Carol Roncali, una storia di resilienza dentro e fuori la comunità minori

18 Maggio 2022

Oggi Carol ha 26 anni, un lavoro ancorché precario di insegnante, una relazione affettiva stabile, una casa tutta sua, una laurea, tante idee e continui progetti per il suo futuro. Apparentemente una vita normale, nel profondo un percorso, per nulla scontato, guadagnato con l’impegno e con una buona dose di responsabilità da esercitare in netto anticipo rispetto ai suoi coetanei. Lucida, Carol è consapevole di quanto ha rischiato: “Sinceramente non so dire perché non ho deviato, avrei potuto farlo e avrei avuto tutte le ragioni del mondo per farlo”.

Il suo passato ingombrante 

Il bagaglio che Carol si porta dietro è ingombrante, di quelli che ti segnano l’esistenza. Aveva solo un anno quando i suoi genitori – la mamma è originaria del Marocco e il papà è italiano – si separano e non possono più tenere né lei, né suo fratello di cinque anni più grande. I due bambini vengono affidati alla zia materna arrivata dal Marocco e a suo marito. “Ho vissuto i miei primi 16 anni in affido per capire, in preadolescenza, confrontando la mia vita con quella dei miei coetanei, che a casa mia qualcosa non andava”.

Quella che Carol chiama “mamma” la tiene di fatto reclusa. Può solo andare a scuola, non può uscire, vedere gli amici, una volta rientrata deve occuparsi delle pulizie di casa e di tutto ciò che, nella visione tradizionale, culturale e religiosa dei suoi zii, è il disegno di vita per una donna. “Era tutta apparenza, loro erano i primi a non seguire i precetti che mi imponevano”.

A 15 anni trova il coraggio di denunciare e da scuola chiama il Telefono Azzurro. La ascoltano e la capiscono ma il sistema sociale è lento a reagire, ci mette più di cinque mesi ad organizzare un incontro che arriva anche grazie ad un amico conosciuto sui social che intercede e sollecita l’intervento. “I miei zii si negavano, hanno fatto di tutto per evitare il colloquio fino a quando non sono stati obbligati”.  Dopo aver raccontato tutto alle assistenti sociali Carol viene allontanata, il giorno stesso, in procedura di emergenza, dalla sua famiglia affidataria. “Era chiaro a tutti che non sarei più potuta tornare a casa, non sono rientrata neanche per ritirare le mie cose”.

Carol Roncali

L’accoglienza in comunità

Per lei si aprono le porte della comunità per minori. Era il 14 agosto 2012, una data che rimarrà impressa nella sua memoria. “Non avevo mai sentito parlare di comunità, ma stavo talmente male a casa che pur di non tornarci ero disposta ad andare in un posto di cui non avevo la minima idea”. Negli anni successivi, complice la sua passione per la scrittura, Carol ha messo nero su bianco in un racconto pubblicato il suo ingresso e le prime sensazioni vissute in comunità.

La sua nuova vita è piena di cambiamenti che Carol definisce “intensi”. Abita in una casa grande, con altri ragazzi, con educatori sempre presenti, la possibilità di uscire, di fare sport, di frequentare i coetanei. “Ho dovuto prendere le misure: sono passata da zero a cento stimoli relazionali”. A dispetto di quella che è spesso la comune rappresentazione, il percorso in comunità per Carol si rivela salvifico. “Quando sono arrivata ero praticamente muta, non parlavo, poi progressivamente mi sono aperta e la comunità mi ha aiutato a riconquistare un pò di fiducia nelle persone adulte e a riprendermi la mia vita”.

Carol trascorre in serenità i due anni che la portano alla maggiore età. Cambia la scuola superiore che gli zii gli avevano imposto e da privatista supera l’esame per l’iscrizione al terzo anno del liceo delle scienze umane. “La comunità mi ha assecondato, io ce l’ho fatta ed è stata la prima volta in cui ho potuto decidere qualcosa rispetto alla mia vita”.

Carol Roncali durante la laurea

Il repentino passaggio all’autonomia

A 18 anni e pochi mesi, appena terminata la terza superiore, Carol, pronta o non pronta, deve spiccare il volo e diventare autonoma. In Italia con la maggiore età si interrompe per molti giovani in comunità la possibilità di rimanere nel sistema di accoglienza. Come se da un giorno all’altro venissero meno e si esaurissero i bisogni e le esigenze di tutela e accompagnamento. “Sarei dovuta andare in una nuova comunità di educazione all’autonomia per giovani dai 18 ai 21 anni, ma il progetto che si chiamava “Il primo volo” nel mentre era stato sospeso”.

Deve ancora finire la scuola superiore e si ritrova a vivere da sola, a pensare alla casa, all’affitto, alle spese e alle bollette. Rispetto ai suoi coetanei, ancora tutti in famiglia, deve convivere con il vissuto emotivo e le paure che arrivano dal suo passato. Con gli zii affidatari i rapporti sono ormai compromessi. “Come altri nella mia situazione vivevo un grande senso di ingiustizia nei loro confronti: tu vai in comunità, devi fare un lavoro enorme su di te mentre loro continuano a vivere la loro vita, come se non avessero mai fatto niente quando hanno il potere di rovinare la vita ad una persona”.

Nonostante la salita, però la strada di Carol prosegue dritta. E’ un vulcano di energie, si rimbocca le maniche, inizia a fare lavoretti in estate, paga l’affitto grazie ad un piccolo contributo regionale, riceve un aiuto economico da una persona che crede in lei e nelle sue capacità. Così Carol finisce brillantemente prima le superiori e poi nel 2019 si laurea in Comunicazione, media e pubblicità.

L’impegno in Agevolando e per i careleavers

In quello stesso anno incontra per la prima volta Agevolando, un’associazione nazionale che propone progetti e iniziative di sostegno per i care leavers, letteralmente “coloro che hanno perso gli affetti familiari”, giovani neomaggiorenni con alle spalle esperienze fuori famiglia, costretti a lasciare il sistema di accoglienza e diventare adulti in fretta.

L’entusiasmo contagioso e la voglia di Carol di fare nuove esperienze la portano a buttarsi a capofitto nell’associazione e nelle esperienze, di stage, di incontri, scambi con altri giovani come lei in Italia e in Europa. “Grazie a questa associazione, alle esperienze che mi ha fatto fare, ai rapporti con i giovani con alle spalle percorsi simili al mio, ho rivalutato la mia storia, ho capito che oltre ad un problema, può essere una risorsa per me e per gli altri”.

Ora Carol è la referente territoriale dell’Associazione Agevolando, progetta e segue iniziative di sostegno dei care leavers della Valle d’Aosta, regione fino ad oggi esclusa da una sperimentazione nazionale a loro dedicata. “Proprio perché il nostro è un contesto dai piccoli numeri, vorrei davvero evitare la solitudine e il dolore di neodiciottenni che si trovano di punto in bianco a non sapere cosa fare della loro vita”. Carol la sua esperienza la mette decisamente a servizio degli altri. “Vorrei testimoniare la resilienza, questa capacità di farti superare traumi e fare cose che non ti immagineresti mai”.

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