nuovi, dalle degustazioni alle cene, aperitivi e picnic in vigna, fino al Grosjean Wine Trail.
Ci spostiamo di qualche centinaio di metri per raggiungere la vigna Rovettaz, forse la più storica, nata nel 1985. È ricca di varietà autoctone, noi oggi vendemmieremo la Petite Arvine: “Ne produciamo circa 25.000 bottiglie, è una varietà che sa accomodarsi a questi picchi di caldo mantenendo la freschezza”, spiega Hervé. “È un prodotto fresco, fruttato e longevo”. Ci sono 7000 ceppi ad ettaro, si producono 80-90 quintali di uva. Noi abbiamo a disposizione otto filari da dividerci tra tutti, anche con gli stessi addetti dell’azienda in maglia verde: “La vendemmia è il momento più bello, ma non riusciamo mai molto a godercelo”.
Indossiamo i guanti, prendiamo le cesoie e iniziamo a tagliare, stando attenti a togliere gli acini secchi, ma senza troppo preoccuparci dei gambi perché tanto in questo caso vengono pressati i grappoli interi. Fa caldo, si cerca di districare i grappoli che si incastrano e crescono in verticale, si chiacchiera e ci si supera insieme a Erika di Giochi di Zucchero, unica altra valdostana insieme a me, e a Beatrice di Beautytudine, con cui ci dividiamo il filare (anzi, mezzo) riempiendo circa cinque cassette in tre.
Ad accoglierci alla fine di questa oretta di vendemmia c’è un calice di Mas du Jario, un metodo classico, e un piatto di aperitivo. Il bello viene ora, ovviamente, con il delizioso pranzo/picnic del catering le Vélo da gustare seduti sulle balle di fieno bevendo “l’antenato” del 2021 del nostro futuro Petite Arvine, del Torrette Supérieur e del Fumin.
Si torna in azienda con una passeggiata digestiva per scoprire cosa succede all’uva dopo la vendemmia: per i rossi c’è la raspatura, con un macchinario che divide gli acini dal resto, poi la pigiatura, e poi l’affinamento (quello che va nelle vasche in acciaio va rimestato spesso). Le botti in legno sono in una cantina che deve mantenere un’umidità precisa, e per farlo ci passa una piccola fonte d’acqua, oltre ad esserci un macchinario specifico: “Le barrique sono i nostri clienti che bevono di più”, dice scherzando Hervé. “Bisogna fare in modo che non assorbano troppo vino e allo stesso tempo non si creino muffe”.
Si passa poi nel magazzino delle bottiglie, per lo più ancora senza etichetta perché “aspettiamo sempre all’ultimo, visto che ogni Stato prevede delle etichettature diverse. Produciamo circa 200-250.000 bottiglie, vorrei arrivare a 300.000, ed esportiamo circa il 50% dei nostri prodotti, in particolare USA e Scandinavia”. I cartoni per gli imballaggi sono riciclati, non viene usata plastica, l’energia è prodotta con un impianto fotovoltaico: “Cerchiamo di porre particolare attenzione all’aspetto etico ed ambientale”, dice ancora Hervé.
Il giro è finito, riceviamo un bel dono, le due navette ripartono per Milano e io resto convinto di non aver spiegato bene i dettagli tecnici di questa “magia” dell’enologia, ma che per vendemmiare e degustare io ci sono. Sperando di non aver guastato il Petite Arvine 2023 per colpa mia…