Per Ida Desandré ricordare la sua infanzia drammatica e l’orrore dell’esperienza del lager è ancora oggi, all’età di 92 anni, un’operazione dolorosa. Le lacrime affiorano ai suoi occhi ripercorrendo la tragica morte di sua madre, quando Ida aveva due anni, uccisa a calci dal padre e tornando con il pensiero alla sua deportazione a Bergen-Belsen.
Ma al “dovere della memoria”, lei, non rinuncia anche se esercitare quel dovere le costa dolore, come mettere l’aceto su una ferita. E Ida Desandré non ha fatto un passo indietro neanche oggi, lunedì 10 marzo, per incontrare 160 ragazzi di alcune scuole superiori valdostane. “Il passaggio del testimone”, questo il titolo della conferenza di oggi voluta da Fabienne Proment e sostenuta dal Consiglio Valle, ha voluto essere l’occasione dare anche ai più giovani alcuni tasselli di quanto la Desandré ha vissuto quando lei era giovane. “Il testimone è la memoria – ha detto Emily Rini, presidente dell’Assemblea legislativa – e ora abbiamo noi la responsabilità di tramandare questo pezzo della sua storia”.
Accompagnata come sempre dalla chitarra di suo figlio, Roberto Contardo, e in questa occasione dalla narrazione di Barbara Caviglia, Ida Desandré ha fatto per l’ennesima volta un balzo indietro nella storia, tornando alla lotta partigiana e a quel luglio del 1944 quando, catturata dai fascisti insieme al marito, venne incarcerata alla Torre dei Balivi da dove iniziò il suo viaggio verso i campi di sterminio: prima a Torino, poi nei lager di Bolzano, Ravensbrück, Salzgitter e Bergen-Belsen, da dove è stata liberata, il 15 aprile 1945, da truppe inglesi. “Sapevamo di essere diretti in Germania – ha detto la Desandré oggi – e questo per noi era un sollievo. Pensavamo di andare a lavorare, ma già il viaggio fu un primo assaggio di quello che ci aspettava. Fame, promiscuità, vergogna, nemmeno un posto dove fare i nostri bisogni corporali”.
Ida Desandré non è una persona che scappa. Non è scappata davanti alla responsabilità della lotta di liberazione e non scappa oggi per ripercorrere la sua storia per parlarne ai ragazzi. Così come il “dovere della memoria” l’ha portata di nuovo a Bergen-Belsen nell’ottobre del 2008 proprio nel luogo dove si è consumata la tragica esperienza.
