Com’è l’universo visto dall’Antardite? Ne discuteranno su Skyway Monte Bianco, per tre giorni, i “big” dell’astronomia mondiale.
Da lunedì 17 a mercoledì 19 giugno la Valle d’Aosta ospiterà il quinto Workshop di SCAR AAA (Scientific Committee on Antarctic Research, sezione Astronomy and Astrophysics from Antarctica), il convegno scientifico internazionale che radunerà i responsabili di tutti i progetti astrofisici insediati al Polo sud. Saranno presenti tra gli altri a Courmayeur la prof.ssa Anna Moore, dell’Australian National University di Canberra, in Australia, il prof. Xuefei Gong dell’Istituto di Ottica e tecnologie astronomiche dell’Accademia cinese delle Scienze a Nanchino, in Cina, e il prof. Paolo de Bernardis, della Sapienza Università di Roma.
Il Workshop è co-organizzato dall’Osservatorio Astronomico della Regione insieme alla sezione di astronomia e astrofisica del Comitato scientifico per la ricerca in Antartide, con il sostegno del Consiglio regionale.
Dal 2016 il centro di ricerca a Saint-Barthélemy è capofila della collaborazione internazionale che gestisce IRAIT/ITM, il telescopio di maggiore apertura presente al Polo sud per l’osservazione nelle bande della luce visibile e del vicino infrarosso.
Responsabile scientifico del progetto è il direttore dell’Osservatorio Jean Marc Christille, che ha partecipato a tre missioni in Antartide.
“Il continente bianco è un luogo privilegiato per compiere ricerche astronomiche dalla superficie del nostro pianeta – spiega Jean Marc Christille -. La presenza di acqua in atmosfera è un ostacolo all’osservazione astronomica, nella banda della luce visibile e soprattutto in quella della radiazione infrarossa, perché le particelle diffondono o assorbono le onde elettromagnetiche provenienti dallo spazio. Ma al Polo sud le temperature estremamente rigide fanno sì che il tasso di vapore acqueo e umidità, in particolare nelle zone interne, sia decisamente basso, quando non praticamente nullo.”
Il Monte Bianco non è un luogo sconosciuto ai ricercatori dell’Antartide. “E’ sulle sue pendici, per esempio il Colle del Flambeau, – aggiunge Christille – che i ricercatori e i tecnici italiani in partenza per le missioni al Polo sud si addestrano per imparare a fronteggiare le condizioni estreme che troveranno a oltre 12.000 km da casa.”