Bisogna scomodare i fratelli Viérin, per spiegare il fenomeno Falchetta: rimandare indietro le lancette del tempo agli anni Sessanta, ecumenicamente riconosciuti come il decennio della contestazione giovanile, per capire cos’è diventata ieri Falchetta.
Sirène dei fratelli Viérin di Pollein – prima del poker di domenica di Falchetta – era l’unica regina capace di vincere quattro regionali d’infilata: lo fece in prima categoria, dal 1966 al 1969. Sirène ha iniziato a inanellare bosquets quando Aldo Moro era Presidente del Consiglio con una maggioranza composta da Democrazia Cristiana e Partito Socialista e ha smesso poche settimane dopo la prima passeggiata sulla luna di Neil Armstrong e della missione Apollo 11.
Falchetta è arrivata quasi sessant’anni dopo: ha vinto per la prima volta alla Regionale nel 2022 e non si è più fermata. E chissà come e quando si fermerà. Il mondo dei combats e dell’allevamento più in generale sa bene che tutto ha un inizio e una fine, anche le carriere delle grandi reine. Fa parte del gioco, della vita.
E quello di oggi non è ancora il momento di pensare a cosa farà Falchetta da grande, o quantomeno nel 2026: però possiamo dirvi cosa successe alla Regionale del 1970.
Sirène fu portata alla finale (non c’era la Croix-Noire, a quei tempi), bardata di tutto punto con il suo bosquet e salutata con un ultimo giro di campo. Niente combats – la sua carriera era terminata l’anno prima – ma un riconoscimento dal pubblico. Quello che in un qualche modo Falchetta ha già avuto ieri sera ad Aosta, quando ha fatto alzare letteralmente in piedi il pubblico della Croix-Noire.
“Il futuro? Farà come vuole lei”

Parlare di futuro, all’indomani di un successo che resterà per sempre nella storia, è un po’ come complicarsi la vita. Non si può però nemmeno evitare la questione, ma è una domanda che resta sospesa – almeno per un po’ – perché la vita di chi vive con le reines è giustamente orientata al presente dell’indicativo: si pensa sì al futuro, ma godendosi il presente. Ragionamento che non fa una piega: i voli pindarici li lasciamo ai sognatori, almeno oggi. Però è giusto ricordare che ieri sognatori lo siamo stati un po’ tutti. Grazie a Falchetta abbiamo sognato tutti ad occhi aperti, per scoprire però che in realtà era tutto vero.
All’indomani della Regionale dei sogni Falchetta è tornata alla sua quotidianità. Che in questa stagione specifica vuol dire pascolo a Nus, in attesa di un inverno in stalla, in attesa del suo settimo vitello (al momento solo due femmine e quattro maschi), in attesa dell’anno nuovo, di una nuova estate nel pascolo di Saint-Barthélemy, di un nuovo titolo di regina all’alpeggio Pierrey. E poi?
“E poi deciderà lei”, chiosa Renzo Rosset, all’indomani di una notte insonne passata a chiedersi se la giornata vissuta ad Aosta era pura finzione oppure realtà. Il proprietario di Falchetta ha fame, ma non di vittorie: domenica alla Croix-Noire non ha praticamente toccato cibo, l’indomani il suo organismo ne chiede il conto. Però non perde il sorriso, quando si alza l’asticella per una reina che “Non ha più niente da dimostrare. L’ho detto alla vigilia di questa Regionale, vale ancora di più per la prossima”. Già, la prossima. “Non ci penso per ora, come ho sempre detto sarà Falchetta a farmi capire al momento opportuno se sarà il caso o no di tornare a combattere alla Croix-Noire. Lei è come un grande atleta, ha talento ed ha avuto pure la fortuna di avere una carriera senza intoppi. Ha sempre retto bene le gravidanze, e non è scontato. Non ha mai avuto problemi fisici, pur confrontandosi in alpeggio ogni anno con regine che tentavano di scipparne la leadership”.
Tentativo vano, aggiungiamo noi, perché se i titoli alla Regionale sono quattro quelli di reina d’alpeggio sono addirittura cinque. “Mangia la mia erba, la reina regionale”, diceva orgoglioso Pino Balicco, conduttore dell’alpeggio di Pierrey nel vallone di Saint-Barthélemy. E lui, l’ex patron delle Batailles, che ha insistito affinché Falchetta domenica posasse nelle foto di rito con il labaro del comitato di zona di Nus delle Batailles de Reines.
La pace dei sensi di Renzo Rosset

