Gran Paradiso: “Le aree protette non sono riserve di caccia”

Il Parco in merito alle recenti notizie su alcuni organi di stampa sulla mortalità degli ungulati selvatici a causa delle eccezionali nevicate, precisa che i piani di controllo della densità trasformerebbero il Parco in un gigantesco mattatoio.
Società
“La selezione operata dalla neve e dall’inverno è un fenomeno naturale, tutt’altro che eccezionale in aree di montagna come il Gran Paradiso e che ha effetti a lungo termine benefici sulla “qualità” della popolazione del Parco. L’effetto della neve è, come dimostrato da recenti studi, rinforzato da quello della densità. In altre parole, se cade tanta neve la mortalità in popolazioni molto dense è maggiore: nel nostro caso la popolazione di stambecco è ai minimi storici dunque la preoccupazione per le densità eccessive su cui, secondo alcuni, si dovrebbe preventivamente intervenire, non ha ragione di essere”. Così risponde il veterinario del Parco Gran Paradiso, Bruno Bassano, alle recenti notizie comparse su alcuni organi di stampa e relative alla mortalità degli ungulati selvatici nel parco causata delle eccezionali nevicate di questo periodo.
Bassano, responsabile del Servizio Scientifico del Parco del Gran Paradiso evidenzia inoltre “la storia del Gran Paradiso, come di molte aree protette di montagna, dimostra che questi eventi sono periodici e che nulla possa essere fatto per modificarli: gli sforzi profusi degli anni ’70 e ’80 per dare foraggiamento artificiale agli erbivori selvatici non ha portato a concreti risultati in termini di sopravvivenza, senza considerare il fatto che operazioni di questo tipo dovrebbero essere attuate  sull’intera superficie dell’area protetta con costi ciclopici ed effetti addirittura controproducenti. Anche esperienze in altri paesi, tradizionalmente con inverni molto più rigidi dei nostri, come gli Stati Uniti e il Canada, dimostrano che il foraggiamento artificiale oltre a non essere una misura efficace per limitare la mortalità, ha effetti addirittura negativi per gli animali”.
In particolare Bassano spiega che “il foraggiamento artificiale porta ad una concentrazione innaturale degli animali nei siti di foraggiamento, con la conseguenza di un aumento del rischio di predazione e di trasmissione di malattie che, nella situazione di debolezza in cui già si trovano molti soggetti a causa della rigidità dell’inverno, può facilmente sfociare in situazioni epidemiche, inoltre il sistema digestivo degli ungulati selvatici può necessitare di diverse settimane per adattarsi al fieno e, se gli animali non hanno sufficienti riserve di grasso per superare il periodo di adattamento, possono morire anche con le pance piene di un foraggio che non possono digerire”
 
Male si adattano – conclude Bassano – ad un’area protetta, infine, gli spesso invocati piani di controllo delle densità a scopo di prevenzione. Prima di tutto perché nell’unica popolazione autoctona di stambecco sopravvissuta sulle Alpi, protetta nel Gran Paradiso, ogni intervento di abbattimento sarebbe scientificamente sbagliato e controproducente, anche in termini finanziari. Nessuna vera selezione, se non quella numerica – oggi peraltro non necessaria, viste le scarse densità – può essere attuata con l’uso della carabina e, per ottenere denaro sufficiente a sostenere le casse del Parco, sarebbero necessari tanti prelievi da trasformare la più antica area protetta d’Italia, una delle più importanti d’Europa, in un gigantesco mattatoio”.

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