L’Unicef ha proclamato l’#AleppoDay, in questo giovedì dell’anti-anti vigilia di Natale. Come gesto simbolico è stato chiesto di appendere una coperta ai nostri balconi, simbolo di quel calore e di quel sostegno minimo che l’Unicef non sta riuscendo più a fornire ai civili di Aleppo. Un gesto simbolico, ma dalla valenza morale importante. Mio figlio undicenne mi vedeva triste, mentre sul balcone compivamo quel gesto insieme, anche se mezz’ora prima, appena svegli, si scherzava gioiosi, soprattutto per l’avvicinarsi imminente delle vacanze e del Natale. “Sei strana mamma”, mi dice. “Eh, lo so…rispondo. In questi ultimi tempi, sento spesso la FelicitàTriste”. Sono felice, spesso gioiosa: ho una bella famiglia, un lavoro appagante, dei cari amici; ma in contemporanea, non so vivere da anestetizzata, non posso non farmi trapassare dal dolore e dai drammi di ciò che accade ad Aleppo; non posso non sentirmi affranta, per la recente perdita di una vecchia amica del liceo, o dal sapere che un conoscente si è gravemente ammalato. Che sentimento diabolico! Oggi poi, con l’avvento dei social, questa dualità è aumentata, e si connota di ambivalenze rischiose. Quando facciamo scorrere le nostre bacheche, si alternano le ricette di tartine al salmone per capodanno, con gli articoli sulla Syria e i video di bambini insanguinati. Con il rischio di sfociare tutti quanti in una schizofrenia emotiva di massa. E’ dura rimanere focalizzati. Immaginate i nostri figli adolescenti!
Cosa fare allora, ma soprattutto 'come spiegarlo ai nostri figli’? Innanzitutto, cominciamo dai verbi giusti. Non si può spiegare la FelicitàTriste, non si può insegnare. Come noi, spesso la provano anche i bambini o i ragazzi. A noi, l’arduo compito di dare un nome a quei vissuti e di legittimare che il sentimento di mestizia a volte si accompagni al bisogno di leggerezza e spensieratezza. Il bellissimo cartone animato Inside-out lo ha illustrato benissimo: la tristezza è utile al pari della gioia, possono e devono convivere, anzi spesso sono proprio un unico sentimento paradossalmente amalgamato. Il secondo compito che ci spetta, come adulti, è quello di aiutare i nostri figli a saper stare dentro quel sentimento, a sentire profondamente come si può essere incredibilmente felici e profondamente tristi allo stesso tempo. Senza fuggire, senza negare. Le emozioni rimosse o negate sono le più pericolose per il nostro equilibrio mentale. Il terzo lavoro da fare nei loro confronti è quello di aiutarli a integrare cognitivamente quel sentimento: “sono contento perché tra tre giorni è Natale, ma se penso ai bambini di Aleppo mi viene da piangere”. Facciamoli pensare ai bambini di Aleppo, intenzionalmente! Facciamoli riflettere, almeno un pochino, con le parole giuste e in base all’età. Non vorremo per caso farli vivere in un mondo edulcorato, artefatto, perché dato che è Natale dobbiamo essere tutti allegri, ridondanti e festosi, e non pensare alle cose negative?
Abbiamo il dovere morale di educarli alla consapevolezza dei tempi che viviamo, anche se sono difficili e complessi. Ci sono attentati terroristici, muoiono persone innocenti, i nostri figli sentono queste notizie e sono trapassati da mille sentimenti. Lo psicoterapeuta Alberto Pellai ha scritto diversi libri e articoli sull’argomento, ve li consiglio caldamente. Leggiamo, documentiamoci, parliamone, confrontiamoci con i nostri figli, soprattutto se sono già grandini. Non lasciamoli cadere nell’oblio dei loro sentimenti. E’ un danno educativo nei loro confronti, è un offesa morale verso chi oggi è martoriato dalla guerra.
Lo so, non vi aspettavate questi toni così seri nella mia rubrica, ma che ci volete fare? Sarà colpa della FelicitàTriste…
P.S.: a proposito di felicità, ho intenzione di godermela tutta con la mia famiglia, per cui stacco dalla rubrica e ci ritroviamo tra un mese!