“Sembra tornata la normalità” ci dice, ma ha la voce rotta dal pianto. Enrico Cavagnet, pastore nomade di Cogne, non dimenticherà tanto facilmente ciò che ha vissuto la scorsa notte, quando il fango ha inghiottito in modo improvviso, il suo gregge nella frazione di Lillaz. “Poco prima eravamo tranquilli, io conosco il territorio. Pioveva, è vero, ma deve essere successo qualcosa in alto. Le pecore le abbiamo chiuse in una zona vicino al torrente dove l’acqua nelle ultime alluvioni non era mai arrivata”.
Una scelta che, per ammissione dello stesso pastore, si è rivelata una trappola con gli animali incastrati tra il torrente ingrossato a dismisura e la strada invasa dall’acqua. Da lì il disperato tentativo di mettere in salvo le pecore, durato tutta la notte. “Abbiamo dovuto attraversare due volte il ponte per correre a liberare le pecore con gli schizzi dell’acqua che ci venivano addosso. Le abbiamo mandate nel bosco” racconta. Un’impresa riuscita, almeno in parte. “Sicuramente in diverse sono state prese dall’acqua, ma qualcuno da lassù ha vegliato su di noi e i nostri armenti”.
Enrico Cavagnet ha deciso che non conterà gli animali persi. “Ne avevamo 700, ne abbiamo messe in salvo tante, abbiamo ancora un bel gregge, siamo vivi, siamo contenti” ci racconta emozionato. “E’ inutile che ci facciamo del male, che ne manchi una, cento o cinquanta. Andiamo avanti con quello che abbiamo”.
Si commuove quando gli chiediamo della Valnontey, terra di origine dei suoi genitori. “Sono andato a vedere, non so cosa dire, la Valnontey non c’è più, non c’è più neanche la terra, solo sassi e detriti”. Il suo sogno, lo ha scritto anche su Facebook, sarebbe quello di tornare lì con il suo gregge, risalire la Valle facendosi strada tra cumuli di pietre e scheletri di alberi. “Sarebbe un bel messaggio, di speranza e rinascita”. Per farlo deve essere ripristinato il ponticello che attraversa il torrente Lauson. “Non posso chiedere ora alle istituzioni di mettere dei fondi per mettere una passerella, la stagione estiva per Cogne è compromessa”.
Quello di Enrico Cavagnet rimane, per ora, un sogno, ma è anche una testimonianza tangibile dello spirito e della voglia di rialzarsi dei cognein.