A prescindere da cosa riserverà il futuro, Renzo Rosset ha comunque già un posto nell’olimpo dei combats con i fratelli Cirillo e Vincenzo Viérin: il poker, per la cronaca, è riuscito pure a Lisetta della famiglia Nolly negli anni Ottanta, ma i quattro titoli non sono stati consecutivi.
La verità è che c’è chi alleva reines da una vita e alla Regionale non ha vinto mai: i più fortunati – e sono un numero ristretto – qualche campana l’hanno portata a casa, ma in quarant’anni di carriera, non in quattro anni, in quaranta. Quando glielo si fa notare, Renzo Rosset arrossisce un po’, quasi fosse lui quello fuori luogo in questa sorta di “Hall of Fame” delle batailles de reines. Ma non è così.
“Dopo il primo successo di Falchetta mi dicevo di essere fortunato, e continuo a dirlo”, sottolinea Rosset. La fortuna, forse, è quella di essere capitato su una regina speciale. Quelle che – come si dice a volte dei grandi campioni dello sport – nascono solo ogni cinquant’anni.
O forse il segreto del successo di Falchetta è la tranquillità. Non quella della bovina, che quando entra in arena ha una missione e la compie, quasi fosse Etan Hunt di Mission Impossible: punta l’avversaria, la studia, la titilla un po’, l’attacca e la batte.
No, è la tranquillità di Renzo Rosset il fenomeno da studiare. Non è da paragonare alla tranquillità serafica di Michele Bionaz, neppure l’aplomb britannico di Massimiliano Garin e nemmeno quella tranquillità che ti permette di assistere a un combat con quella sequenza statica da quadro degno di un pittore fiammingo – bastone d’appoggio inclinato di qualche grado, sigaretta tra i denti, eleganza infinita – alla quale ci ha abituati Dietrich Millesi.
E’ una tranquillità disegnata su misura per Renzo Rosset, che la mette da parte solo quando Falchetta scende in campo. Nelle soste tra un match e l’altro, è come se fosse in vacanza nella stalla della Croix-Noire: chiacchierate con gli amici, interviste agli organi di informazione, sorriso smagliante e strette di mano. Dà la sensazione, Renzo Rosset, di trovarsi incredibilmente a suo agio alla Croix-Noire, dove era entrato in punta di piedi nel 2022. Lui, un piccolo artigiano delle reines, comodo come sul divano di casa nel tempio dei combats. E quattro anni dopo è lì con il gotha delle batailles, e guarda metaforicamente dall’alto in basso tutti quanti.
La Regionale di Falchetta

In tutto questo abbiamo dimenticato la Regionale di Falchetta, il percorso che l’ha portata a questo quarto titolo consecutivo. Nella foga del momento, ieri, abbiamo scritto che Falchetta ha vissuto forse la sua Regionale più facile di sempre. Un pensiero in parte condiviso da Renzo Rosset, che da appassionato di sci di fondo vuole però sottolineare che “Non c’è demerito da parte delle avversarie: in certi frangenti, è giusto ammetterlo, Falchetta è stata fortunata”.
Renzo Rosset ammette pure – alla classica domanda del cronista che spesso rimane inevasa, ovvero “Quando hai capito che il bosquet sarebbe stato vostro?” – che aveva avuto buonissime sensazioni fin dalla prima uscita in campo della sua protetta, nei sedicesimi di finale. “Avevamo contro Zenica di Alex Cerise, e lei come tutte le altre volte ha iniziato a cantare. Quando va alla Croix-Noire Falchetta canta, è proprio così. Ha capito cosa c’era in palio, io ho capito che il poker non era solo un’utopia”.
Qualche piccolo spavento agli ottavi contro Manda di Devis Ghirardo, “Perché lì ho avuto la sensazione che Falchetta non volesse attaccare. – continua Renzo Rosset – L’avversaria sembrava più grande, alla fine con Italo (Arlian) abbiamo pensato scherzosamente a un errore di pesatura. Ha avuto qualche timore, ma poi ha chiuso la contesa”. A seguire il successo facile con Fuoco di Roby Bich ai quarti di finale, prima del doppio duello con Zara e Tormenta dei fratelli Quendoz, ex proprietari pure della già citata Manda. “I fratelli Quendoz mi hanno tenuto un po’ caldo”, sorride scherzosamente Renzo Rosset nella sua casa di Nus. Lunedì a pranzo ha finalmente mangiato ed ha pure cambiato l’ora agli orologi di casa: domenica, per colpa delle emozioni di Falchetta, se ne era completamente dimenticato.
