Un tempo le cose si facevano “per dovere”; ma la nostra è l’epoca del piacere, o, meglio, del “sentire”: meglio non forzare un bambino a mangiare qualcosa di nuovo “se non se la sente”, per non traumatizzarlo nel rapporto col cibo che, si sa, è un po’ delicato. Peccato che poi ci ritroviamo ragazzini che a 12 anni mangiano solo pasta al pomodoro, bistecca impanata e patate, e devono prendere integratori perché hanno carenze vitaminiche. Meglio non insistere a fargli fare la gara finale del corso di nuoto “se non se la sente”, tanto l’importante è imparare, e poi nuoto fa bene alla schiena. Sì, ma la gara ha anche una valenza formativa: se oggi gli permettiamo di non misurarsi con una piccola sfida alla sua portata, quando dovrà affrontare gli esami di maturità, sostenere colloqui di lavoro, recuperare un rapporto di coppia che sta andando in crisi, che cosa farà? Rimarrà a scuola a vita? Non andrà al colloquio perché non se la sente? Non affronterà una discussione con la moglie, magari la fatica di una psicoterapia di coppia che potrebbe salvare la loro unione, perché non se la sente?
Sapete che vi dico? Bisognerebbe far fare le cose ai figli anche solo perché “si deve”, al di là del loro sentire. Non sto dicendo di tornare ai regimi dittatoriali delle famiglie di 50 anni fa, troppo sbilanciate sul fronte normativo. Ma la nostra generazione di genitori 2.0 non sta rischiando di rammollirsi un po’ troppo?
Nostro figlio quindicenne ha appena concluso un’esperienza formativa molto positiva: una settimana di stage di volontariato con l’Associazione Partecipare Conta, di Aosta: 20 ragazzi hanno vissuto insieme, e svolto azioni di volontariato e solidarietà accompagnati splendidamente da 5 bravissimi educatori. Nostro figlio se la sentiva, di andarci? Onestamente no, ve lo assicuro. Ora è contento di aver vissuto questa esperienza? Assolutamente sì, e me l’ha detto lui salendo in auto, quando sono andata a prenderlo, con un: “Bello, ci sta, un bel gruppo e gli educatori sono bravi. Il prossimo anno lo rifaccio”.
Una settimana fa, quando doveva partire, aveva la faccia cupa, era teso, non ne trovava il senso; e lo capisco! Finora non aveva mai fatto esperienze oratoriali, o con gli scout, o quant’altro di analogo che avrebbe preparato il campo. Se avesse trovato un minimo dubbio in noi, una punta di “ma se non te la senti, forse non è il caso che tu vada”, avrebbe ritrattato. Ed oggi sarebbe un adolescente più povero. Nella nostra famiglia, questa è diventata una regola, un “obbligo”, si è deciso che in estate, dalla prima superiore in poi, si devono fare una o due settimane di esperienze formative di servizio agli altri. Magari il prossimo anno parteciperà anche ad un campo dell’Associazione Libera, sui terreni confiscati alle mafie, chissà. Intanto quest’anno ha imparato qualcosa di nuovo: ha cucinato con i ragazzi disabili, ha pulito e rimesso a nuovo un’area verde di Aosta, insieme a suoi coetanei ha sperimentato il valore del lavoro e della solidarietà, due aspetti cardine della nostra società.
Ti è andata bene, direte voi. E se fosse tornato incavolato, insoddisfatto, rancoroso? In primis, in educazione non è solo questione di fortuna. Se decidiamo di offrire uno stimolo positivo, che sia uno stage di volontariato, o il provare un nuovo sport, o partecipare a un corso di teatro, informiamoci prima sulla validità dell’esperienza, anche in base alle attitudini di nostro figlio: quelli di Partecipare Conta io li conosco e so che lavorano bene, e nostro figlio è un volitivo con buona manualità; avevamo buone probabilità che messo a lavorare avrebbe dato il meglio di sé.
Ma voglio seguirvi anche nell’altra ipotesi: se fosse tornato con la classica frase da adolescente “che palle, una cosa così non fatemela fare più!” cosa avremmo detto? Avremmo accolto il disagio, ascoltato e compreso le fatiche ma… ne avremmo proposta comunque un’altra per il prossimo anno! Magari con altri enti, magari all’estero. Perché devi crescere, figlio mio. E puoi farlo solo se fai esperienze formative fuori dalla famiglia, se ti confronti col mondo, con altri adulti significativi.
Siamo certi che le estati di prolungato ristoro che oggi si fanno vivere a molti ragazzi adolescenti, che aprono gli occhi a mezzogiorno, ogni pomeriggio vanno in piscina con gli amici, escono quasi tutte le sere perché “è estate, almeno si rilassano un pò’” ed in famiglia al massimo sparecchiano la tavola, siano un buon modo per crescere?
Il lavoro educativo è spesso una questione di ‘corsa ad ostacoli’. Se un tempo i genitori te ne mettevano così tanti che arrivavi al traguardo sfiancato, frustrato e demotivato al punto di fare anche scelte sbagliate per il tuo futuro, oggi forse siamo sbilanciati al contrario: rimuoviamo ogni paletto, preveniamo fatiche e sofferenze, spianiamo il terreno di corsa e, ogni tanto, offriamo pure una barella dove fermarsi a riposare se non se la sentono più di correre.
Li stiamo aiutando a vivere felici? No, direi di no.
Torniamo a rimettere qualche ostacolo nella vita dei nostri figli, facciamoli misurare di più con la fatica, anche quella di fare cose “controvoglia”. Perché la vita adulta non è solo una questione di sentire. E’, in primis, una questione di responsabilità.